Thursday, May 31, 2007

ALEX DEL PIERO «BASTA CORI ANTI JUVENTUS»

Da Libero di mercoledì 30 Maggio 2007

TORINO Prima la volontà di rimarcare i torti subiti nel passato e portati alla luce dall'inchiesta su Calciopoli, con quella denominazione orgogliosa data al tricolore assegnato all'inter dalla giustizia sportiva: "lo scudetto degli onesti". Poi, i cori nello spogliatoio di Siena, al momento della riconferma del titolo di campione d'Italia, su tutti il celeberrimo "Senza rubare... vinciamo senza rubare". L'annata nerazzurra è vissuta tutta su questi toni, indubbiamente comprensibili a caldo, ma a detta di qualcuno tirati un po' troppo per le lunghe. La linea interista, però, è stata la stessa e coerente dal maggio scorso ad oggi. L'ultimo a sottolineare che il tempo dovrebbe suggerire al club di via Durini di stemperare i toni della polemica è il capitano bianconero, particolarmente interessato e suscettibile. «Con questa cosa del rubare si sta esagerando nei nostri confronti - attacca Alex Del Piero -, poi in altre situazioni possono pure avere ragione». Un accenno al nuovo fronte aperto dallo striscione rossonero, per il quale la rabbia nerazzurra è più che legittima. Dopo Gattuso e il suo sfogo ad Antenna 3, tocca al simbolo juventino esternare a Repubblica Tv il fastidio rispetto il comportamento della Beneamata. Ma Del Piero parla di molte cose e ne ha per tutti. Chiudendo il discorso inter fa i complimenti, a modo suo, ai rivali per il quindicesimo sigillo tricolore della loro storia. «Hanno avuto la vita un po' agevolata, ma sono stati comunque bravi ad approfittare della situazione». E risponde al cronista che gli chiede cosa farebbe se si trovasse in un ascensore in compagnia di Luciano Moggi: «Lo saluterei e lo starei ad ascoltare, perché è un gran chiacchierone».

Wednesday, May 30, 2007

MARCELLO UOMO GIUSTO IL TEMPO VA AGGIUSTATO

EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di mercoledì 30 Maggio 2007

Tutto e tutti su Lippi. Dai tifosi alla fa­miglia Agnelli perché è con lui e solo con lui che la Juve vuole ricominciare. Pare che di nuovo, rispetto ai giorni pre­cedenti, ci sia il sì di Lippi, ma che di vec­chio, cioè di già conosciuto e di immodi­ficabile, rimanga il quando: non subito, ma tra cinque mesi. Ora, come quasi tut­ti sanno, il quando non è esattamente una questione secondaria. Non lo è per Lippi che vuole e spera che quel tempo sia sufficiente per chiarire la vicenda giudiziaria del figlio Davide ( affare Gea). Non lo è per la Juve, né per l’alle­natore che dovrebbe gestire la vacatio, perché è proprio nella fase preparato­ria della gestione tecnica che si cemen­ta il gruppo, si conoscono a fondo i gio­catori, vengono misurate le loro carat­teristiche e eventualmente rese compa­tibili al progetto tattico ( altri, o in altri casi, preferiscono il contrario), svilup­pato il piano di intervento in rapporto agli obiettivi. Insomma, l’intera fase di impostazione si fa dal primo giorno di ritiro all’inizio del campionato.
Ora se è perfettamente legittimo e som­mamente responsabile da parte di un pa­dre fare da presidio alla propria fami­glia, è altrettanto necessario che una so­cietà di calcio – per di più se si chiama Juventus e se ha bisogno e volontà di riemergere dalla melma di uno scandalo comunque ignominioso – esiga la massi­ma disponibilità di chi la guida fin da su­bito. L’allenatore, ormai in tutte le disci­pline sportive, sta assumendo una rile­vanza fondamentale. Infatti, non è più soltanto l’uomo che deve gestire le risor­se umane di una squadra, ma l’uomo che si mette in sintonia con la società per con­dividere tutta una serie di scelte e atteg­giamenti.
Confermo le parole di chi, come l’azzur­ro- romanista Simone Perrotta, sostiene che Lippi rappresenti la Juve più di qual­siasi altro tecnico e che – questo lo dico io – pure l’avversione a Lippi, naturalmen­te prima che iniziasse l’avventura tede­sca della Nazionale, rafforzava emble­maticamente la natura dell’uomo e la sua provenienza. Dunque è sacrosanto e una­nimemente sostenibile che la Juve voglia Lippi ad ogni costo, ma non può accetta­re di averlo a ottobre o addirittura più avanti. Se così fosse, infatti, finirebbe per essere acuita, e magari cronicizzata, la crisi tecnica aperta da Deschamps; per congelare e, quindi, depotenziare l’entu­siasmo dei tifosi; per regalare ulteriore perplessità ai giocatori in organico e a quelli disponibili a trasferirsi in maglia bianconera.
Non resta che una strada: convincere Lippi a prendere la Juve da luglio. Non c’è nessuna ragione perché un professio­nista serio, onesto e capace, debba teme­re alcunché. Né per il figlio, né dagli uo­mini che devono giudicare.

Tuesday, May 29, 2007

SOLO LE MILANESI HANNO QUESTI SOLDI

VITTORIO OREGGIA
Da Tuttosport di martedì 29 Maggio 2007

Per correggere una pericolosa deriva disfat­tista dopo due giorni molto pesanti, gravidi solo di pessime notizie, Jean Claude Blanc ha deciso di uscire allo scoperto e - come si dice ­di metterci la faccia. Senza paletti dialettici e svelando ciò che per settimane è rimasto segre­to. Quel che ha raccontato l’amministratore de­legato della Juventus può effettivamente tirare su il morale ai quattordici milioni di tifosi ri­masti basiti non tanto dalle dimissioni di Didier Deschamps, quanto piuttosto dal teatrino che ne ha accompagnato l’ufficializzazione. E dal­lo stallo successivo. Blanc è un educatissimo manager francese di estrazione non calcistica, aduso a non raccontare balle, quindi assoluta­mente sincero. Con la stessa schiettezza adope­rata all’inizio della stagione per confessare che ci sarebbero voluti cinque anni per riportare società e squadra ai fasti del passato, ieri ha an­nunciato che almeno la metà dell’aumento di capitale appena varato sarà dirottato sul mer­cato. Con cinquanta milioni di euro, ai quali ve­rosimilmente vanno aggiunti gli undici del con­tratto di sponsorizzazione con Fiat, si possono acquistare campioni di altissimo livello (Chivu, Mexes, Lampard) e si può colmare parte del gap che ora esiste nei confronti di inter, Milan, Roma, Fiorentina. E forse anche della Lazio. Intanto, presto verrà reclamizzato l’arrivo di un campione del mondo, Vincenzo Iaquinta. Il primo di una lunga serie, a quanto sembra.
Cinquanta milioni sono parecchia roba, in Ita­lia solo le milanesi possono contare su un bud­get così elevato; adesso però bisogna che il diesse Secco e il consulente Bettega siano bra­vi a spenderli. Viene pure da chiedersi cosa abbia preteso Deschamps di tanto costoso e dunque di irraggiungibile da non riuscire a trovare un punto di incontro con il club. Ma­gari il simpatico Didì pretendeva un ruolo al­la Ferguson, dimenticando che sir Alex è in grado di esibire uno stato di servizio un po’più ricco del suo. Quello di Ferguson al Manche­ster United è un ruolo delicatissimo che, a na­so, in Italia è ricopribile solo da due perso­naggi di grande spessore professionale: Ca­pello e Lippi. Il primo faticherebbe a varcare i confini di Torino per come si è comportato e per come se n’è andato, il secondo resta - a di­spetto dei reiterati dinieghi - l’obiettivo prin­cipale e dichiarato dell’attuale dirigenza. Con o senza traghettatore. E’ bastato il suo nome, ad esempio, per stoppare la fuga di Buffon: con l’ex ct il portiere resterebbe a occhi chiu­si. La scelta dell’allenatore è considerata ur­gente e nodale ma non può essere compiuta con la fretta addosso. Blanc ha tracciato l’i­dentikit del nuovo tecnico: geneticamente ju­ventino, tosto, esperto, carismatico. Doveva solo aggiungere con i capelli argentati.

IL CASO IBRAHIMOVIC E' UN PASTICCIO DI MORATTI

LUCIANO MOGGI
Da Libero di martedì 29 Maggio 2007

L'intervista di Ibrahimovic rilasciata a questo giornale è diventata un caso e ha scatenato molto clamore nei media. Un maggior autocontrollo e una migliore capacità di informarsi in tempo reale sarebbero stati sufficienti per dare il giusto significato alla vicenda. Così, invece, non è avvenuto: colpa della predisposizione di Moratti nel vedere dappertutto ombre in chiave anti-inter, anche quando ombre non ce ne sono. I fatti. Nell'intervista Ibra parla di "organizzazione all'interno di una società", dice come sia fondamentale poter far affidamento su "organizzatori" di livello e, bontà sua, a riguardo fa il mio nome. Apriti cielo! A questo punto in casa inter si reagisce come morsi dalla tarantola. Moratti dice che Ibra non è stato capito, che è caduto in un tranello (secondo altri si tratta di un'imboscata, ma fa lo stesso), parla di «una brutta cosa fatta a un ragazzo giovane». In questo modo il numero uno dell'inter fa passare lo svedese alla stregua di un giovanotto che non può fare a meno della balia. E invece Ibra è tutt'altro, un calciatore immenso ma anche un maestro di riflessione quando bisogna dire le cose come stanno. E certo lo svedese non cambia opinione per "richiami" o cose simili.

La cattiva comunicazione e l'autogol del patron
Ma c'è di più. Il patron nerazzurro dice la sua a margine degli interminabili baccanali post inter-Toro senza sapere (e nessuno dei suoi glielo dice), che nel frattempo Ibra ha già parlato a "Sky" confermando punto per punto tutta l'intervista, soprattutto dove tratta della mia persona («Moggi è bravo ad organizzare»). Non contento, Moratti tira in ballo anche Ancelotti a proposito di una dichiarazione rilasciata dall'allenatore rossonero («C'è un insospettabile che vuole venire al Milan»); il patron ammonisce il tecnico, ma quest'ultimo non aveva fatto alcun riferimento all'inter, nè tantomeno a Ibrahimovic. Totale: Moratti cade in un nuovo errore di comunicazione e realizza un clamoroso autogol: vuoi vedere che così facendo ha svelato quello che Ancelotti non voleva rivelare? Per la cronaca il tecnico di Reggiolo commenterà: «Io non devo essere simpatico a Moratti...». Viene in mente un'unica conclusione: il "caso" Ibrahimovic è stato creato unicamente da patron Moratti, che dovrebbe dare una sveglia anche ai suoi collaboratori per garantirsi un'informazione in tempo reale.

Monday, May 28, 2007

HO RIPRESO LA MIA LIBERTA'

ELVIRA ERBI’
Da Tuttosport di lunedì 28 Maggio 2007

LA VOCE è ferma, abbastanza serena, anche se un po’ di de­lusione traspare, qui e là. La determinazione, poi, è la solita: quella che gli consentiva di es­sere un leader in campo, un ca­talizzatore, un trascinatore. Ma un basco non si piega e quindi non si spezza. Mai. Co­sì adieu Juve, e viva la libertà. Didier Deschamps parla ai microfoni di Rmc e nel contor­no c’è chi spiega il retroscena del divorzio più clamoroso del­l’anno. Si racconta di un in­contro, l’ultimo, sabato sera, con l’ad Jean Claude Blanc; un incontro cruento, durissi­mo, al limite dello scontro fisi­co. E fine di un amore. Gli han­no fatto la pelle, a Didì. Che non accetta l’umiliazione e se ne va a testa alta. Gli fanno ascoltare Blanc, prima di com­mentare. Ecco il concetto, duro e puro: « Nessuno è indispen­sabile. Lui è stato un grande giocatore ma la Juve prose­guirà con umiltà. Significa che se uno va via, la Juve rimane. E’ stato così per 109 anni e co­sì continuerà a essere. Una grande società di football come la Juve, un monumento dello sport, prende le decisioni sen­tendo tutti, ma alla fine la re­sponsabilità è del vertice: uno deve accettare di lavorare in questo contesto. Non è facile per un allenatore». Coraggio, Didì, rispondi: «Di­cono che il modo di funzionare del club è quello e l’allenatore si deve adattare. Io non volevo certo decidere tutto... Sempli­cemente, avevo incontrato dif­ficoltà quest’anno e avevo bi­sogno di capire come ci si sa­rebbe organizzati. Ho compiu­to un’analisi completa e ho in­contrato Blanc, mercoledì scor­so: l’ho informato che davo le dimissioni. Il club ha chiesto di differirle di una settimana, ma l’informazione è uscita prima. Sabato sera ci siamo re-incon­trati e ho deciso di rassegnar­le subito. Si stava organizzan­do la prossima stagione, che sarà ancora più difficile: sono attesi grandi risultati, soprat­tutto dai tifosi, e partendo da questa considerazione un tec­nico ha bisogno di lavorare in un clima di tranquillità e di se­renità. Così ho preso la deci­sione migliore per me » . Che non suona come un compli­mento per i bianconeri...
Gli evocano i contrasti con il ds Alessio Secco. «Non erano solo rose nel club, con alcune divergenze. E se non è possibi­le lavorare armonicamente, meglio separarsi. Non potevo continuare, allo stato delle co­se. Non sono triste, ho deciso io. Ero tornato anche per una scelta affettiva, tornare lì do­ve avevo giocato. Sono molto soddisfatto del percorso com­piuto. La speranza era prose­guire anche in serie A, ma pur­troppo non sarà il caso». E ri­torna al mercoledì catartico. «La discussione è stata lunga, hanno chiesto di aspettare una settimana appunto perché le dimissioni non erano scritte. Siccome però la notizia è usci­ta prima, allora ci siamo ritro­vati con Blanc per rescindere il contratto». Omette il ring me­taforico, per non incorrere nel­l’ira di qualcuno. «L’ambizione alla Juve c’è ed è elevata, la pressione di tifosi e stampa per l’annata che verrà anche. Comprendo Blanc che difende il club e io non mi sento indi­spensabile.
Ho avuto la chance di guidare un gruppo di gioca­tori super anche dal punto di vista umano. Insieme, abbia­mo intrapreso un bel percorso professionale. Ma la realtà è questa: la Juve, è vero, rimane e scriverà nuove pagine ap­passionanti senza di me. Io va­do via e non provo rancore. I colori bianconeri resteranno nel mio cuore, così i suoi sup­porter che mi sono stati vicini durante tutta la stagione. Io non sono il club, ma so benis­simo che la responsabilità dei risultati, alla fine, è dell’alle­natore. E se mi devo rompere lo voglio fare con le mie idee. Certo che se uno non si adatta va via e arriva un altro al suo posto...».
Lanciano il commento di Giovanni Cobolli Gigli, in perfetto francese, in questi me­si la lingua ufficiale della Vieil­le Dame. «Non mi fa piacere la sua uscita. Lui ha accettato la serie B a - 30. Dobbiamo rin­graziarlo, Deschamps». E Didì si rallegra. « Il presidente ha sempre manifestato il suo so­stegno, ma chi decide... decide. E bisogna adattarsi». Il refrain sembra quasi una maledizio­ne. Adattarsi, una situazione mentalmente lontana anni lu­ce dall’uomo di Bayonne. Me­glio ripercorre qual che di po­sitivo ha caratterizzato l’av­ventura agli inferi, andata e ri­torno. «Il clima di fiducia crea­tosi tra me e i giocatori. Ovvio, nelle squadre non mancano le tensioni, gli attriti, ma con lo­ro la relazione umana era di alto livello. Oltre al lavoro quo­tidiano, loro che sono gli attori protagonisti, hanno apprezza­to anche i rapporti».
Vruuum, e riparte un con­tributo sonoro. E’ Jean Alain Boumsong che commenta con disappunto la nuova situazio­ne. «Sono approdato alla Juve anche per lui, sì per la fiducia che Didier aveva dimostrato nei miei confronti. Adesso, la separazione mi lascia un po’ perplesso; sono toccato profon­damente dall’evento». E il mi­ster prova a soccorrere il co­losso d’ebano, a parole. «Jean Alain, dopo un periodo logico di adattamento, non solo per la lingua, si è preso le sue soddi­sfazioni, perché era tra i più criticati. La mia partenza non è stata una bella cosa per lui, ma possiede un potenziale e un buon margine di migliora­mento ». Chissà quanto si ras­sicurerà il difensore orfano del suo mentore...
L’argomento futuro non sfugge a monsieur l’ex juventi­no, che per il futuro ha rotto con il presente. «Il mercato? E’ fondamentale che i migliori re­stino tutti e che altri bravi gio­catori si aggiungano. La con­correnza non manca, la Juve è sempre la Juve, ma senza la Champions può avere un han­dicap in più. Detto questo, la Juve rimane un club che inte­ressa i grandi giocatori». Spe­ranza che si fonde con poche certezze, al momento. Avvenire nebuloso o colorato d’azzurro? «Parte l’aumento di capitale, e forse per questo volevano ri­mandare le comunicazioni alla prossima settimana. In quanto al mio, di futuro, ora osservo che la situazione è cambiata: ho ritrovato la mia libertà, so­no disponibile ad allenare al­trove, vediamo quale proposte giungeranno. Ho sentito che il presidente del Lione Aulas mi ha citato: prima lui aveva Houllier e io ero sotto con­tratto alla Juve, quindi non ab­biamo discusso, ma adesso ve­drò se c’è una soluzione che mi conviene. Preferenze? Nessu­na. Così come da giocatore, io aspiro a vincere. Ripeto: ritro­vo la mia libertà, con tranquil­lità e non detto i tempi per la ripresa » . Tic tac, l’intervista­confessione è scaduta. Alla prossima...

Friday, May 25, 2007

UNA FESTA CONTRO L'inter "METTETEVI LO SCUDETTO..."

FRANCESCO ZUCCHINI
Da Libero di venerdì 25 Maggio 2007

Clacson, bandiere, fumogeni, slogan, petardi e traffico paralizzato nel centro di Milano. Pomeriggio da matti, e questo per dire che la qualifica non è copyright dell'inter. Il Milan celebra la Champions e non solo. Quella della Coppa, ampiamente festeggiata ad Atene in una notte insonne, è anche una scusa per riappropriarsi della leadership milanese che lo scudetto aveva assegnato ai cugini nerazzurri. Non sia mai. E così si trasforma in una festa contro l'inter. A cominciare da un ritornello («Lo scudetto mettilo nel c...») che col passare dei minuti diventa un tormentone, parte dai tifosi e fatalmente coinvolge i calciatori del Milan assiepati sull'autobus a cielo aperto; e tutti lo cantano, e tutti lo urlano, e lo ripetono all'infinito per le strade del centro, imitati da insospettabili signore della Milano bene, e altrettanto insospettabili professionisti in cravatta e maniche di camicia che fanno capolino dai balconi dei loro uffici con le volte affrescate. Nel delirio collettivo gli ultrà fanno miracoli: tutto ciò che esce dalla loro bocca, e inizia inevitabilmente con stronz, cul, caz, put, coglion, riescono puntualmente a metterlo in rima con la parola inter. Gli italiani fanno la guerra con lo spirito di una partita di calcio? Di sicuro affrontano il calcio come una guerra. Armiamoci e partita. Se ne sentono e se ne vedono di ogni. Duemila i tifosi alla Malpensa alle due del pomeriggio, un caldo che passa i trenta gradi. Ma per il ritorno in patria degli eroi vincitori questo e altro. L'"altro" è l'appuntamento alle sette della sera per rivedere i campioni sfilare stavolta sull'autobus scoperto lungo le vie di Milano. Anche qui i tifosi arrivano a migliaia.

IL VOTO DI ANCELOTTI
Molti non dormono da 48 ore, avanti e indietro da Atene, senza soste; e oggi pomeriggio, ci si può giurare, saranno a San Siro per la festa-bis rossonera. Quasi tutti indossano la casacca di gioco e si identificano per generazioni: i più giovani hanno la casacca di Kakà, gli evergreen quella di Maldini, le fasce intermedie di Gattuso o Inzaghi. Tutti nella notte di Atene avevano un sogno, un voto, un traguardo, una promessa da esaudire o da mantenere. Non solo i tifosi. Carlo Ancelotti aveva detto ai figli: se vinco, smetto di fumare. Kakà aveva un desiderio: vincere la Champions. E pensa al Pallone d'Oro. Pippo Inzaghi un anno fa chiedeva solo di tornare a giocare. A 34 anni, con i due gol al Liverpool è entrato nella storia e adesso non si ferma più «vorrei arrivare a 100 gol con la maglia del Milan». Gliene mancano 12. «Due reti in finale le sogni da bambino, sono state le più importanti della mia vita. Non dimenticherò mai quando sono tornato in campo dopo un anno che non giocavo: per i tifosi era come se non mi fossi mai fermato e avessi continuato a fare gol. Con loro avevo un debito, l'ho ripagato». Si discute su scudetto e Champions: cos'è più importante? inter e Milan rappresentano guarda caso le due opposte correnti di pensiero. «Firmerei tutti gli anni per la Coppa dei Campioni: è più bella e sfido chiunque a smentirmi». Ancelotti rinfocola la polemica. E continua.

«SI APRE UN NUOVO CICLO»
«Questa vittoria è la base di partenza per aprire un altro ciclo. La svolta della stagione è stata la partita di Monaco. Prima la squadra tentennava, era discontinua. La finale l'abbiamo giocata in maniera diversa per merito o per colpa del Liverpool. Il nostro segreto è la sintonia tra allenatore, giocatori e società. E il senso di appartenenza al Milan». Ancelotti deve rinnovare il contratto «ma non c'è fretta e non c'è problema. Ci aspetta una stagione affascinante con Supercoppa e Coppa Intercontinentale. Ma la priorità resta la Champions League». C'è una nota stonata nella festa e riguarda Kaladze. Il georgiano si è lamentato: troppa panchina. Ancelotti non ha gradito: «Se vuole andarsene faccia pure. Non abbiamo trattenuto controvoglia nemmeno Sheva».

LE STELLE IN AUTOBUS
I campioni hanno festeggiato sull'autobus scoperto, rosso e nero, per le vie del centro. Tutti, anche Ronaldo, con la maglietta rossa celebrativa, le bandiere, la Champions sollevata al cielo da Maldini in prima fila. L'autobus procedeva lentamente attorniato da tifosi esultanti e un po' fuori di testa. Nell'euforia collettiva il più osannato è stato Pippo Inzaghi, perfino più di Maldini, Gattuso e Kakà. Gli sfottò ai cugini sono cominciati in maniera innocente stile tempi di Prisco e Rivera: i giocatori hanno mostrato un cartello nerazzurro con su scritto "Io non la vinco da 42 anni" riferito alla Coppa Campioni. Ma si è passati in fretta al tifo da curva sud, che duori contesto, in piena zona Brera fa ancora un certo effetto. Quando il corteo è transitato in via Verdi l'opera ha toccato inevitabilmente l'acuto: scritte insolenti, un enorme fallo di plastica rivestito di rossonero sollevato da Kaladze come un trofeo, e il famigerato striscione dedicato allo scudetto dell'inter. Con le istruzioni per l'uso.

Thursday, May 24, 2007

IBRA: AUMENTATEMI LO STIPENDIO

FABRIZIO BIASIN
Da Libero di mercoledì 23 Maggio 2007

In cortile, parcheggiata, c'è una Bentley fantastica. Saliamo le scale e suoniamo a casa Ibrahimovic Sono le tre del pomeriggio. Usciremo dalla suddetta un'ora e mezza dopo. In 90' minuti di chiacchiere e confidenze al pepe, uno dei fenomeni più puri del calcio mondiale parlerà e parlerà. Zlatan ci accoglie in tuta e maglietta («griffata Nike, altrimenti mi ammazzano!») e si coccola il terzo vertice del triangolo, Luciano Moggi, uno «a cui devo molto: quando ero all'Ajax mi voleva solo lui, dicevano che segnavo poco». Nell'altra stanza il piccolo Maximilian, otto mesi e la stessa faccia furba del padre. «È il mio piccolo bastardo» sorride Zlatan, che strizza l'occhio alla moglie («sto sempre con lei e con il piccolo, le notti milanesi non mi interessano») prima di iniziare lo show. Molto piacere... «Aspetta - suona il telefono - "Ok Mino, a dopo". Scusa, era il mio procuratore». Problemi? «Assolutamente no, solo che oggi va a trovare Moratti: devono parlare dell'adeguamento del mio contratto...» Ripeto: problemi? «Guarda, l'estate scorsa Moratti è stato bravissimo, il più veloce di tutti. Mi voleva anche il Milan, ma i nerazzurri hanno sbaragliato la concorrenza: avevano un progetto. Mi piacerebbe che ci fosse la stessa decisione anche adesso». Questione di quattrini? «Eheheheh. Alla Juve su certe cose erano più decisi». Spiegaci. «Con lui (indica Moggi ndr) era tutto preciso e stabilito, del resto la Juve era una squadra abituata a stare al vertice. Non potevi sgarrare. All'inter abbiamo appena cominciato a stare nel "paradiso delle vincenti"...». Differenze tra le due squadre? «Per farti capire: quando entravamo in campo con la Juve gli avversari se la facevano sotto. Prima della partita eravamo già 1-0 per noi. All'inter questa cosa non succede». Fantastichiamo: Juventus 2005/06 contro inter 2006/07. Chi vince? Sono due grandi squadre, ma la Juve aveva qualcosa di più. Un senso di coesione che a Milano ancora non c'è». Questione di caratteri? «Non saprei. Ma ti posso dire che l'anno scorso se uno giocava male gli altri lo tiravano su, qui invece accade il contrario: chi gioca male trascina gli altri. Te l'ho detto, bisogna saper stare ai vertici. All'inter stiamo imparando. E poi...». Prego? «Una grande squadra non può permettersi di prendere sei gol in una partita. Neanche quando manca di motivazioni e in palio c'è "solo" la Coppa Italia». Servono rintocchi per l'anno nuovo? «Tre. C'è bisogno di gente di spessore che ci faccia fare il salto di qualità». Un nome? «Christian Chivu. Giocavamo insieme all'Ajax e per me è un fenomeno. Fossi in Moratti non me lo farei scappare». E Suazo? «Bel giocatore. Se arriva sono contento. Anche se siamo già in quattro all'attacco». In cinque. C'è anche Recoba... «È vero, ma guarda che non l'ho dimenticato. In allenamento si impegna come pochi, quest'anno però ha dovuto fare i conti con continui infortuni». Domani (oggi ndr) c'è la finale di Champions. Ti toccherà guardarla in tv. «Potevamo esserci anche noi. A Valencia siamo solo stati sfortunati». E invece si affrontano Milan e Liverpool. Chi vince? «Il Milan. Grande squadra e hanno troppa voglia di vendicarsi». Così i maligni diranno: "Anche quest'anno l'inter ha vinto meno del Milan". «Io dico il contrario. Se vincono i rossoneri mettiamo a tacere tutti quelli che dicono che la serie A è un torneo in discesa libera. E noi, del resto, saremmo quelli che hanno battuto due volte i campioni d'Europa. Mica male no?». Vero. Chi deciderà la partità? «Non lo so, ma ti faccio un'altra previsione. Il Pallone d'Oro andrà a Kakà. Anche se dovesse perdere la finale». A te niente? «Non ci penso. Sono cose che devono arrivare naturalmente». A che punto sei della tua carriera? «Ho vinto 5 titoli nazionali, ma devo ancora crescere in molte cose. Quando avrò raggiunto il top sarà il momento di smettere. Si va avanti solo con gli stimoli». In effetti tecnicamente hai ancora molto da imparare... «Eheheheh. Colpa di questo (mostra il piede nudo ndr). Ho il 47». Parlavi di cinque titoli nazionali. C'è chi non è d'accordo... «Peggio per lui. Ho vinto due titoli con l'Ajax, due con la Juve e quest'anno con l'inter. Stop». Sei affezionato ai tuoi vecchi compagni? «Sì, a Torino stavo bene e come città la preferisco a Milano. Poco fa ho sentito Nedved e sono contento per lui e per la Juve. L'anno prossimo sarà una bella sfida». Già, inter-Juve. Che match sarà? «Darò il massimo per far vincere l'inter naturalmente». Naturalmente. Il collega che ha inciso di più l'anno scorso e quello che ha fatto altrettanto quest'anno. «Guarda, non riesco a fare distinzioni. Siamo stati tutti bravi sia alla Juve che all'inter. Certo quest'anno Materazzi e Stankovic hanno fatto meraviglie». A proposito di Materazzi, mai avuto problemi con lui? «Neanche uno. È un grande e mi dispiace non poterci giocare contro: avversari come lui mi stimolano». Meglio Capello o Mancini? «Capello è bravissimo perché ha il fare del leader e vuole avere sempre il polso della squadra. Mancini è bravissimo perché parla poco: si aspetta che i giocatori si comportino da professionisti. In più ha un tocco di palla...». Ti capita di sentire ancora Capello? «No». A proposito: l'infortunio all'adduttore? Per fortuna ci sono le vacanze... «Sto recuperando, ma ci vuole tempo. Andrò in vacanza, forse alle Maldive, ma prima devo giocare due partite di qualificazione agli Europei con la Svezia...». («Pensa a rimetterti Zlatan, altro che partite!» lo consiglia Moggi). A proposito di nazionale: hai ricucito i rapporti col ct? «In ottobre mi caccia dal ritiro perché una notte arrivo con un'ora di ritardo: non ero ubriaco, nè avevo combinato guai. Poi mi richiama dopo una settimana e mi fa: "Vabbè, dimentichiamo tutto". Col cavolo, dico io. Sono tornato, ma gioco esclusivamente per la gente e per tutti quei ragazzini che in Svezia mi adorano». Il Mondiale però è andato male. «Avevo problemi personali: se la mente è altrove in campo combini poco...». Gira una leggenda: hai 12 anni, la tua squadra perde 4-0, entri nel secondo tempo e segni 8 gol. Finisce 8-4 per voi. «Tutto vero. In campo ero il più piccolo». Grazie Zlatan. Ah... Bella la Bentley. «È di Vieira. Abita qui sopra e ancora più su c'è Ronaldo. Anch'io però ho le mie belle macchine. Una in particolare...». Scommetto una Ferrari... «Prima di firmare con la Juve dico a Giraudo: "Firmo, però voglio una Enzo Ferrari". E lui: "Tranquillo". Dopo un po' torno alla carica e Giraudo mi fa: "Ti do la sua, quella di trent'anni fa...". Alla fine sono riuscito ad averla veramente, è bellissima, ce ne sono solo 399 esemplari al mondo». Erano forti quelli della Triade. «Li hanno fatti fuori perché vincevamo troppo: questione di gelosia. Quando sono arrivato all'inter la prima cosa che ho detto a Moratti è stata: "Se vuoi cambiare la mentalità devi prendere Luciano". Per fortuna abbiamo vinto lo stesso...».

Sunday, May 20, 2007

LE PAGELLE DEI PROMOSSI

MARIO BERTERO
Da Libero di domenica 20 maggio 2007

Buffon 9: il miglior portiere del mondo prima ha saputo accettare la serie B, poi l'ha affrontata come fosse la Champions. Dozzine di interventi decisivi, è stato uno spot nello spot per la squadra bianconera calata nella provincia del pallone. Mito. Birindelli 6,5: veterano, ha messo la sua esperienza al servizio della squadra. Autore del gol-partita a Pescara. Mister utilità. Zebina 6: è restato controvoglia, ha battibeccato spesso col pubblico che lo fischiava per le sue famose "zebinate". Un buon finale di campionato gli vale però la sufficienza. Chiellini 7: si è alternato tra il ruolo di centrale difensivo e quello di esterno sinistro che (con l'arrivo di Grygera) tornerà suo l'anno prossimo. Jolly prezioso, ad Arezzo regala la certezza della promozione con una bella doppietta. Boumsong 5: avvio da incubo, tra Rimini e Vicenza non ne imbroccò una; migliorato leggermente nel corso della stagione; ripiombato nell'abisso dopo il gol e la bella prova di Verona. Doveva essere l'erede di Thuram, è stato la vera delusione. Balzaretti 6: meglio come incursore che da terzino sinistro vecchia maniera; ha segnato un paio di gol ma anche mostrato limiti fisici e tecnici insospettabili: per una grande Juve, in A e al massimo un rincalzo. Camoranesi 7: il voto è la media tra il 9 dei match giocati da campione del mondo e il 5 pieno di tante, troppe prove irritanti di inizio stagione. A gioco lungo la sua qualità ha fatto la differenza, ma l'uomo è quello che è. Marchionni 6: ha avuto diverse occasioni per mettersi in mostra ma non le ha sfruttate come doveva e (forse) poteva. Destinato a partire. Giannichedda 6,5: gli infortuni ne hanno condizionato il rendimento, ma quando stava been Deschamps non lo ha mai messo in dubbio. In A può essere utile, anche come rincalzo, a 32 anni l'esperienza ce l'ha. Zanetti 6: come Giannichedda, con l'aggravante che l'ex interista si è dimostrato meno abile in fase di costruzione, ha rimediato cartellini a quantità industriale per la nota rudezza, e da lui ci si aspettava di più. Paro 6: partito titolare (a segno a Rimini nella prima storica partita della Juve in B), ha chiuso da rincalzo complice il boom di Marchisio. Dopo un promettente girone d'anda ta, guai fisici e calo di condizione lo hanno piuttosto ridimensionato. Marchisio 7,5: la vera rivelazione della stagione: personalità, tiro, giocate di prima. Il baby del vivaio non sarà Emerson, ma su di lui si può scommettere, anche se il suo futuro immediato è la Reggina (prestito). Nedved 8,5: il trascinatore ha corso, lottato, segnato gol pesanti, fornito assist dimostrando l'entusiasmo e la freschezza di un ventenne, nono- stante viaggi per i 35. Sarà ancora uno leader in serie A. Mezzo voto in meno per le 5 giornate di squalifica per l'espulsione di Genova. Trezeguet 6: ha cominciato segnando alla media di due gol a partita, e si favoleggiò sui possibili 50 gol del bomber franco-algerino in B. Troppa grazia. Prima i tanti infortuni, poi la sgradevole sensazione che abbia giocato al risparmio gli ultimi mesi. Passato e presente della Juve. E, nonostante tutto, forse anche il futuro. Del Piero 9: 20 reti, il titolo di capocannoniere prenotato. A 32 anni e mezzo non ha più la brillantezza dei tempi d'oro, è ovvio, ma ha giocato in B da campione del mondo, da capitano autentico. Non risparmiandosi mai, è stato un impareggiabile esempio per i compagni, specie quelli più giovani. Palladino 7: l'altra bella scoperta del campionato bianconero. Ha saputo fare l'attaccante rimpiazzando a turno Trezeguet o Del Piero, ma anche l'esterno di sinistra quando si è trattato di sostituire Nedved. Ha colpi da campione, non ancora la continuità necessaria. Ma il futuro gli appartiene. Hanno contribuito alla promozione, con alcune apparizioni più o meno significative, anche i difensori Kovac e Legrottaglie 5,5 a entrambi e gli attaccanti Zalayeta 6, è stato decisivo a Bologna all'andata e Bojinov 5,5, una doppietta al Lecce e poi tanto fumo e poca sostanza. Deschamps 7: con una rosa da serie A sarebbe stato un delitto non ottenere la promozione, ma alzi la mano chi a settembre avrebbe immaginato una cavalcata trionfale. La Juve non ha regalato lampi di spettacolo, ma è risultata tosta, cinica, continua. Meriti, monsieur Didì li ha sicuramente avuti. Ma chissà se saranno sufficienti per ottenere una conferma che, a oggi, appare seriamente in discussione.

JUVE, 5 IDEE DI SERIE A

LUCIANO MOGGI
Da Libero di domenica 20 Maggio 2007

La Juventus è tornata in serie A. Niente da dire: questo è il posto che spetta di diritto a squadra e società. Dico "di diritto" perché i bianconeri sono stati retrocessi da chi probabilmente non riusciva a debellarne la forza in altro modo. Il campionato di serie A 2006-07 ha sofferto molto la mancanza della Zebra e non ha offerto emozioni semplicemente per mancanza di avversari. Così il campionato di serie B è improvvisamente diventato importante e ha assunto qualità maggiori: merito, appunto, della Juve. I superficiali dicono che il pubblico ha disertato gli stadi di serie A per disamore, ma non hanno tenuto conto che sono aumentati a dismisura gli spettatori della serie B: alcune scuole, addirittura, sono rimaste chiuse nel giorno della partita casalinga con i bianconeri. Il club di Torino è riuscito a tornare in serie A nonostante le continue tribolazioni dovute a notizie diffuse a mezzo stampa che l'hanno involontariamente coinvolta. L'allenatore Deschamps, nonostante tutto, è riuscito a tenere calma una barca che sembrava fare acqua da tutte le parti. Diciamolo ad alta voce: in queste condizioni solo la Juve poteva riuscire a superare l'handicap derivato dai punti di penalizzazione e vincere con largo margine il campionato. Onore quindi a società, squadra e allenatore per quanto hanno saputo fare. Ora servirà affrontare la serie A con unità d'intenti, senza ombre di dissidi interni che potrebbero offuscare il futuro e senza rincorse più o meno sotterranee ai posti di comando. In particolare mi sembra quantomeno dannoso mettere alla berlina chi fino a questo momento ha operato nel modo migliore. Qualche consiglio per la Juve che dovrà affrontare la A: per far bene saranno indispensabili fermezza nel comando, sicurezza nel prendere le decisioni e competenza nel formare la squadra del futuro; saranno questi gli ingredienti per riportare il club al livello che gli compete. E questo è l'augurio che si fanno tutti i tifosi juventini, compreso il sottoscritto, che sicuramente è tra quelli che hanno sofferto di più per la retrocessione immeritata (lo dimostreranno i processi della magistratura ordinaria: in essa ripongo la massima fiducia). Altro consiglio: sarebbe un errore togliere il bastone del comando a Deschamps. Il tecnico francese e Alessio Secco devono avere un solo e unico pensiero, quello di riportare la squadra a lottare ai vertici del calcio. I tifosi devono "fare cerchio", applaudire società e giocatori per quello che hanno saputo fare in una stagione tribolata come quella che va a terminare. Blanc e Cobolli Gigli, invece, dall'alto dei loro ruoli dovranno tenere le fila del tutto e soprattutto dovranno impedire l'insorgere di chiacchiere relative ad acquisti e cessioni che finiscono sempre per destabilizzare una squadra che fa notizia come poche altre. Ovviamente la Juventus dovrà con tutte le forze riuscire a trattenere i suoi giocatori migliori: Gigi Buffon, Trezeguet, Camoranesi, Del Piero e Pavel Nedved. Intorno a loro sarà necessario immettere i giovani e interessanti campioni che hanno già calcato i campi di serie A e serie B con moltissimo merito. Dev'essere adeguatamente comunicato a tutti quanti che l'obiettivo prioritario della Juventus è quello di riprendere il posto di prim'attore nel tempo e non nell'immediato: ciò per poter dar modo ai giovani campioni bianconeri di farsi le ossa per poter portare avanti quei cicli di vittorie che la Juventus è abituata a collezionare. Se la società riuscirà a diffondere questo programma pubblicamente, se non si parlerà quindi di scudetto immediato come ho sentito dire già diverse volte, se i tifosi accetteranno e sosterranno il programma del club, solo con questi presupposti nascerà una Juventus di prestigio che "altri" (e certo non nella triade) sono riusciti a distruggere.

Saturday, May 19, 2007

DIKTAT DI COBOLLI: VIETATO PARLARE A MOGGI

LUCIANO MOGGI
Da Libero di venerdì 18 Maggio 2007

Il diktat di Cobolli: vietato parlare a Moggi. Fossero questi i problemi della Juventus...
Caro direttore, siamo al ridicolo: l'ennesima diatriba tra vecchia e nuova dirigenza mi fa pensare, se, per caso, non siamo tornati ai tempi delle scuole elementari, quando, per ogni minima questione, si andava a frignare dalla maestra. Ricordo che all'epoca si mettevano gli alunni cattivi dietro la lavagna, mentre per i più zucconi, c'era l'onta del cappello con le orecchie da somaro. Non appena scoperta l'esistenza di una tua telefonata con Secco sono fiorite infinità di insinuazioni: l'ombra di Moggi dietro la nuova Juve, Moggi consiglia Secco per il mercato. Non ci dobbiamo stupire più di niente, in un mondo che non conosce il buon senso, dove i processi si fanno sui giornali e dove, lo scopro oggi, è diventato reato ricevere o fare una telefonata a Moggi. Basta questo per scatenare i pruriti dei perditempo alla ricerca di facili scoop. C'è veramente di che demoralizzarsi pensando al ridicolo teatrino in cui si è trasformato il calcio italiano e non per colpa della Juve e della sua passata dirigenza. Anzi, l'impressione sempre più netta, è che in quel (questo) calcio di vasi di ferro Luciano Moggi fosse l'unico vaso di coccio. Il presidente Cobolli Gigli invece di indirizzare pensieri e energie a qualcosa di utile per la costruzione della nuova Juve riprende un'onesta dichiarazione di Alessio Secco e la censura: tutto questo perchè il ds si è permesso di nominare lei, sig. Moggi, a proposito di una (tra le tante), telefonate di solidarietà ricevute. Non capisco come si possa perdere tempo per simili sciocchezze. Mi viene in mente un pezzo di Mario Sconcerti che indicava in Cobolli Gigli una «figura quasi risorgimentale» e nella nuova Juve «una società piena di vecchi gentiluomini di campagna, di inquietitudini più che di sicurezze». L'intento di Sconcerti era lodevole, ma dove andremo a finire con i vecchi gentiluomini e le figure risorgimentali? Ebbe inoltre a dire Boniperti in assemblea: «Ho conosciuto queste persone e ve le raccomando. Sono persone per bene, l'unico difetto che hanno è che fino a quando non sono state chiamate a questo incarico, non sapevano niente di pallone». Se fino a ieri l'altro non sapevano niente di calcio - mi son detto e con me tutti gli altri tifosi juventini - come verrà condotta la società nei quotidiani problemi del calcio? Ho l'impressione che se stiamo tornando in A dipende dalla squadra lasciata in eredità dai vecchi reggitori. A proposito di quel rimbrotto fatto a Secco il nostro presidente ha detto che: «La Juve del presente non ha rapporti con quella del passato». Presidente: il passato - leggi Bettega - è lì con voi. Questo non deve essere considerato uno scandalo, così come non dovrebbe essere uno scandalo citare Moggi come ha fatto Secco. Di cosa ha paura la Juventus? Un tempo facevamo tremare tutti, ora ci nascondiamo perché un dirigente ha fatto il nome di un presunto "innominabile". Certe cose avvenivano ai tempi dell'ostracismo nell'antica Grecia. Grazie per lo spazio che vorrà dare a questa mia ed un grande in bocca al lupo per il futuro. ALFONSO
Mi sono imposto che non sarei mai entrato in polemica con la nuova dirigenza bianconera e non lo farò neanche in questa occasione. Credo che la nuova Juve di tutto abbia bisogno fuorché di polemiche stucchevoli ed inutili. Come dice lei la dichiarazione di Secco era onesta e lineare. A giudicare dalla reazione dovrei definirla anche coraggiosa. Non credo sia un delitto fare o ricevere una telefonata (una) di solidarietà a/da persone ancora in orbita Juve. Penso, invece, che sia una prova di attaccamento ai colori da tenere in ben altra considerazione. All'occorrenza (e questo è un motivo di soddisfazione personale per quello che ho fatto in passato), tante persone, anche dell'attuale staff, hanno manifestato al sottoscritto piena solidarietà a cominciare dal capo del settore giovanile, Ciro Ferrara (e non solo), al quale abbiamo lasciato in dote giovani che potranno sicuramente dare lustro alla Juve del futuro.
Identità nazionale dei club: la crociata (sbagliata) di re Blatter
Le squadre multinazionali cui siamo abituati hanno i giorni contati. Milan, Real, inter, Manchester, Arsenal, Chelsea, Barcellona e tanti altri club, anche meno ricchi, dovranno ricostruire l'ossatura della squadra su giocatori nazionali. In futuro l'utilizzo dei fuoriclasse mondiali sarà limitato a 5 giocatori su 11. Sta per essere introdotta la regola che impone, secondo le anticipazioni oggi disponibili, ad ogni squadra di schierare almeno 6 giocatori nazionali. Fifa, Uefa, varie federazioni nazionali nonché i sindacati dei calciatori, col fedele sostegno della stampa sportiva, stanno riuscendo a far passare questa come una riforma largamente condivisa. Dai palazzi del governo dello sport nazionale e internazionale ci viene spiegato, che il proliferare degli stranieri nei nostri campionati ed il loro preponderante numero in molte blasonate formazioni, è uno dei mali peggiori del calcio d'oggi. Ecco quindi il salvifico progetto dell'Uefa, atto ad introdurre quote di giocatori "nazionali" nelle rose delle squadre di club.

CHE ERRORE LA REGOLA DEL "6+5"
Il sentimento alla base di questa xenofobia calcistica è ben riassunto dal commento che fece circa un anno fa Gordon Taylor, capo del sindacato inglese dei calciatori dopo una vittoria dell'Arsenal contro il Real in Champions: «Il successo dell'Arsenal ha una connotazione amara, perché è il successo di un club inglese, ma non del calcio inglese. Di quello francese, forse. Se dovessimo andar male ai Mondiali magari ci sarà più interesse ad intervenire per modificare lo stato di cose attuale». Il presidente della Fifa, Josef Blatter, ha riassunto per parte sua la missione della federcalcio mondiale con questo slogan: «Ridiamo identità nazionale ai club!». Il 2 novembre 2006 Fifa e Fifpro (il sedicente rappresentante internazionale dei calciatori professionisti) hanno sottoscritto una lettera di intenti per sostenere l'introduzione della regola del 6+5, ossia appunto l'imposizione ad ogni squadra di almeno 6 giocatori nazionali. Il Basket ne è stato illuminato anticipatore: ogni squadra di A deve iscrivere almeno 6 giocatori italiani a referto. E se questo irrefrenabile impeto nazionalista ed autarchico fosse semplicemente antistorico e retrogrado? Se fosse la risposta ad un (falso) problema che in verità riguarda pochi intimi, sodali frequentatori delle associazioni di categoria, delle sale consiliari dei comitati olimpici, dei gabinetti ministeriali? Non ci giunge l'eco ribelle della piazza, non percepiamo i mugugni dei tifosi, non sentiamo il disagio del "calcio di base", per la presenza di troppi giocatori stranieri nel nostro campionato. Eppure nessun dubbio sembra sfiorare i soloni del calcio. Indifferenti all'illiceità delle discriminazioni e delle barriere alla libera circolazione dei lavoratori nell'Ue, persino i sindacati portano avanti il loro progetto di purificazione delle razze calcistiche. Ebbene, qui osiamo mettere in dubbio queste certezze. Proviamo a negare l'idea che alzare barriere sia cosa buona e giusta. A costo di apparire più realisti del re, cerchiamo di dare voce alla maggioranza silenziosa che non si sente per nulla angustiata dal mix di fantasia brasiliana e talento argentino che spesso fa le fortune del club del cuore. Non siamo affatto sicuri che sia giusto, utile e prioritario "ridare identità nazionale ai club". Certo, lo sport è anche un tratto espressivo di caratteri, scuole e culture nazionali. È l'affascinante, catartico teatro di rivalità storiche. Ma chi ha mai dimostrato che il calcio delle rappresentative nazionali sia minato dall'internazionalità dei campionati per club, o che la possibilità d'identificazione nelle gesta di un grande atleta nazionale sia compromessa dalla presenza di praticanti stranieri della disciplina in questione? Uno dei cavalli di battaglia degli xenofobi sportivi è la tutela dei vivai nazionali. Concetto ripetuto alla noia, che però non abbiamo mai visto avvalorare da credibili rilievi statistici. Gli stranieri fanno male al calcio dei settori giovanili, si dice. Ma quanti giovani italiani hanno beneficiato del maggiore livello tecnico, cui non poco hanno contribuito i giocatori stranieri? I nostri massimi tornei di rugby, pallavolo, pallacanestro e calcio sono tra i più competitivi perché vi partecipano i migliori giocatori, non solo i migliori italiani. Inoltre, dato che lo scopo dello sport non è il professionismo (e secondo De Coubertain neppure la conquista degli allori), ci si dovrebbe dolere se, per la presenza di troppi stranieri, vi fosse un calo della pratica sportiva di base, ciò che invece non risulta. Passiamo dunque alle motivazioni protezionistiche e sindacali. Ci chiediamo, sperando di non scandalizzare nessuno, se sia giusto e condivisibile precludere l'ingresso a calciatori più meritevoli per preservare il posto ai nostri connazionali. Si tratta evidentemente di garantire il contratto di lavoro ad un certo numero di giovanotti italiani che vogliono fare i calciatori, anche se il mercato (internazionale) ne offrirebbe di migliori. Ma, si chiedono i difensori dell'italianità del campionato, sono sempre davvero migliori gli stranieri che arrivano in Italia? All'obiezione si può semplicemente rispondere, che non esiste metodo migliore per stabilire il merito che lasciare la libertà di scelta agli interessati. Certo i club possono sbagliare, ma tale possibilità non giustifica l'imposizione di sei calciatori nazionali in ogni squadra. E se gli sbagli sono, come spesso si sente dire, frutto di squallidi interessi di operatori disonesti, sarebbe bene dimostrare che in un mercato esclusivamente nazionale le pastette tra procuratori, allenatori e presidenti non esisterebbero o sarebbero inferiori. Chiunque abbia memoria dei bei tempi passati e un minimo di discernimento sa bene che la tesi non regge. In verità l'unico effetto certo delle barriere all'ingresso degli stranieri è la lievitazione dei costi dei calciatori italiani. È infatti evidente che, salvo distorsioni occasionali, i club girano il mondo alla ricerca di talenti perché in tal modo, pescando in un mare più grande, riescono a scoprire e ad ottenere buoni giocatori a costi più competitivi. Cosa non possibile se fossero costretti ad accapigliarsi nel solo mercato nazionale, dove ogni giovane emergente diventa, e diventerà ancor di più con le nuove regole, una piccola star, contesa e corteggiata da tutti i club (con esiti scontati a favore delle società più ricche). Così i migliori alleati del sindacato italiano, in questa difesa del territorio dai barbari invasori, finiscono per essere le poche società che, guardando al vantaggio immediato e trascurando il costo di lungo termine prodotto da un mercato non competitivo, intravedono la possibilità di supervalutare qualche loro buon giocatore nazionale. Altre nel frattempo si arrangiano con mirabolanti ricostruzioni genealogiche, scovando in qualche registro parrocchiale gli antenati italiani dei loro calciatori sudamericani.

AI TIFOSI INTERESSANO LE VITTORIE
Non è tutto. A parte l'evidente ricaduta anticoncorrenziale della politica autarchica promossa in varia misura dai sindacati e dai vertici dello sport, ciò che fa più dispiacere, a chiunque creda nei principi dell'integrazione europea, è l'involuzione nazionalistica della quale lo sport sembra farsi promotore. Sono anni che le istituzioni sportive del nostro Paese, e di altri importanti Paesi europei conducono una battaglia instancabile contro l'applicazione dei principi dell'integrazione economica e sociale allo sport professionistico. Noi facciamo il tifo per le istituzioni e i Paesi che fino ad oggi hanno difeso le libertà civili ed economiche anche nel settore dello sport. Certamente ogni cittadino europeo è accanito sostenitore della propria nazionale, ma quando si tratta del calcio di club non esiste alcuna preoccupazione circa il passaporto dei propri beniamini. Non serve alcun sondaggio per rendersi contro che, per quanto concerne la costruzione della squadra, il tifoso ambisce ai migliori giocatori possibili, e non riduce le proprie attese per la soddisfazione di veder giocare un connazionale con la maglia della squadra del cuore. Per il tifoso conta che la propria squadra vinca, giochi bene e competa al più alto livello possibile. Può piacere o no, ma è un segno dei tempi: ci si riconosce nei colori, nello stile della Società, qualche volta in giocatori che ne incarnano lo spirito, mai nella nazionalità dei singoli professionisti, pagati per vincere. «L'idea della Fifa - dice Blatter - è di avere almeno in ogni partita 6 giocatori della nazione in cui si gioca». Noi speriamo che l'idea non si realizzi mai. Qualunque sia il principio ispiratore di questa crociata, non si tratta certo di una richiesta del pubblico. Forse i reggitori del calcio dovrebbero prestare maggiore attenzione ai tifosi: sono loro i clienti del business che arricchisce la piramide del football.
AVV. LUCA FERRARI

Friday, May 18, 2007

Thursday, May 17, 2007

LE CURIOSE AMNESIE DEL DIRIGENTE JUVENTINO CHE ACCUSA MOGGI

EMILIO CAMBIAGHI
Da Libero di mercoledì 16 Maggio 2007

Il testimone dell'esecuzione (sommaria) della Juventus si chiama Maurizio Capobianco, uomo per una stagione sola, quella del dopo Calciopoli, degli improvvisi ritorni di memoria e, molto probabilmente, delle vendette. Il pretesto è un'intervista ad opera di Marco Mensurati apparsa su "Repubblica" venerdì scorso, nella quale l'ex dirigente juventino Capobianco racconta le sue verità da insider. Il titolo ("Così Moggi comprava gli arbitri") è perentorio, i contenuti quantomeno controversi, ma tanto è bastato per scatenare i pruriti dei campioni dell'esegesi unilaterale. Tuttavia, laddove ci si illude di leggere le prove del condizionamento moggiano, si potrebbe in realtà smascherare l'ennesimo tentativo di giustificare gli esiti - sempre più traballanti - delle sentenze rupersandulliane. Capobianco fu licenziato dalla Juventus giraudiana nel settembre 2005 - circostanza che lo ha spinto a citare la società in giudizio per mancanza di giusta causa - ed è curioso che sciolga la lingua soltanto ora, a dodici mesi dallo "scandalo", per raccontare birbantaggini di molti anni addietro. Scorrendo tra le domande e le risposte dell'intervista si incontrano persone, si toccano temi e si formulano accuse che, a guardarle bene, tutto paiono fuorché illeciti sportivi. Si comincia con i giornalisti, poi, dalla carta stampata si passa ai tifosi, medaglia e rispettivo rovescio dello showbusiness calciofilo, sotterraneamente finanziati dalla Semana srl, società di engineering e management secondo Capobianco facente capo ad Antonio Giraudo. Peccato che, rovistando nel mare delle visure camerali e nel gorgo delle fiduciarie, si apprenda come tale impresa sia controllata e gestita da Franzo Grande Stevens (e dai suoi figli), persona assai poco in sintonia con il manager torinese. L'esistenza di flussi di denaro tra (tutte) le società sportive e i gruppi ultrà non è certo notizia che coglie impreparati né è pratica che consente di ottenere vantaggi in classifica. Il tutto condito da un lapsus temporale che l'intervistato si lascia sfuggire: come può uno che ha ricevuto il benservito nel 2005 raccontare fatti relativi all'anno dopo («Fino a quando c'ero io, ovvero marzo 2006»)? Nel mazzo delle accuse non manca la carta Gea World (250 mila euro pagati attraverso una società di comodo), il jolly da sfoderare in caso di impaccio, e nemmeno un riferimento alle schede svizzere: la potentissima Juventus che, non riuscendo a giustificare l'uscita di poche migliaia di euro per l'acquisto delle tessere si trova costretta a commerciare in orologi per pareggiare l'ammanco. C'è poi una macchina in regalo al dirigente messinese Fabiani che è con Luciano Moggi la sola persona considerata colpevole prima ancora di essere non solo giudicata, bensì processata. Ma manca il riscontro inequivoco del vortice di illeciti in cui roteava la Juventus pre-cobolliana. Ed eccola servita, la prova: «Quattro casi in cui la Juve ha fatto arrivare beni di ingente valore a due arbitri italiani, a un esponente della Figc, e a uno della Covisoc». Sembra il momento decisivo, ma sul più bello il climax si interrompe, per lasciare spazio alle rettifiche. I nomi dei coinvolti sono ignoti, i beni di "ingente valore" anche, il periodo indefinito (pare il 1995), le modalità di recapito nebulose: beni monetizzabili «consegnati» da società «terze» a soggetti «terzi», legati ad arbitri (sine nomen) da «rapporti di parentela». Un percorso da far invidia alla teoria dei sei gradi di separazione. C'è spazio anche per Pairetto, che «era di casa alla Juventus», il quale avrebbe «ricevuto» una moto che «pare» non sia stata restituita.

Wednesday, May 16, 2007

LE BATTAGLIE DI TUTTOSPORT

EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di martedì 15 maggio 2007

Da mesi, ormai, nell’ambiente calcistico italiano non si par­la più solo della Juve, ma anche di Tuttosport. Della sua linea edi­toriale, delle sue posizioni criti­che, degli attacchi che porta (per nulla di quelli, anche scomposti e volgari, che subisce), delle de­nunce pubbliche che sporge, del­le battaglie che conduce. Confes­so che ad un giornale non si po­trebbe chiedere di meglio, perché creare dibattito e interesse per i contenuti della testata, è una qua­lità pari solo al numero di copie vendute. Per fortuna di Tutto­sport, come certificato da Ads e Audipress, la diffusione è ottima – e le copie molte di più rispetto all’anno precedente –, segno ine­quivocabile di quanto il quotidia­no abbia un radicato pubblico di riferimento e un bacino di lettori in espansione. Tuttosport, poi, ha dalla sua 62 anni di vita, raccon­tati da firme che, prima di ogni altro merito, possedevano quello di conoscere la lingua italiana, traducendo la competenza in scrittura. Escludendo me, da qui sono transitati ben dodici diret­tori che hanno contribuito a fare la storia del giornalismo, non so­lo sportivo, in Italia. Insomma, siamo gente seria, che conosce il proprio lavoro, il pro­dotto da mandare in edicola, le regole della grammatica e della sintassi, quelle del buongusto, della misura, dell’antagonismo e della provocazione. Purtroppo ad occuparsi di noi, non ci sono solo i Moratti, inteso come Massimo, presidente del-l­’inter, ma anche i Materazzi, in­teso come Marco, difensore (dop­pio) dell’inter. Dal primo, al qua­le peraltro molto imputiamo, ab­biamo incassato fastidio e dissen­so, mai disprezzo. Dall’altro – lo diciamo con risolutezza – non in­tendiamo accettare nessuna lezio­ne né di morale, né di correttezza. Domenica pomeriggio, dopo la fanciullesca «vendetta» del 5 mag­gio 2002 (com’era patetico, cinque anni fa, quel lungagnone frignan­te che se la prendeva con i laziali colpevoli, a suo dire, di non la­sciargli vincere lo scudetto), Ma­terazzi si è prodotto nella seguen­te esternazione: «Dopo la sconfit­ta con la Roma, molta gente si è sciacquata la bocca, ha comincia­to a dire che siamo una squadra di poveretti, che siamo stati umiliati. Ma noi intanto continuiamo a bat­tere i record. Chi dice e scrive cer­te cose lo fa solo per alimentare polemiche e violenza. Parlo di una testata di Torino che dopo Roma aveva scritto: “inter, un altro re­cord”. Adesso potrà scrivere: “In­ter, ennesimo record”. Così maga­ri li aiutiamo a vendere qualche copia in più». A questo galantuomo che, a pro­posito di violenza, si è distinto per avere spaccato la faccia a Cirillo del Siena (1 febbraio 2004), par­tendo da bordocampo dove stava accovacciato perché infortunato; per avere piantato i tacchetti nel­la pancia di Shevchenko in un’a­zione di gioco nel derby del 2003; per essersi fatto riconoscere fino in Bahrein (amichevole del gen­naio 2007) dove venne fischiato da tutto lo stadio; a costui, ripe­to, non me la sento di rispondere. Sia per il livello delle sue argo­mentazioni (quale sarebbe il le­game tra il titolo “inter, un altro record” e la violenza, lo può sta­bilire solo una mente superiore), sia perché, al mio posto, ha ri­sposto Massimo Moratti. «Effet­tivamente – ha ammesso ieri il presidente riferendosi al 6- 2 di Roma – quello era un record». E ha aggiunto: « Non dobbiamo scandalizzarci per l’andazzo edi­toriale di quel giornale ( Tutto­sport). Che ha un suo pubblico e deve soddisfarlo». Ben detto, presidente. Tuttavia, glielo confesso, il pubblico di Tut­tosport non è ancora soddisfatto. E si chiede perché solo su questo quotidiano si sia parlato, e si par­li, del doping amministrativo praticato dall’inter; del caso Te­lecom e delle propaggini che lam­biscono la società da lei presiedu­ta; del patteggiamento di Oriali e Recoba a proposito di un pas­saporto falso messo in mano al­l’uruguaiano. Sono argomenti che qualcuno ( spero non Mate­razzi) dovrebbe affrontare, un giorno, in maniera trasparente e definitiva.

Tuesday, May 15, 2007

A JUVE FAN WANTS JUSTICE

It's been nearly 12 months since the first headlines hit Italy's most prominent pink sports paper regarding Juventus, Milan, Lazio, Fiorentina, inter (yes inter) and the "cupola" that controlled Italian soccer's top flight. We all know what happened, though some are significantly more confused than others. We all know the result as well.

Few, however, know the why or the who behind them. It is with this in mind that I write. There is much that the public has been kept in the dark about and only through archives of articles nearly a year deep does the "cupola" finally reveal its ugly face. There are things we weren't supposed to find out, but passion and perseverance prevailed.

It is imperative that all be brought up to speed regarding this now shameful event. First we should identify key characters and clarify their roles in "Calciopoli". I don't intend to refresh anyone's memory as to who Moggi and Galliani are because these are now household names in any household that knows football.

Instead I'd rather identify the men behind the men – those shady denizens who wheel and deal backstage where the public aren’t welcome at all. The characters behind "Calciopoli" belong to three distinct groups, so let’s begin with a look into the extent of their mainly unseen influence.

The first group is Telecom Italia, Italy's prominent land phone line/Internet service provider which also owns TIM, its cellular counterpart advertised by Ronaldo Fenômeno. This company is chaired by a certain Mr. Tronchetti Provera.

Tronchetti is a lifelong inter fan and a significant inter shareholder. He and Telecom Italia are among inter's most notable investors. As a matter of fact, Tronchetti's tyre company has had its name proudly displayed on inter's jersey for decades (Pirelli).

The second group pertains to the media. Here far too many stakeholders and writers are involved therefore it is best to group them by media affiliation. Newspapers like Corriere dello Sport, Contro Campo, Messagero, and la Gazzetta dello Sport, helped spread the "news" to the public regarding all the "facts" and hearsay that plagued last summer's scandal.

La Gazzetta dello Sport in particular (which has been sardonically nicknamed "La Gazzetta dell'inter" in Italy, although evidently not by many Nerazzurri fans) is actually very heavily subsidized by…the Moratti family.

This takes us to Group three - inter. internazionale FC and its delegates, owned and operated by the Moratti family, have a wide network of affiliates. Their links with the Tronchetti communications dynasty and their massive investments in both print and TV media (Telenova), allowed the Morattis to orchestrate what seems like a near-political coup over the course of two years.

How? Massimo Moratti convinced his long time investor to illegally record Telecom/TIM phone calls and hand them over to him. These recordings included people from rival delegates to referees, from inter players to inter delegates – over 100,000 recordings in all.

The inter management intended to present these recordings to investigators and start a case against their rivals. These recordings were presented to magistrates in Turin, Rome, and Naples, to no avail.

All three magistrates responded to the recordings by indicating that no wrong doing was found and all accusations died on the vine. Moratti's contingency plan was much more sinister. The recordings were to be handed over (in pieces) to the elements of the press that inter had an investment in.

The result was a media frenzy which forced the FIGC to launch an investigation and suspend many of its delegates (now mostly reinstated), prompting only those not suspended (due to the fact that they were not implicated) to assume complete control of the investigation.

This manoeuvre brought Guido Rossi into the picture. Being among the few not implicated on the recordings, Guido became the commissioner of the investigation who not only controlled the proceedings but hand picked the "jury". Guido selected his colleagues and managed to conclude a year long sport tribunal in a mere three weeks. Of course he neglected to mention while at the helm of the FIGC, that he too is a major investor in inter FC and also a former inter delegate who proudly sat at Massimo Moratti's side during games just seasons ago.

The "investigation" brought forth much material. We all remember the Maseratti that was to be given as a gift for favours from Juventus (no identification number, model number, recipient, or even colour of the car was ever made evident). We remember the non-stop phone calls where no result was ever decided.

We remember the Italian Revenue Agency (Guardia della Finanza) entering Juventus headquarters and the home of Fabio Cannavaro looking for proof of illegal fund transfers. They found nothing – of course.

Do we all remember the phone conversations found where the late Giacinto Facchetti (then inter General Director) requested specific referees from both Pairetto and Bergamo (referee designators)? In case some forgot, in a Sky interview Bergamo openly admitted that no delegate called him more than Facchetti.

In fact, Facchetti even dined in Bergamo's home on a number of occasions. We also found out (by accident) that inter falsified passports to maintain the illegal status of foreign players (never further investigated), we also found out that inter participated in fraudulent accounting practices (also never further investigated). In the end these details were never selected by Rossi as he deemed them to be "immaterial".

Less than a month later inter had a Scudetto. Somehow inter had the title two days before the investigation was over. When it was over, everyone but inter got penalized. The most severe was Juventus' punishment. In the end the only proven fixed match was a Parma match that helped Fiorentina survive Serie A.

Even the Viola however remained in Serie A. A few appeals took place which reduced the punishments but in the end inter had a title and a half. Not only were they declared champions of Italy (having come in 3rd) but all potential threats were crippled first in the marketplace.

When Fiorentina lost out on the Champions League – and 22.5 million Euros – and Milan had to forego major trades and purchases in addition to their point deductions rendering them less competitive the game was changed. inter experienced a near market monopoly stealing Vieira and Ibra for peanuts and were the last team standing who could purchase Fabio Grosso (the agreement came as the first headlines about the scandal hit the press).

Take "Calciopoli" away from the equation and inter would have likely been where they always were, without Ibra, Vieira, and behind their rivals. Though they may have won, we'll never know.

After Guido Rossi's speedy demotion of Juventus and prompt coronation of his former employers, Tronchetti decided to thank him for their sudden increase in earnings per share by appointing Guido Vice President of Telecom Italia. FIGC finally came to their senses and recognized (only too late) that there may be a conflict of interest and formally asked Guido to step down as commissioner.

Since the verdicts (which saw Juve lose 250 million Euros in addition to their Serie B punishment) the new Juventus delegates attempted an appeal at the Lazio Regional Tribunal (TAR) but were blackmailed into dropping the appeal.

FIGC threatened to freeze all Italian competition (including Azzurri duties) should the appeal take place. The freeze would have kept the national side from qualifying for Euro 2008. As a result Juve dropped the appeal and all seemed lost.

One judge (who listened to one appeal after the Rossi verdict) by the name of Cesare Ruperto of the CAF declared that the 2004/2005 season was legit. Sig. Serio of the Court of Appeal also said that no match fixing outside of the Lecce-Parma match (in favour of Fiorentina) had occurred.

He then went on to claim that the sentencing was due solely to mass media frenzy and conflict of interests. Guido Rossi himself admitted no foul play after failing to prove that Juventus, Lazio and Milan had cheated but he insisted that the teams found themselves in favorable positions and so maintained the punishments.

The CAF under Ruperto managed to reduce the sentences (but couldn't reverse them) and added that the season was subject to no wrong doing. He insisted that no Moggi system existed and that it was the invention of a little pink newspaper (pg 74 of the CAF declaration). Ruperto went on to say that no game (aside from one assisting Fiorentina) was altered and that no system of bookings existed either, allegedly ensuring that key players were suspended prior to Juve matches (Pg 83). According to the 100-plus page declaration by the CAF, all these accusations were fabricated and exploited.

Recently "Calciopoli 2" has hit the tabloids in Italy but has generated little steam. Basically the investigators in Naples have come forward indicating that Juventus' management used to use Foreign Service providers (Swiss SIM Cards) to conduct all the illegal conversations.

Since the investigators couldn't possibly record Swiss calls, no incriminating conversations actually exist. The question on many minds now is, if all the "incriminating" calls took place on Swiss cards that could not be monitored then what was on the 100,000 Telecom/TIM calls that could possibly justify demotion to Serie B and the title going to another team?

We are also curious as to how Moratti, Tronchetti, and the media could possibly get away with violating a constitutional right to privacy by illegally recording calls and then have them published. These entities could potentially be facing charges of invasion of privacy, defamation of character, fraudulent accounting, insider trading, and identity falsification.

To add to the already overflowing pot of offences, referee De Sanctis has come forward revealing that the late Giacinto Facchetti would call him regularly prior to matches. Many of his requests apparently were not strictly illegal. Nevertheless, on more than a few occasions, according to De Sanctis' televised interview on Antenna 3, he had to refuse Giaccinto's requests because of their unsportsmanlike nature and manipulative implications.

This has angered the inter faithful who claim De Sanctis is accusing a deceased General Director because he can no longer defend himself. The truth is he never had to defend himself. His recorded phone conversations were discarded as evidence by Commissioner Rossi and as a result no one in the inter camp was ever investigated. This occurred while Facchetti was very much alive. This revelation came as no shock since other referees and referee designers have coinciding stories. It is a year-old accusation backed by recorded phone calls that has mysteriously gone ignored.

As a result many fan-based demonstrations from Turin to Naples have taken place and organizations have been created to fight on Juventus' behalf. One association in Italy called "Giu le Mani Dalla Juve" (Hands Off Juve) has finally broken through to the new FIGC management.

The Federcalcio headed by Giancarlo Abete agreed to consider the possibility of reopening the now year-old case. His decision depends on public interest and therefore I encourage all fans who want to see actual justice served to please leave a comment in the comments box below.

Now Juve fans who won’t stand for more are finally being heard. If this case is reopened through Giancarlo Abete Juve could regain the Scudetti they fought so hard for. In addition, all other affected teams would also benefit from financial restitution if the case is reopened. I would like to take this opportunity to remind readers that last year's punished squads produced 12 World Cup Champions, 15 World Cup Finalists, and UEFA honours for best goalkeeper, best defender, and best all-around player. Later even FIFA recognized Fabio Cannavaro as Player of the Year. All awards were attributed to their performances in Serie A as well as Germany '06.

So, do these players sound like they need referee assistance? The answer is self-evident – no. Sceptics may still be convinced that Juventus cheated to be successful, but I urge all that all real football fans weigh up the real evidence that rarely makes the biased Italian media.

If we are talking about doing justice we can’t stop short of our target, but this target has been warped by unbalanced information. Justice should be blind to influences, but we can see that the powers that be have chosen their scapegoats and given pardons with no real regard for an overall truth.

Andrea Casula

Sunday, May 13, 2007

PERCHE’ SONO FONDATI I DUBBI DI DESCHAMPS

EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di domenica 13 Maggio 2007

Condivido quanto negli ultimi giorni dice e pensa Didier De­schamps. Forse perché ha capito di non poter sopportare le pres­sioni di ( e su) questa Juve; forse perché, come anticipato ieri da Tuttosport, la panchina del Lione sarebbe in procinto di liberarsi ( Gerard Houllier è tentato dalla Dinamo Kiev) e una telefonata magari è già arrivata ( o magari arriverà), ma di sicuro il francese appare più freddo e realista a pro­posito del suo futuro bianconero. Secondo me ha ragione e per due motivi. Il primo: Alessio Secco e Roberto Bettega, anime della pre­cedente gestione strettamente connesse e, soprattutto, gestori as­soluti del mercato, effettivamente non gli hanno fornito, non hanno intenzione di fornirgli o, più sem­plicemente, non possono fornirgli né il sostegno che derivi dalla con­siderazione, né i calciatori che di­scendano dal mercato. Ignoriamo perché si comportino in questo modo, ma se è certo che pure i tifosi se ne sono accorti, e ieri han­no manifestato contro di loro in maniera esplicita, è altrettanto certo che Deschamps non avrà chi e quanto chiesto. Secondo motivo: da tempo l’alle­natore ha capito che restare alla Juve senza poter ( o voler) credere al rafforzamento, oltre che rinun­ciando alla lotta al titolo in modo così plateale da definirla pura « utopia » , significa per lui correre un rischio altissimo. Aggiungeteci un dato, non proprio secondario, sul basso gradimento espresso da chi scrive e da questo giornale ( che conta più di qualsiasi altra testata relativamente al mondo Juve) nei suoi confronti e arrive­rete alle conclusioni cui Descham­ps sta arrivando. Il Lione, per prestigio e risultati, potrebbe costituire una grande opportunità. L’unica di grande li­vello. Anche perché – Deschamps mi perdoni, nonostante ai suoi oc­chi io appaia imperdonabile – so­no certo che lui, in Italia, merca­to non ne avrebbe in serie Ae me­no che mai, per ragioni di costi, lo avrebbe in serie B. Ecco perché, quando qualche giorno fa ne ho chiesto l’allontanamento, mi sono permesso di scrivere che in Italia ci sono almeno trenta allenatori migliori di lui. Tuttavia avrei do­vuto essere più preciso e scrivere che nessuna società italiana, di A e B, gli offrirebbe un contratto, nonostante i punti realizzati e la promozione, virtualmente rag­giunta, con la Juve. Tutto questo non significa che De­schamps non possa essere apprez­zato da tanta brava gente ( juven­tina e non), nonostante ogni tanto la sua squadra si faccia trovare impreparata sui calci piazzati ( clamorosa, e documentata da Tuttosport, l’amnesia da angolo di Cesena, quando il tecnico disse che gli avversari erano più alti e non era vero) e poche volte sia persuasiva sul piano della mano­vra. Ma, si sa, l’Italia è un paese così straordinario che anche i france­si vi si adattano attingendo alle contraddizioni. Deschamps, per esempio, si lamenta che quando si tratta di Juve, si parli di tutto tranne che di calcio. Quando poi trova qualcuno che ne vuole par­lare, si defila. O, peggio, si offen­de. Nulla di sorprendente. Anch’io pensavo che il presidente Giovan­ni Cobolli Gigli fosse più drastico e, se me lo permette, più convin­cente sul caso- Capobianco. Inve­ce, rispondere che quelli denun­ciati dall’ex dipendente Juve, in causa con il club, erano fatti noti, mi è sembrato poco solare. Capo­bianco dovrà dimostrarli, questo sì, ma il presidente del nuovo cor­so non li poteva né conoscere né, in caso contrario, tacere. Forse è solo disattenzione. Ma, visto il massiccio dispiegamento mediati­co anti- Juve, nessuno – tantome­no il capo – può permettersi di ab­bassare la guardia. O, peggio, di trascurare i dettagli.

REAL, UNA RIMONTA GALATTICA

EDUARDO ARCINIEGAS
Da Tuttosport di domenica 13 Maggio 2007

REAL MADRID-ESPANYOL 4-3
REAL MADRID ( 4- 3- 3): Casil­las; Cicinho, Cannavaro, Ser­gio Ramos, Roberto Carlos; Diarra, Emerson, Guti ( 1’ st Reyes); Raúl, Higuaín, Van Ni­stelrooy. A disp. D. Lopez, Pa­von, Mejia, Torres, Salgado. All. Fabio Capello ESPANYOL ( 4- 4- 2): Kameni; Velasco ( 29’ st Jarque), La­cruz, Torrejón, Chicha; Rufete (21’ st Coro), Costa, Jonatas, Moha; Pandiani ( 14’ st Luìs Garcìa), Ángel. A disp. Gorka, Hurtado, Zabaleta, Julian. All. Ernesto Valverde.
ARBITRO: Undiano Mallenco.
MARCATORI: pt 14’, 25, 33’ Pandiani, 29’ Van Nistelrooy; 3’ st Raúl, 12’ Reyes, 44’ Hi­guaín.
NOTE: ammoniti Sergio Ra­mos, Chica, Moha.

MADRID. Doveva essere la partita del sorpasso blanco al Barcellona e così è stato, ma che sofferenza! Il Real Madrid piega l’Espanyol do­po che gli ospiti avevano chiuso il primo tempo sull’ 1­3 grazie alla tripletta di El Rifle Pandiani, capace di perforare la difesa madridi­sta al 14’ al 25’ e al 33’. Tra i 3 acuti dell’uruguaiano c’è stata la rete di Van Nistel­rooy, ma un passivo del gene­re alla fine dei primi 45’ avrebbe distrutto molte squadre. Non il Real Madrid, però. E così, dopo l’intervallo, sul campo ritorna una squa­dra diversa, molto più con­vinta dei propri mezzi e del­l’importanza dell’obiettivo da raggiungere. Dopo 3’ dall’ini­zio della ripresa, dunque, Raúl trova il gol del 2- 3 e 9’ Reyes sigla il pareggio. Il Real sente l’odore del sangue della vittima e l’azzanna al collo: a 1’ dalla fine ecco, co­me logica conseguenza, il 4 ° gol della squadra di Capello firmato dall’argentino Gon­zalo Higuaín. Con questo successo le meréngues sor­passano di un punto il Bar­cellona, che stasera al Camp Nou riceve il Betis Siviglia in un match che, almeno sulla carta, non dovrebbe rivelarsi particolarmente ostico per la formazione di Rijkaard. Do­po il clamoroso rovescio in Copa del Rey contro il Geta­fe, non si può più dar nulla per scontato. Intanto Emerson, stella brasiliana del Real assente ieri sera, ha ritrovato fiducia in se stesso e punzecchia i ca­talani, rivali del suo Real nella corsa al titolo della Li­ga.

Saturday, May 12, 2007

DOSSIER DE SANTIS, ARIA DI DEFERIMENTI

ALBERTO PASTORELLA
Da Tuttosport di venerdì 11 Maggio 2007

MILANO. Il cerchio si chiude. E l’inchiesta all’i­nizio della prossima setti­mana passerà nelle mani del procuratore Stefano Palazzi. L’Ufficio Indagini si è arreso: manca ancora un documento, sul tema dei pedinamenti a Bobo Vieri e sul dossier De Santis, eventi entrambi riconducibili all’inter e a Massimo Moratti, che la Procura di Milano si osti­na a non consegnare. Ma ormai è trascorso ab­bastanza tempo: e le con­clusioni di Borrelli e dei suoi collaboratori sono pronte, nei primi giorni della prossima settimana, a finire sul tavolo di Palaz­zi per gli eventuali deferi­menti. Sono due episodi, il pedi­namento di Vieri e il dos­sier De Santis, distinti sia come tempi che come tipo­logia. Per Vieri, l’inter or­dinò un controllo per veri­ficarne la vita “ da atleta”. Evento confermato da Mo­ratti e per il quale risulta anche un pagamento all’e­stero, effettuato dall’inter, per l’attività fornita. Si tratta però di fatti ormai prescritti: Vieri venne pe­dinato e spiato nel 2001, nè la società nè i dirigenti potranno essere giudicati dalla giustizia sportiva. Diverso invece il discorso per la giustizia ordinaria, che continuerà a fare il suo corso sulla base della me­ga- richiesta di risarcimen­to chiesta da Vieri: 21 mi­lioni di euro, nove all’inter che avrebbe ordinato il pe­dinamento e 12 alla Tele­com, che concretamente avrebbe effettuato le inda­gini. Su De Santis, invece, il discorso è diverso perché Moratti ha sempre negato il coinvolgimento dell’In­ter. Coinvolgimento, inve­ce, affermato con decisione dall’ex capo della Security Telecom, Giuliano Tavaro­li, da mesi in carcere.
E proprio in occasione di un interrogatorio effettua­to nel carcere di Voghera, Tavaroli ha affermato che la cosiddetta “ Operazione Ladroni” sarebbe stata commissionata proprio dall’inter, al fine di accer­tare eventuali incongruità, dal punto di vista finan­ziario e patrimoniale, del­l’ex arbitro De Santis e suoi rapporti con Luigi Pa­varese e Mariano Fabia­ni. Su questo fronte, se pro­vate, le accuse all’inter co­me società sarebbero pre­scritte, mentre non lo sono le accuse a Moratti ( pre­scrizione in quattro anni). Da quanto trapela all’Uffi­cio Indagini, gli elementi raccolti sarebbero tali da giustificare un deferimen­to, ma è chiaro che su que­sto argomento l’unico de­putato a decidere è il pro­curatore Palazzi. Tornando a De Santis, che si accinge anche lui a fare una causa milionaria all’inter per le indagini sul suo conto, ieri ha incassato una sconfitta da parte del Tar del Lazio, che ha con­fermato l’inibizione dal­l’attività disposta per l’ar­bitro: quattro anni, stabili­ta dalla Corte Federale lo scorso 27 luglio. Deposita­to il dispositivo della sen­tenza, si attendono adesso le motivazioni della deci­sione.

Friday, May 11, 2007

NE’ UOMINI, NE’ IDEE

EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di giovedì 10 Maggio 2007

L'ordine regna a Babele. Dove ciascuno parla la propria lingua, naturalmente diversa da quella degli altri, come ampiamente dimostrato dall’uso del termine utopia. Dove Jean Claude Blanc si affretta a riconfermare Didier Deschamps (lo fa praticamente a giorni alterni) senza che ce ne sia bisogno, perché nemmeno ufficiosamente l’allenatore francese è stato messo in discussione, ma se l’amministratore delega­to o il presidente s’intendessero anche di sistemi di gioco e di schemi da calcio piazzato, avrebbero già provveduto. Babele è quel luogo dove, fino a due gior­ni fa, Frings era ritenuto un centrocampista fonda­mentale e, di fatto, già acquistato, mentre ieri si è sco­perto che non verrà più.
Io non so se a livello professionistico e, in particolare, all’interno della nuova-Juve, le squadre si costruisca­no così. O se, invece, come credo, si debba partire da un’idea di modulo, da un progetto di inserimenti, dal­lo sviluppo di diverse compatibilità, dalla valorizzazio­ne del patrimonio, dalla considerazione per i giovani.
Sinceramente penso ad una Juve non utopistica, quin­di competitiva anche per lo scudetto, se saprà tratte­nere non solo Buffon, ma anche Trezeguet (perché nes­suno gli ha offerto il rinnovo?), oltre che Nedved e Del Piero. Sono più scettico a proposito di Camoranesi – questioni di maturità, di comportamento, di adesione alla maglia – tuttavia non si può negarne l’utilità. Poi, guardando l’anagrafe, c’è una sola mossa da compie­re: avanti con i giovani che già ci sono e meritano (Pal­ladino, Marchisio, Paro, Venitucci) e avanti soprattut­to con Domenico Criscito, 20 anni, difensore rivelazio­ne del Genoa delle meraviglie, allenato da Gasperini, uno che con l’organico di Deschamps avrebbe fatto ve­nir la voglia anche di andare allo stadio, non di scap­pare. Se la Juventus ha sborsato 7 milioni di euro per Criscito vuol dire che, non solo ci crede, ma lo consi­dera, a buon diritto, elemento dotato di imminente fu­turo. Che senso avrebbe darlo in prestito se è bravo e dunque potrebbe da subito cominciare a fare il cen­trale indifferentemente con Zebina, Legrottaglie, Chiel­lini, Boumsong e, forse, Grygera? Perché cercare al­trove e, soprattutto, perché cercare trentenni o trentu­nenni a caccia del loro ultimo, lucroso contratto?
Per me, avere un progetto, significa questo. E avere un allenatore vuol dire confrontarsi con un interlocutore che quel progetto condivida, sorregga e accresca. Con Deschamps, invece, temo che, una volta saltato Frings, arrivi Giuly (del tutto diverso dal tedesco) e però au­tocandidatosi proprio perché francese – è un idioma molto parlato in società – e amico dei francesi. Anche questo – quello di andar per connazionali – può essere un metodo, ma non sono convinto sia il più produttivo. Iaquinta, per esempio, è italiano ed è anche un buon giocatore, nonostante esca da un campionato modesto. Huntelaar, invece, è olandese, ma ha quattro anni me­no di lui e, secondo me, più rabbia per sfondare.
Certo, mi rendo conto che un progetto sarebbe indi­spensabile. Un allenatore anche. E, forse, ancora qual­cos’altro, qualcun altro.

Thursday, May 10, 2007

QUELLO SLANCIO ANCORA NON C’E’

IL PUNTO
VITTORIO OREGGIA
Da Tuttosport di mercoledì 9 Maggio 2007

Assieme ai 33 milioni di euro che la Casa Madre erogherà alla Juventus nei prossimi tre anni, va necessaria­mente evidenziata una frase a corredo dell’accordo di sponsorizzazione noto da tempo ma santificato a livello di fir­ma solo ieri. Frase che l’amministrato­re delegato Jean Claude Blanc ha con­segnato alla dimensione asettica di un comunicato stampa congiunto: «Fiat Group sarà un partner fondamentale con il quale costruire il prossimo futu­ro: il modo in cui il suo management ha saputo ridare slancio ai marchi del Gruppo è un esempio al quale vorrem­mo ispirare il nostro lavoro». Tenuto conto dei risultati raggiunti da Fiat sot­to la gestione Montezemolo-Marchion­ne, è quasi impossibile non dare ragio­ne a Blanc. Egli magari non avrà una grande competenza specifica di calcio ­non a caso si è fatto affiancare dal con­sulente Roberto Bettega - però possiede uno spiccato senso della realtà e, pro­prio per questo, fin dall’inizio del suo mandato si è tenuto alla larga dalle iperboli, dalle chiacchiere in libertà, dalle promesse. Non tutti lo hanno imi­tato nel club e le conseguenze di questo easy speaking hanno innescato una frammentazione delle posizioni interne. Invece, come è accaduto alla Fiat dopo la scomparsa di Umberto Agnelli, an­che alla Juventus c’è bisogno di com­pattezza, unità di intenti, coraggio. Il coraggio di agire, il coraggio di prende­re decisioni in controtendenza, il corag­gio di avere coraggio. Insomma, lo «slancio» di cui sopra.
Blanc, nel pieno rispetto del suo codice genetico transalpino, la settimana scor­sa ha indossato i panni di Richelieu: ha ricucito lo strappo tra Deschamps e Secco, cioè tra allenatore e direttore sportivo, ha imposto il silenzio a en­trambi, ha ricordato ai dipendenti che prima degli interessi personali ci sono le esigenze aziendali. Ben fatto. Ora tutti i tifosi bianconeri si aspettano che, con in mano parte dei denari dell’aumento di capitale (105 milioni) e il ricavato del primo anno di partnership commercia­le con il Gruppo, il manager di Cham­bery sia capace di scimmiottare Sergio Marchionne, suo omologo in Fiat. Cioè che tagli, cambi, sposti, giri, rigiri e non abbia timore di investire. Grygera, Sa­lihamidzic e Criscito sono l’inizio, un buon inizio, adesso però deve venire il resto. Pavel Nedved si è schierato con Deschamps, ma ha pure confessato at­tingendo dal pozzo della consueta schiettezza che ci vogliono almeno quat­tro acquisti di spessore per riappro­priarsi della competitività decapitata dalle conseguenze catastrofiche di Cal­ciopoli. Altrimenti lo scudetto rischia di diventare davvero «un’utopia», nella definizione tout court del tecnico di Bayonne. E la Juventus non si può per­mettere di rincorrere le chimere.

Saturday, May 05, 2007

LE VERITA' DI DE SANTIS OSCURATE DAL SOLITO GIORNALE ROSA

LUCIANO MOGGI
Da Libero di venerdì 4 Maggio 2007

Le verità di De Santis oscurate dal solito giornale rosa...
Caro Luciano, non ti sarà sfuggita la maniera con la quale la "Gazzetta" ha annacquato le rivelazioni dell'ex arbitro De Santis rilasciate alla trasmissione "Lunedì di Rigore" di "Antenna 3". Solo un "piedino" in pagina (quasi non si vedeva), e innumerevoli omissis . De Santis ha chiamato in causa il defunto presidente dell'inter Facchetti, includendolo tra quelli che lo chiamavano spesso (e questo la Rosea lo ha riportato), e ha detto una cosa assai più importante che più o meno suonava così: "Perché sono state rese note le mie telefonate con l'ex vicepresidente della Figc Mazzini e con l'ex designatore Bergamo, ma non risultano quelle con Facchetti e con Meani?". Su questa domanda la Gazzetta ha glissato, mentre è proprio questo l'aspetto più inquietante di "Calciopoli". Non risulta una sola telefonata effettuata da dirigenti interisti e considerando che le intercettazioni sono state fatte dalla Telecom (legata come si sa strettamente all'inter) a questo punto chiunque può tirare le sue conclusioni. Per fortuna c'è un'inchiesta in corso per sbrogliare la "ragnatela" tessuta da Telecom e mi auguro che prima o poi sapremo tutto ciò che c'è da sapere. Un'ultima cosa: ho pieno rispetto verso la memoria di Facchetti, ma non per questo ho intenzione di vedere occultata la verità. Non si può cancellare tutto quello che di "non regolamentare" (vogliamo dirla così?) è successo solo perché è scomparsa una persona. Se De Santis non avesse vissuto realmente quello che dice non avrebbe chiamato in causa un monumento come Giacinto Facchetti. Non si può glorificare una persona solo perché è scomparsa prematuramente, nè si può far finta di nulla soprattutto se certe omissioni danneggiano - come pare - persone cui bisogna riconoscere il pieno diritto di difendersi. Io la penso esattamente come De Santis, ed è anche la logica che lo dice: "questo era il clima di quei tempi - ha dichiarato l'ex fischietto tutti i dirigenti parlavano con gli arbitri". Ma siccome c'è un giornale che si è bloccato su "Moggiopoli", appellando così anche ciò che con te, caro Luciano, non c'entra niente, ecco che per questo motivo la Gazzetta cancella tutto ciò che non rientra in questo scenario. Eppure - qualcuno mi corregga se sbaglio - Calciopoli ha coinvolto decine e decine di persone. Ho letto a riguardo una tua risposta ad una lettera e sono d'accordo con te: il direttore della rosea fece una certa marcia indietro sul termine "Moggiopoli", quasi (dico quasi) chiedendo scusa. Il vicedirettore, anzi uno dei molti vicedirettori, rimette il puzzle a posto. Ma quale precisazione, "Moggiopoli puntualizza - è il termine giusto". Caro Luciano, non sono d'accordo neanche tra loro. A questo punto è chiaro che le rivelazioni di De Santis possono solo dare fastidio all'impalcatura pre-costruita. Immagino quale spazio sarebbe stato dato alle stesse se avessero aperto nuove porte nel castello di accuse costruito intorno a te. Che brutto mondo, caro Luciano.
Caro lettore, dispiace molto anche a me, lo dico sinceramente, se le circostanze portano a chiamare in causa Giacinto Facchetti. Portiamo tutti rispetto verso la sua memoria ma - faccio mia la tua osservazione - se questo rispetto porta ad avere una visione sbagliata di ciò che è realmente accaduto, se rende oscuri alcuni passi fondamentali del cosiddetto "calcio scandalo", allora credo sia il caso di tirare il capo a terra anche quando entra in conflitto con quella memoria. Sono d'accordo con te: De Santis avrebbe taciuto se non si fosse trattato di cose vere. Non risultano certe intercettazioni? Tocchi un tasto che mi ferisce profondamente. Un lettore tempo fa mi chiese perché erano stati intercettati solo i miei telefoni e cosa sarebbe potuto emergere ascoltando le telefonate effettuate da altri dirigenti di altre società. E' una bella domanda, legittima tra l'altro, ma non aveva risposta allora e non ce l'ha neanche adesso. Purtroppo.
Ogni occasione è buona per parlar male di Moggi
Caro Luciano, vedo che per il grande quotidiano sportivo filo-interista "Gazzetta dello Sport" non c'è mai limite agli eccessi. Se la sono presa con te, stampigliando l'etichetta "Moggiopoli" anche per una questione di "figurine flop", come le chiamano. In più, notizia di oggi, hanno replicato utilizzando il solito termine per trattare il caso-Basso. A me sembra veramente troppo. Tu cosa ne pensi? EMILIO C.
Caro Emilio, della vicenda "figurine flop" non so niente. Non faceva parte delle cose di cui mi occupavo. Il fatto che la si sia voluta etichettare con il termine "Moggiopoli" da parte del solito giornale mi sembra alquanto ridicolo. Confido in un rapido ritorno alla serietà e non dico altro. Stesso discorso per il "caso-Basso": cosa c'entreranno il ciclista varesino e i suoi guai con "Moggiopoli" non è dato sapere. Chiediamo lumi a quei simpaticoni della Rosea.
Tronchetti Provera dice la sua su inter e Juve: che coraggio!
Egregio Direttore, che l'Italia fosse la Repubblica delle banane era risaputo, e da tempo. Ma se a qualcuno fosse rimasto il dubbio che tale affermazione potesse essere il solito luogo comune da utilizzare nelle scorribande al bar con gli amici, sappiate che questo dubbio è stato spazzato via definitivamente alcuni giorni fa. L'episodio decisivo a supporto di tale bananesca affer mazione è stato gentilmente fornito da una delirante intervista dell'ormai ex presidente di Telecom, Marco Tronchetti Provera. Il personaggio in questione è apparso sui giornali ma anche e soprattutto in tv, indossando uno splendida giacca da vela blu e facendosi contornare dallo scintillante paesaggio della Baia di Portofino. E' stato un brutto colpo! Da quello che avevo letto in giro, su Internet e sui giornali, mi era parso di capire che il soggetto in questione si fosse reso protagonista di fatti gravi e invece me lo ritrovo fresco come una rosa appena rientrato da una bella passeggiata in barca a vela. E' vero che in Italia, in televisione, possono andare tutti, tuttavia mi sarei aspettato che, avendo bruciato i risparmi di migliaia di azionisti Telecom, costui avesse rinunciato, per pudore, alla ribalta delle telecamere come a suo tempo aveva rinunciato il buon Tanzi dopo lo scandalo Parmalat. Devo essere sincero. Se lo avessi visto in barca, anzichè sul molo, avrei pensato a una sua fuga imminente, magari in direzione-Tunisia, per cercare rifugio dai suoceri. Invece, dopo aver messo su una specie di servizio segreto parallelo, dopo aver intercettato mezza Italia, ecco che il Tronchetti durante l'intervista trova tempo e modo per parlare di calcio e per affermare (con lo sguardo da Santa Maria Goretti) che attende impaziente il prossimo anno per ritrovare la Juventus in serie A e, da tifoso e munifico sponsor dell'inter, di affrontarla senza trucchi e inganni. Capisce Direttore, "senza trucchi ed inganni". Ma a chi si riferisce? Forse vuol parlare del passaporto falso di Recoba? O forse della vendita fasulla del marchio della sua squadra? Oppure delle plusvalenze e dei bilanci del suo amicone Moratti? O forse - ma bisogna pensare proprio male - si riferisce alla madre di tutti "i trucchi e gli inganni": le intercettazioni di Calciopoli, eseguite e modellate da quei buontemponi di Tavaroli e Cipriani? Mi aiuti lei direttore, mi aiuti a capire a chi si riferisce Il Tronchetto della banana italica quando parla di "trucchi ed inganni". Con stima, REMO A.
Caro Remo, Marco Tronchetti Provera avrebbe fatto meglio a risparmiarsi un'uscita di quel genere. Chi ha tanti guai da fronteggiare - e in questo i giornali sono tutti d'accordo - dovrebbe preoccuparsi più del suo orticello invece che cercare di impartire lezioni agli altri. Parlava solo di calcio? E cosa significa? Doveva stare attento a non scivolare. Il problema è che il largo entusiasmo cresciuto intorno allo scudetto dell'inter sembra aver generato un'Italia completamente nerazzurra. Nessuno si ricorda più delle "marachelle" interiste - le catalogo così - perché diversamente Moratti si potrebbe offendere, e nessuno in questo momento può turbare il grande presidente nerazzurro. Sono un po' ironico, ma via, in quest'Italia degli eccessi, si è fatto un grande eccesso di questo scudetto, che andava apprezzato ma non nella misura debordante com'è stato fatto. A questa coda di plaudenti si è voluto unire anche Tronchetti Provera, forse per mettere un po' da parte i suoi guai e i suoi problemi. Contento lui, ma la scivolata c'è stata e da quel pulpito, come dici tu, non doveva starci.
Ancelotti e la partita perfetta Che spettacolo i rossoneri
Caro Luciano, da buon milanista ho assistito (dal vivo!) all'impresa di Kakà e compagni contro il Manchester. Una prestazione superba, incredibile, che proietta la squadra di Ancelotti all'ennesima euro-finale nonostante i tentativi del Palazzo di affondare il Diavolo (Rossi non voleva nemmeno farci partecipare alla Champions...). Domanda: senza gli otto punti di penalizzazione il Milan avrebbe potuto lottare per lo scudetto? NICOLA PEZZATI
Caro Nicola, la domanda è legittima e proverò a risponderti con chiarezza. Il Milan visto in campo mercoledì avrebbe annientato chiunque. Bravissimo Ancelotti, che ha interpretato la partita al meglio; perfetti i giocatori, concentrati e decisi come raramente mi è capitato di vedere su un campo da calcio. Ti dico la mia: è vero, senza la penalizzazione il Milan avrebbe potuto lottare con l'inter un po' di più, ma non avrebbe vinto comunque lo scudetto. Di contro, senza la rabbia accumulata in mesi e mesi di ingiustizie, forse i rossoneri non avrebbero disputato una partita perfetta come quella di mercoledì. Sono solo supposizioni, ma quel che conta è il risultato. Il Milan ha un'occasione d'oro per vendicarsi della finale persa due anni fa; il calcio italiano, invece, dopo aver vinto il mondiale può confermarsi ai vertici nonostante sia ancora più che convalescente.