Saturday, June 23, 2007

BILANCIOPOLI

Dal Blog "Camillo"
di CHRISTIAN ROCCA

Caso Suazo, la soluzione
Ricevo e volentieri posto:
"Carissimi Moratti & Galliani, ho la soluzione al vostro problema. Se Galliani molla Suazo e lo lascia all'inter degli onesti, questi lo potrebbero mettere a bilancio a 14 milioni di euro. Un quarto d'ora dopo lo rivendono al Milan per 164 milioni di euro e il Milan gira loro uno a scelta tra Simic, Borriello e Storari sempre per la stessa identica cifra di 164 milioni di euro, che mi sembra una equa valutazione. Nessun esborso di danaro ma a quel punto, per magia contabile, si potrebbe iscrivere una plusvalenza fittizia di 150 milioni di euro, a taroccamento anche del bilancio che chiuderanno la settimana prossima (30/06/07). Avremmo così il contante da utilizzare per comprare Eto'o+Ronaldinho+Sheva+Cruijff+un senatore del centrosinistra per il Milan e Henry+Diarra+Buffon+Seredova+un paio di omaggini per Palazzi & Borrelli a favore degli intertristi, che non si sa mai. A quel punto, avvisato il direttore della Gazzetta dello Sport, che è quel giornale rosa pieno di briciole e unto di brioches che sta sui frigo dei bar, di non scrivere nulla o di mettere la notizia dopo il meteo a pagina 24, a fianco di A.A.A. offresi massaggi di ogni tipo a domicilio - Citofonare Ornella.....il più è fatto. E insabbiato. Il nuovo consulente di mercato, Massimo Crepaldi"
22 Giugno 2007

Palate di sabbia
Il Corriere della Sera, oggi, ha trovato ben due-giornalisti-due per scrivere la velina dettata dagli indossatori di onestà altrui, e peraltro nessuno dei due è Fabio Monti. A un certo punto i due scrivono addirittura che "in ogni caso è esclusa la revoca dello scudetto 2005-06". E' vero, sui giornali di regime e dei poteri forti la revoca è esclusa, con la lodevole eccezione di Repubblica e Sole, malgrado il codice sportivo dica esattamente il contrario e non solo per quello del 2005-06 rubato alla Juve, ma anche per quello aziendale di quest'anno. I potenti del calcio minimizzano e solidarizzano (e ci credo, si aprisse il capitolo bilanci falsi...), mentre l'ex MicroMega rosea di Carlo Verdelli fa scrivere all'ex vice Torquemada che è stato "sollevato un processo sommario" contro Moratti. La tesi di questi moralisti aziendali è questa: "fosse stato loro contestato qualcosa, si può ragionevolmente supporre che avrebbero ripianato mettendo mano al portafoglio". Certo, anche Moggi truccava il campionato, ma se glielo avessero contestato in tempo si può ragionevolmente supporre che avrebbe smesso. Come dire: chi è ricco può imbrogliare e comprare calciatori a volontà, falsificando il campionato. Guai però se lo facesse uno povero, in quel caso la mannaia rosea dei Verdelli boys sarebbe spietata.
In tutto questo c'è il solito imbarazzante
silenzio di Cobolli Gigli, temperato dalla grandezza di Fabio Capello.
21 Giugno 2007

For the record (and for Verdelli)
La Covisoc ha stabilito che gli indossatori di scudetti e onestà altrui hanno taroccato i bilanci e che non si sarebbero potuti iscrivere al campionato (al campionato vinto dalla Juve l'anno scorso). Il pm di Milano ha preso nota e se la procura federale non insabbierà si applicherà l'articolo 7 del codice sportivo. Al comma 3 dice:
"La società che, mediante falsificazione dei propri documenti contabili o amministrativi, tenta di ottenere od ottenga l'iscrizione ad un campionato a cui non avrebbe potuto essere ammessa sulla base delle disposizioni federali vigenti al momento del fatto, è punita con una delle sanzioni previste dall’art. 13, lettere f), g), h) e i)".
Bene. Quali sono le sanzioni previste dall'articolo 13, lettere f), g), h) e i)?
Queste:
"f) penalizzazione di uno o più punti in classifica; la penalizzazione sul punteggio, che si appalesi inefficace nella stagione sportiva in corso, può essere fatta scontare, in tutto o in parte, nella stagione sportiva seguente;
g) retrocessione all'ultimo posto in classifica del campionato di competenza o di qualsiasi altra competizione agonistica obbligatoria;
h) esclusione dal campionato di competenza o da qualsiasi altra competizione agonistica
obbligatoria, con assegnazione da parte del Consiglio Federale ad uno dei campionati di categoria inferiore;
i) non assegnazione o revoca dell'assegnazione del titolo di campione d'Italia o di vincente del campionato, del girone di competenza o di competizione ufficiale".
Applicando il criterio folle usato contro la Juve l'estate scorsa, malgrado l'accusa non fosse provata, all'inter tolgono lo scudetto finto dell'anno scorso, la retrocedono in B con penalizzazione, chiedendo la C, e le tolgono lo scudetto buono, ma aziendale, di quest'anno. Il prossimo anno in B, senza Coppa dei Campioni. Questa è la sanzione quasi massima, quella massima è la C e la perdita dei due scudetti. La sanzione minima, e certa, è una penalizzazione nel torneo del prossimo anno. Tra la sanzione massima stile Juve e la sanzione aumma aumma c'è anche la revoca dello scudetto vinto sul campo dalla Juve, perché esplicitamente assegnato per il rispetto di criteri di onestà. Chi deciderà? Non credete che a a decidere sarà la Federcalcio. A decidere saranno i giornali. Se insabbiano e minimizzano, non succederà niente. Leggete domani la Pravda rosa e capirete come andrà a finire.
20 Giugno 2007

Ultime sugli indossatori
La Covisoc dice alla procura di Milano che gli indossatori di onestà altrui non avrebbero potuto iscriversi al campionato 2005-06 e che si sono iscritti solo grazie a plusvalenze fittizie. In tutta onestà, più che vicnere lo scudetto finto, sarebbero dovuti andare in C. Nel frattempo si sono fatti soffiare Suazo dal Milan, cosa che tecnicamente è un bene per loro, ma non capendo nulla di calcio se ne dispiacciono assai. Moratti ha detto che ha la firma del giocatore, non accorgendosi di aver confessato un reato federale oppure contando sul fatto che già quando i suoi confessarono di aver ricettato una patente, falsificato un passaporto e taroccato le partite in cui fu schierato Recoba la fecero franca, grazie anche al soccorso rosso del commissario della federcalcio e a quello roseo dell'amico Verdelli. Su Suazo il presidente del Cagliari dice che Moratti ha perso tempo e non rispondeva alle telefonate. Moratti dice che non è vero, che Cellino non l'ha mai cercato. Cellino risponde con un "porterò i tabulati". Sempre che non siano stati fatti sparire dagli uomini Telecom.
20 Giugno 2007

Sunday, June 17, 2007

LA TESTA DI CONTE

Beppe Di Corrado
Da "Il Foglio Quotidiano" di sabato 16 Giugno 2007

E' la vittima di calciopoli. La vera. Fregato due volte: prima accusato di essere il figlioccio di Moggi, poi retrocesso per una partita scandalosa

E questa non è da copertina. In fondo Antonio Conte è sempre stato un gregario. Borraccia, per piacere. Corri anche per gli altri, avanti. Allora qui vanno bene quelle frasi così. Inutili e facili: “Dai, s’è lasciato prendere dalla foga del dopo partita”. Qui si parla di uno che quasi si fa fatica a ricordare che sia stato capitano della Juventus, giocatore della Nazionale, amico e poi nemico di Marcello Lippi. Qui si tratta di quello che quando giocava veniva preso in giro per la calvizie incipiente, quello che cercava di nascondere il vuoto centrale tirando indietro i capelli che gli crescevano davanti. Qui basta poco, quindi: trenta secondi e stop, il tempo di dare voce al suo sfogo e poi fottersene tranquilli. Povero Antonio. Un giorno, quando qualcuno avrà trovato la lucidità per parlare del calcio di oggi serenamente, questa storia servirà. Sarà un capitolo. Perché Conte è la vittima di Calciolpoli. La vera. Fregato due volte: prima accusato di essere figlioccio di Moggi, bambolotto usato per curare gli interessi della “Cupola” in Toscana; ora retrocesso per colpa di una partita scandalosa per davvero, figlia di una società e una squadra che hanno voluto far credere a tutti di essere pulite, serie, diverse e invece non hanno garantito regole e giustizia. Antonio ha parlato: “Rispetto tanto i tifosi Juventini, ma ho poco rispetto per la squadra. Retrocedere così fa male, però mi fa capire cose che già sapevo. Nel calcio si parla tanto, tutti sono bravi a parlare, adesso sembrava che i cattivi fossero fuori e che ci fosse un calcio pulito, infatti siamo contenti tutti, evviva questo calcio pulito”.
E’ finita qua. Tutti ciechi. Quest’anno nessuno ha visto le ultime giornate di campionato di A e B. Certo, questa era la stagione della riabilitazione, allora le retrocessioni di Chievo in B e di Arezzo in C sono il male necessario. Sono arrivate con metodi sporchi, con partite fasulle, squadre che pur di perdere cercano di sbagliare rigori e poi dopo averli segnati lasciano il campo agli avversari: quattro occasioni da gol in un minuto, come se giocasse una squadra di Champions contro i Pulcini del Canicattì. Giocatori avversari che s’abbracciano in campo tra loro quando sentono i risultati delle concorrenti. Tutto normale. Pulito, come dice Antonio. Pulito perchè quelli come lui devono comunque pagare: Conte è stato un assistito della Gea, è stato il Capitano della Juventus della Triade, è stato il viceallenatore di Luigi De Canio – pure lui gestito dalla Gea – a Siena, cioè nel feudo di Luciano Moggi; è stato allenatore dell’Arezzo, altro feudo nel quale la Juve ha scaricato i giovani della Primavera per farli crescere. Conte quest’anno è partito da meno sei punti per qualche presunto illecito del club. Ne ha fatti cinquanta sul campo, cioè abbastanza per salvarsi senza problemi e però se ne è trovati 44 in classifica. Retrocesso perché alla penultima giornata, la Juventus del dopo Moggi-Giraudo, quella che non riconosce i suoi scudetti, ha perso a Bari facendo salvare il Bari che poi è andato a Verona e ovviamente ha perso senza giocare. Retrocesso perché all’ultima giornata la stessa Juventus ha perso 3-2 in casa con lo Spezia, mica col Genoa o col Napoli. E però il pazzo sembra lui, Conte. Che si lamenta e gli fanno fare la figura del perdente che non sa perdere. Arriverà il giorno in cui questa storiella piccola diventerà una verità. Bisogna aspettare che il pallone smetta di illudere la gente sulla sua presunta redenzione. Conte ci sarà, chè tanto lui gli scandali degli ultimi anni se li è passati tutti. Prima il doping della Juventus, poi Moggiopoli. S’è trovato sempre dalla parte sbagliata, passato per complice e poi diventato vittima. Forse doveva accettare di andarsene prima: la Juventus voleva mollarlo nel 1998, quando Antonio litigò con Lippi. Avrebbe potuto scegliere: una squadra italiana oppure un campionato straniero. Offerte. Contratti. Certezza di un posto in squadra.
Era arrivato a Torino a Novembre del 1991. Lo aveva scelto Cestmir Vycpalek, lo zio di Zdenek Zeman. Lo aveva seguito tutta la stagione precedente a Lecce. Otto miliardi la quotazione. “Ricordo che il mio problema, quando arrivai alla Juventus, era decidere se dare subito del tu a Tacconi, Baggio e Schillaci, o iniziare con un più rispettoso lei”. Tredici anni, poi. Fino al 2004, perché quando avrebbe potuto andarsene, scelse di restare. La Juventus aveva deciso di chiudere il contratto con Lippi e di prendere Ancelotti: “Con Carlo sono rinato. Anche se non ho giocato titolare sempre, mi ha ridato fiducia e io l’ho ricambiato dando tutto quello che avevo da dare”. A 35 anni s’è fermato. Voleva continuare per un’altra stagione, oppure ripartire da zero, da mister, coi giovani. Ecco, secondo le inchieste della Federcalcio, per Francesco Saverio Borrelli, tre anni fa’ il potere di Moggi e del suo clan era massimo. Allora Conte doveva stare tranquillo: veterano della Juve, con un procuratore della Gea, con un fratello legato alla stessa società. Certo. “Mi dispiace andar via, ma l’offerta della Juventus non la ritengo adeguata. Ho vinto tutto e non posso che esserne contento. Dalla Juve ho ricevuto davvero tanto, ma credo di aver dato qualcosa in più, mettendola sempre al di sopra di qualunque altro pensiero. Lo dimostra il fatto che abbia deciso di sposarmi solo adesso che vado via”. Niente accordo, nessun intrallazzo. Allora se ne sono fregati tutti. Il rapporto Conte-Juventus è stato tirato fuori dopo, quando era utile a disegnare scenari e scatole cinesi, a trovare teste di ponte e uomini d’onore che avrebbero aiutato la rete Moggiana a comandare la baracca del pallone. Su Conte è arrivato il veleno: gli hanno dato del raccomandato, hanno tirato fuori presunte follie delle sue stagioni Torinesi. Pure i capelli: non sono diventati più una battuta ma un pretesto per attacarlo, così come per i suoi modi educati, troppo gentili per un vero uomo. Le voci hanno fondato le radici nella spazzatura e negli affari personali. Bisbiglii, sofffiate, personaggi di basso livello e questioni di piccolo cabotaggio. Tutta roba che in una città non grande, puritana con la puzza sotto al naso erano già venute fuori. Antonio il chiaccherato, che poi era pure un terroncello: facile obbiettivo. Facile facile. Se n’è andato, ha preso il patentino, ha trovato una squadra. E però era quella sbagliata. Siena. Altre parole: “Alla Juventus chiesi di poter allenare la Primavera. Non ho avuto questa possibilità e di questo sono rimasto piuttosto male. Per molti anni il mio procuratore è stato Alessandro Moggi, figlio di Luciano, e con me si è sempre comportato benissimo. Sono stati gli altri procuratori, quelli che ho avuto prima di lui, che semmai non si sono comportati benissimo. Qullo che mi è capitato è comunque la dimostrazione che l’essere assistito dalla Gea non mi ha mai garantito canali privilegiati rispetto agli altri”. Non è bastato. Schiacciarlo quest’anno è stato uno sfizio del quale qualcuno non ha voluto privarsi.
Eppure non ha fatto niente, lui. E’ stato uno che ha parlato quasi sempre quando è stato interpellato. E’ stato uno che ha detto cose quanto meno pensate. “I politici dovrebbero fare di più ma anche gli atleti, anche noi giocatori, troppo spesso privilegiati. Oppure maltrattati, giudicati con disprezzo: la nostra colpa è non ribellarsi, non voler dimostrare che possiamo essere migliori. Le diverse discipline non dovrebbero vivere separate, quasi nemiche. Non conta solo il gusto della massa o la direzione in cui viaggiano i miliardi”. Un calciatore senza calcio in testa, ecco il professor Conte. Saranno stati i sette anni di navigazione tra i libri? “No, il giocatore medio è una persona valida anche se non ha studiato. E potrebbe dire qualcosa di importante, se glielo chiedeste. Invece ci fate parlare solo di partite di avversari di polemiche. Io vorrei andare in TV e discutere d’altro, senza sentirmi un milionario in mutande. Non esiste più il giocatore incapace di pagare una bolletta o di farsi sistemare il contatore del gas, non ci serve il tutore. Penso che la cultura non sia solo un diploma, una laurea, ma un diverso modo di pensare a noi stessi, di imporre un’immagine più aderente alla realtà”. Avrebbe fatto bene il sindacalista alla Albertini, Conte. Pronto a parlare e pronto a non tirarsi indietro. Fino a quando ha giocato, Antonio non ha mai fatto finta di niente: non si è risparmiato le critiche ai compagni e agli avversari, ai governanti del pallone e ai politici di professione. Nel 1998 attaccò da solo il governo: la Juventus doveva andare a giocare a Instanbul nel pieno della crisi diplomatica Italia-Turchia per il caso Ocalan. Il presidente del Consiglio era Massimo D’Alema. Aveva detto che avrebbe seguito la squadra per stemperare le tensioni, poi si tirò indietro. Conte lo fece notare: “Adesso non c’è più nessuno; siamo soli e ci dispiace molto. I poitici sappiano che sull’aereo c’è ancora posto e che la gita sul Bosforo è gratis. Anzi, paghiamo pure il pranzo. Come in quei concorsi a premio: trascorri una giornata con il tuo beniamino”. S’è segnato anche altro: le dichiarazioni di Luciano Gaucci, per esempio. Ogni volta che l’ex proprietario del Perugia ha parlato, Antonio ha reagito così: “Gaucci? Ma no, lui dovrebbe stare solo zitto. Su qualunque cosa”. Spesso ha rimproverato anche i compagni. Una volta Roberto Baggio e Gianluca Vialli insieme: “Questa vittoria è una risposta a chi ha parlato di organico insufficiente o di carenze di personalità”. Un’altra volta i giovincelli come Del Piero e Grabbi che a neppure vent’anni sembravano così predestinati da sentirsi titolari fissi: “Io non mi sento inferiore a nessuno. Ma io ci ho messo degli anni per essere qualcuno. Ho lavorato duro”. Un’altra volta in nazionale, contro quelli che non avevano voglia di essere convocati: “Io verrei a Coverciano anche per tenere le borracce”.
E’ stato uno giusto, Conte: non simpatico, ma neppure odioso, come qualcuno ha voluto far credere. Uno che almeno ha avuto le palle di continuare a studiare anche quando era pieno di soldi. Nel 1995 da vicecampione del mondo, ha preso il diploma Isef. Ci ha messo sette anni, neppure tanti. Pochi anzi, per dire che un giocatore non pensa solo al pallone, per mettere qualcosa oltre la pagella della gazzetta. Per riuscire a spiccicare una parola che vada al di là di una partita, un ingaggio, uno scudetto. “Lo so che per la gente siamo così, è un luogo comune tremendo eppure il calciatore medio è cambiato, si informa, partecipa alla vita normale. Ma non c’è verso, non riusciamo a spiegarlo. La fregatura del calcio è che ti toglie altre voglie. Arrivi presto al successo, ai soldi, hai una vita intensa, magari ti sposi giovanissimo e allora dedichi alla famiglia tutto il tempo che non trascorri in ritiro. Così, addio libri. Io invece ho avuto fortuna e tenacia, non mi sono fatto passare la voglia dell’Isef. Mi piacerebbe insegnare lo sport ai ragazzi, avere degli allievi. Anche mio fratello Gianluca è professore di Educazione fisica, i nostri genitori sono molto soddisfatti di noi. E il sud senza impianti, certo. Io vengo dalla Puglia e so che le scuole di Torino e Milano sono favorite. So anche che nella Costituzione non compare mai la parola sport. E che il nostro modello socio-culturale è sbilanciato verso il professionismo, il business. Lo squilibrio delle risorse esiste. C’è il problema dei concorsi, delle graduatorie ma chissà, magari ci provo. Sarebbe un modo per tornare una persona comune, che lavorando può anche avere uno stipendio basso. Ma perché in Italia l’insegnamento è sottopagato?”.
Aveva 26 anni il professor Conte. Aveva discusso una tesi in psicologia dello sport: “La personalità dell’allenatore”. Se l’è riletta dopo, se la rilegge ancora. “E’ stato un lavoro interessante, ho provato a raccontare come dovrebbe essere l’allenatore ideale. Prima di tutto un ottimo psicologo, uno che sa ascoltare e che ti spiega le ragioni di una scelta. Purtroppo, e parlo in generale, si curano poco i rapporti umani. A me in fondo è andata bene, da tutti i miei maestri ho appreso qualcosa. Fascetti mi ha trasmesso la fiducia nei giovani, Mazzone il carattere e se non stavi attento ci litigavi, però è uno vero. Trapattoni l’umanità e la disponibilità: quante ore ha trascorso a insegnare calcio dopo gli allenamenti, quando gli altri di solito dicono basta. Lippi mi ha dato la carica di chi non è mai appagato e vuole sempre di più, oltre a una notevole preparazione tattica. Infine Sacchi, cioè lo scienziato del lavoro quotidiano”. E però un limite l’aveva trovato. Uguale per tutti. Per Fascetti, Mazzone, Trapattoni, Lippi e Sacchi: “Si dialoga troppo poco e quasi sempre a senso unico. Mi piacerebbe che gli allenatori non parlassero con noi solo di calcio, che meritassero il loro carisma non con l’autorità del ruolo e del diritto acquisito”. Quando è diventato allenatore lui dice d’averci provato. Dice che è diverso, che insomma è un po’ come è Ancelotti, che il giorno della discussione della tesi non aveva ancora incontrato. Con Carletto, Antonio s’è trovato bene. Lui parlava, lui l’ha convinto che poteva riprendersi dopo due infortuni che avrebbero consigliato di starsene tranquilli tra panchina e tribuna. Conte ha continuato, con la stessa andatura di sempre: un po’ ingobbita, un po’ cavallesca. Non è mai stato particolarmente bello da vedere. Utile, però. Perché era uno di quei centrocampisti che si sanno inserire, che partono da dietro, che sanno infilarsi saltare un uomo e calciare. Poi era bravo di testa. Era un Perrotta in grado di segnare di più e spesso meglio. Come ad Arnhem nell’Europeo dell 2000, giocato a 31 anni. Rovesciata contro la Turchia. Poi un altro infortunio, contro la Romania, la fine dell’avventura con la Nazionale. Ha chiuso praticamente allo stadio Re Baldovino, che poi sarebbe il vecchio Heysel. Coincidenza amara per uno Juventino. Prima di giocare su quel campo la prima volta non riuscì a non dire di essere impressionato: “Mercoledì giocheremo in quello che fu l’Heysel, lo stadio dell’incubo. Sono Juventino dall’infanzia e quel giorno rimane scolpito nella mia memoria. Giocheremo lì e io dedicherò una preghiera alle persone scomparse all’Heysel”. Gli è rimasta questa frase. E’ rimasta anche per qualcun altro: quelli che l’anno dopo si ritrovarono all’inizio del ritiro della Juventus a Chatillon a chiedere alla dirigenza della Juve di non provare a vendere Conte. Lo avevano proposto anche per il dopo Deschamps, adesso. Giovane, bianconero, amico di molti giocatori. Amico di Pessotto, al quale è stato il primo a raccontare della vittoria ai Mondiali dell’Italia. Amico di Del Piero. Forse avrebbe potuto convincere Trezeguet a rimanere. La società ha pensato che sarebbe stato meglio evitare: troppo facile accostare Antonio alla vecchia gestione. Troppo difficile avere in casa un allenatore che sta dalla parte della squadra. L’anno scartato, prima di tradirlo.

Saturday, June 09, 2007

COSI' PLATINI HA LICENZIATO BETTEGA

GIULIANO ZULIN
Da Libero di sabato 9 Giugno 2007

Claudio Ranieri è il nuovo allenatore della Juventus. È già stato presentato. Ovvio, dopo il "no, grazie" di Marcello Lippi, la società bianconera è stata costretta a corteggiare e ad assumere nel giro di pochi giorni l'uomo che ha salvato il Parma. Ha firmato un contratto triennale. Per cercare di creare un ciclo. Per riportare il club di casa Agnelli ai fasti di un tempo. Lo stesso progetto che aveva in mente Didier Deschamps, scaricato ufficialmente proprio per aver preteso un contratto triennale. Perché due pesi e due misure? Tutta colpa - o merito del duello all'interno della società innescato da Marco Tardelli per diventare l'uomo tuttofare della Juve. A scapito di Roberto Bettega, battezzato "bianconero a vita" nel 1984 da Gianni e Umberto Agnelli. Non dovrebbe infatti essere rinnovato il contratto dell'ex attaccante, in scadenza il prossimo 30 giugno. Formalmente Bettega era solamente un consulente, in realtà il suo peso all'interno del club era assai incisivo, grazie anche alla fitta rete di rapporti costruita ai tempi della collaborazione con Moggi e Giraudo. È stato lui a gestire il calcio-mercato dei bianconeri, precipitati in B. Lui ha organizzato la campagna abbonamenti, dopo la decapitazione della vecchia dirigenza. Sempre lui ha pianto quando la Vecchia Signora ha vinto l'ultimo scudetto prima dello scandalo Calciopoli. Ha lavorato nel silenzio, ma non è bastato per mantenere il posto. La società, ovvero il presidente Cobolli Gigli e l'amministratore delegato Blanc, hanno deciso per il cambio di strategia e d'immagine. Al suo posto andrà Tardelli, che s'era presentato all'ultimo consiglio d'amministrazione con la lettera di dimissioni in mano. A spingere sull'ex allenatore dell'inter sarebbero stati addirittura i vertici della Uefa. Insomma, il presidente Michel Platini. Il piano dell'ex numero 10 della Juve sembra chiaro: boicottare la nascita del G14, ovvero la nascente associazione delle grandi squadre europee, in alternativa alla Champions League. Una sorta di Nba del calcio pronta, nel giro di un anno, a salire a quota 30 associati. "Le roi" teme questo progetto che relegherebbe la sua Uefa in secondo piano. La battaglia è dura ma da qualche parte Platini doveva pur cominciare. Bettega poteva essere un ostacolo. Per cui, meglio Tardelli, che potrebbe consigliare la Juve di rimanere nell'alveo Uefa. Prima di arrivare all'Europa che conta la Juve dovrà prima risolvere il riassetto azionario. Ieri i titoli della Juventus a Piazza Affari sono stati colpiti dalle vendite "tecniche", visto che si concludeva la trattazione in Borsa dei diritti legati all'aumento di capitale in corso. Le azioni hanno perso il 10,31% a 1,418 euro, tra scambi fuori dall'ordinario: il 20% in meno rispetto al 28 maggio, primo giorno della ricapitalizzazione. A tirare fuori gli oltre 100 milioni, oltre a Ifil, la holding di casa Agnelli che controlla il 60% della società, e alla libica Lafico, sarà un consorzio di garanzia con Hvb del gruppo UniCredit, Intesa Sanpaolo, Banca del Piemonte. Cosa spinge queste banche ad assumersi il rischio di accollarsi le azioni spettanti ai soci di minoranza, per un massimo di 34 milioni? Commissioni a parte non va dimenticato che l'istituto di Alessandro Profumo è tra i principali creditori della società bianconera, così come Intesa e la stessa Banca del Piemonte, per complessivi 19,3 milioni al 31 marzo 2007, pari al 32,6% dell'indebitamente finanziario. E se ci fosse qualcosa in più? A Torino, mai dire mai. Ps: dopo la fusione tra Unicredit e Capitalia, la banca milanese ora controllerà anche il 49% della Italpetroli, ovvero della Roma calcio. Chi lo dice ai tifosi giallorossi?

LA SCHEDA

MICHEL PLATINI Nato a Joeuf nel 1955. Dal 1982 al 1987 alla Juventus: tra le sue vittorie due scudetti, una Coppa Campioni ed una Coppa Intercontinentale. Campione d'Europa con la Francia nel 1984. Dal gennaio 2007 è Presidente dell'Uefa.
ROBERTO BETTEGA Nato a Torino nel 1950, debutta nella Juventus nel 1970. Rimane in bianconero per 13 stagioni vincendo 7 scudetti, 2 Coppe Italia e 1 Coppa Uefa. Dal 1994 al 2006 è vicepresidente della Juventus.
MARCO TARDELLI Toscano, 52 anni, arriva alla Juventus nel 1975. In 10 anni vince 5 campionati e una Coppa Campioni. Campione del mondo 1982. Da allenatore è Campione d'Europa Under 21 nel 2000. Dal giugno 2006 è nel Cda della Juventus.

ADESSO COSTRUIREMO UNA GRANDE SQUADRA

Da Tuttosport di sabato 9 Giugno 2007

TORINO. Sul rinnovo del contratto Gigi Buffon aggiunge: « Non nego che un mese fa avevo quasi scelto di andare via e poi invece ripensandoci e dando valore a certe vautazioni ho pensato che fosse giusto rimanere. Non aveva più senso andare da un’altra parte. Questa ricerca spasmodica di primeggiare ancora con la Juve, di conquistarci il tetto d’Italia e d’Europa ha fatto sì che questa motivazione non sia venuta meno. Poi credo che sia un po’ il risultato dell’educazione sportiva che ho ricevuto dai miei genitori, dai valori che mi hanno insegnato, dalla discrezione della mia fidanzata che non ha mai messo bocca sulle mie scelte lavorative e poi sicuramente credo che abbia inciso anche l’amore dei tifosi e della gente e il rispetto e la grande stima che ho per questa dirigenza, da Blanc a Cobolli Gigli, da Secco alla famiglia Agnelli.
Prima di fare una scelta simile ho voluto tastare il terreno con gente come Trezeguet, Del Piero, Nedved e Camoranesi per vedere se c’era la voglia spasmodica di poter riportare in alto questa squadra. Avendo ricevuto delle risposte più che positive sia dal nostro capitano che dagli altri ragazzi, penso che non ci sia niente di più bello che poter sognare e pensare di poter vincere con questo gruppo » . Il portiere è sorridente, soddisfatto. E’ un fiume in piena. E invita gli altri big a seguire il suo gesto. « Mi chiedete se restano tutti? Questa è più che altro la mia speranza, è quello che mi auspico. Se sono rimasto è perché dopo varie valutazioni mi è sembrato che ci sia un progetto importante e che dietro al progetto ci siano delle persone qualificate che lo possano sostenere. Poi chiaramente noi giocatori siamo gli strumenti, quelli che vanno in campo e che devono dare il massimo e fare sì che il prossimo campionato possa diventare il più entusiasmante possibile. Colgo l’occasione per ringraziare la famiglia Agnelli che in ogni momento mi è stata vicina e che avrebbe accettato e rispettato ogni tipo di decisione, grazie di cuore a tutti per avermi fatto fare la scelta migliore » .
Risolto il problema del contratto il portiere è pronto per partire per le vacanze e prepararsi, a livello psicologico, per la prossima stagione che dovrà riportare la Juventus nelle prime posizioni della classifica. l’obiettivo è quello di vincere il più possibile. Il sogno sarebbe quello di conquistare lo scudetto ma ci sono altre squadre più attrezzate. Soprattutto inter e Milan. Gigi Buffon tutte queste cose le conosce alla perfezione ma in cuor suo vuole stupire. Sa bene che l’ambiente bianconero ha in più l’arma dell’entusiasmo e che tutti sognano traguardi ambiziosi. I dirigenti gli hanno regalato certezze: gli hanno promesso una squadra all’altezza della situazione in grado di poter lottare alla pari con le altre big. Naturalmente i tifosi, per la partita di domenica contro lo Spezia, sono pronti a festeggiarlo come un eroe. Per lui sono pronti festeggiamenti mai visti. La gente di fede bianconera lo porterà in trionfo: sono previsti scriscioni e cori, la festa sarà tutta per lui. Gigi la seguirà dal campo ma non giocherà. Giusto che Mirante e Belardi si tolgano la soddisfazione di giocare. Buffon guarderà. Farà il tifo per loro. Nonostante questo sarà la sua giornata. In pochi si aspettavano che continuasse il rapporto con la Juve. L’ha detto lui: un mese fa pensava di andarsene. E in trenta giorni sono cambiate tante cose. Adesso Gigi Buffon ha la possibilità di concludere la carriera nella Juventus. Già, chi l’avrebbe mai detto...

Tuesday, June 05, 2007

ARGENTINA 0-1 ITALIA (MONDIALI 1978)

Agli ordini dell'arbitro israeliano Kle­in, il migliore del mondiale, Ita­lia ed Argentina scendevano in campo in un incontro denso di significati. L'Italia era indicata come la migliore formazione del mondiale, all'Argentina venivano riconosciuti come decisivi i van­taggi del fattore ambientale. La sfida venne affrontata seriamen­te dai due tecnici che allinearo­no le formazioni migliori. Italia: Zoff, Gentile, Bellugi (dal 6' Cuc­cureddu), Scirea, Cabrini; Benet­ti, Tardelli, Antognoni; Causio, Rossi, Bettega. E Argentina: Fillol; Olguin, Luis Galvan, Passarella, Tarantini; Ardiles, Gallego, Valencia; Bertoni, Kempes, Ortiz. Davanti a 76.000 spet­tatori, ammutoliti dalla superio­rità tecnica degli azzurri, dalla personalità di una squadra che comandava il gioco a suo pia­cimento, che si accendeva im­provvisamente del genio di Ros­si, dell'abilità di Bettega, del mo­vimento instancabile e possente di Romeo Benetti, della fresca vivacità di Cabrini, dell'efficacia di un Gentile superbo che can­cellava dal campo Kempes, la tifoseria argentina attendeva il momento della verità che Fillol aveva evitato nel primo tempo con una prodezza eccezionale su tiro ravvicinato di Bettega, ma che non poteva essere ulterior­mente procrastinato. Al 67' Ca­brini allunga ad Antognoni che cerca Bettega sulla tre quarti ar­gentina. «Cabeza bianca» si por­ta in avanti e detta a Rossi un triangolo che «Pablito» è pron­to a disegnare con il tacco, la palla è in area sui piedi di Bet­tega, tiro preciso di destro nel!' angolo basso alla destro di Fil­lol colto in uscita. E' il gol-par­tita ed è anche il più bel gol del mondiale, l'Italia resterà al River Plate e la vittoria resterà se­gnata per sempre nel libro d'oro azzurro come una delle più belle di tutta la sua storia.
Poche squa­dre europee, forse nessuna ha mai vinto a Buenos Aires, le po­lemiche della vigilia sul gioco a perdere per risparmiare fiato fanno parte di un bagaglio di furbizie che sarebbe meglio di­menticare. Finito il girone di qualificazione s'impone una tre­gua per cercare di capire cosa è successo in una squadra che sembrava composta da un bran­co di derelitti ed invece nel fuo­co della battaglia si è trasfor­mata in una formazione data a 2-1 per la vittoria finale.
In­nanzi tutto l'innesto di un fuoriclasse come «Pablito» Rossi: so­lamente i grandi del calcio han­no la proprietà di trasformare un buon complesso in una gran­de orchestra e Rossi con la linearità ed il genio delle cose facili c'è riuscito immediatamente più dando che ricevendo, perché cer­ti schemi vanno studiati e con Bettega e Causio non c'è stato il tempo per farlo. Poi Cabrini, una grande realtà, un giocatore da cui si temevano ripercussioni emozionali ed in­vece ha giostrato con le capacità di un veterano di mille battaglie. Poi Gentile, il grande Bettega che a metà torneo era certamente il miglior giocatore del mondiale, il formidabile Scirea finalmente autoritario, Zaccarelli sempre po­sitivo negli innesti che Bearzot operava per dare respiro, ed il grandissimo Causio che fu defi­nito il più sudamericano degli europei. Ma una parte dei meri­ti, oltre che a Bearzot ed ai gio­catori, vanno riconosciuti anche a Radice e Trapattoni che hanno portato a fine stagione giocatori ancora in grado di esprimersi su livelli fisici ottimali ed hanno fornito a Bearzot elementi in gra­do di giostrare sui canoni del calcio moderno che non richiede specializzazioni ma giocatori in grado di operare in qualsiasi zo­na del campo.

Friday, June 01, 2007

RIMANGO AL 75 PER CENTO

VITTORIO OREGGIA
Da Tuttosport di giovedì 31 Maggio 2007

Gianluigi Buffon, sia sincero, per caso ha già scelto se restare alla Juventus o andarsene?
«Quasi, quasi... Con la società siamo rimasti d’accordo che renderemo pubblica la mia decisione dopo la fi­ne del campionato di serie B, cioè in­torno al 15 o 16 giugno».
Però ogni giorno che passa lei sembra sempre più intenziona­to a rimanere: una sensazione giusta?
«In effetti, le probabilità sono mag­giori. Diciamo che rispetto a venti giorni fa si sono capovolte. Prima dell’incontro con i dirigenti erano 49 a 51. E il 51 rappresentava l’addio. Adesso posso sostenere tranquilla­mente che siamo 75 a 25».
Tanta roba. Cosa è successo di così determinante da indurla a cambiare idea?
« Il merito è della nuova dirigenza, che in maniera intelligente ha sapu­to stimolarmi con progetti interes­santi. Mi spiego meglio: sono stati bravi a fare sentire la mia presenza come un fatto fondamentale. In po­che parole, mi hanno raccontato che se non fossi rimasto avrei creato un problema enorme alla Juventus. E, lo confesso, è stato un discorso grati­ficante ».
Promesse?
« No, quelle no. Certo, mi avessero profilato un campionato di stenti, con il traguardo della salvezza da conquistare, avrei ringraziato e tolto il disturbo. Al contrario, ci sono idee chiare. Ci sono ambizioni. Per esem­pio, entrare subito nelle quattro del­la Champions League».
Vincere lo scudetto rimane un’u­topia...
«Le favole esistono ancora, però oc­corre essere realisti».
Un atto d’amore, l’ennesimo, do­po l’anno in serie B...
«Io ho sempre ammesso di essere in­namorato della Juventus. Questa so­cietà mi ha dato tanto, ma persino di più mi hanno dato i tifosi. La gen­te bianconera mi ha dimostrato at­taccamento, rispetto, amore. Per i miei valori si tratta di aspetti uma­ni che contano parecchio. Cercate di capirmi: ogni cosa che ho detto e che dico è frutto di un sentimento».
Viene da strabuzzare gli occhi a sentirla. Lei è come un panda, animale in via di estinzione. Di­venterà il Paolo Maldini della Juventus...
«No, quello è Del Piero. Ma io potrò avere un ruolo di prestigio nella sto­ria del club».
Fosse andato via avrebbe scelto una delle milanesi?
«Sono onesto. L’unica cosa che mi ha infastidito in tutta questa vicenda è stato ascoltare chi sosteneva la tesi del “resta perché nessuno lo vuole”. Una bugia colossale. Avessi voluto andarmene avrei trovato una squa­dra, subito. Per una forma di genti­lezza verso i colleghi coinvolti prefe­risco non fare nomi, però...».
Quattordici milioni di tifosi pen­dono dalle sue labbra...
«E’ un’immagine che non mi piace e che non condivido. Sarebbe come sminuire cento e passa anni di sto­ria. Piuttosto, mi accorgo che la mia scelta è importante e per questa ra­gione non voglio mancare di rispetto ai miei dirigenti, ai miei compagni, ai miei sostenitori. Anzi, se adesso sono più vicino alla Juventus di tre o quattro giorni fa è per una que­stione proprio di rispetto».
Ora può sbottonarsi. Quale tipo di remore si portava dentro?
« La paura, avendo lottato sempre per i massimi obiettivi possibili, di non sopportare una stagione da non protagonista. Poche volte in carriera mi è capitato di perdere due partite di fila, o di subire tre gol a incontro. A me interessava capire se avevo an­cora voglia di tornare a fare grande questo club. E il primo incontro è stato davvero positivo».
Cosa è scattato?
« Qualcosa dentro di me è scattato, sì. Una spinta me l’ha regala la fi­nale di Champions League. Non ho provato invidia ma solo stima profonda nel vedere gente come Mal­dini, Nesta, Pirlo, Gattuso, Inzaghi, Gilardino, Ambrosini che si abbrac­ciava ed esultava. Questa immagine mi ha fatto capire quanto sia fonda­mentale il gruppo: magari non sei fa­vorito in una competizione, però cer­ti valori possono portarti a trionfare. Ecco, quello del Milan è stato un trionfo morale. Io vorrei riuscire a ottenere la stessa cosa, lo stesso ri­sultato ».
Con la Juventus, ovvio...
«Mi sono reso conto che se vinci ma non ti senti parte integrante di un gruppo non riempirai il tuo cuore di gioia. La squadra nella quale mi ri­conosco di più è la Juventus. Il mio sogno è riuscire a vincere con questi ragazzi. Con Del Piero, Nedved, Ca­moranesi. Tra qualche anno».
Quanto siete distanti da Inter, Milan e Roma?
«Siamo competitivi e possiamo rico­prire un ruolo di rilievo all’interno del prossimo campionato. Ne ho par­lato con Del Piero e Camoranesi, ci siamo trovati in sintonia: se rima­niamo tutti e diamo il cento per cen­to di noi stessi, il prossimo anno di­venteremo protagonisti. Naturale, c’è bisogno di costanza».
La prima pietra è l’allenatore che adesso non esiste...
«Una situazione strana, è vero, ma che non mi provoca disagio. Però è scontato che mai come questa volta diventa fondamentale la scelta del nuovo tecnico».
Un salto indietro, all’addio trau­matico di Deschamps...
«Mi hanno colpito i tempi del divor­zio, perché pensavo che rimanesse fi­no all’ultima giornata, invece se n’è andato a due dalla fine. E’ stata una sorpresa che non mi ha lasciato in­differente. Le frizioni erano sotto gli occhi di tutti, però capita. Alla Ju­ventus e alle altre. Prendete Ance­lotti, poverino: per otto mesi è stato sulla graticola e non so neppure per­ché, poi ha vinto la Champions Lea­gue.... Deschamps, ad ogni modo, avrà sempre il mio rispetto: si è mes­so in gioco, per amore della Juventus e per interesse».
E siamo al tormentone Marcello Lippi. Lei un giorno di qualche mese fa se ne uscì con questa frase: se Lippi mi chiama io lo seguo ovunque. Allora?
«Allora non sono il suo sponsor e non desidero esserlo. Lo sponsorizzano i risultati di una carriera straordina­ria. Comunque è indiscutibile che se arrivasse un uomo con la sua storia sarebbe una sicurezza per noi e per i tifosi. Significherebbe, presumo, anche affiancargli giocatori all’al­tezza ».
L’ha sentito al telefono?
«Ci siamo sentiti e visti. Mi pare sia deciso a mantenersi sulle sue posi­zioni fino a quando non si sarà risol­ta la faccenda del figlio. E’ una scel­ta da comprendere, la speranza è che la giustizia vada avanti e non ci sia­no continui rinvii altrimenti non tor­na più in panchina. Ma siccome sia­mo di fronte a una scelta che entra nella sfera familiare, quindi perso­nale, non ritengo sia lecito forzarla».
E il traghettatore?
«Una patata bollente per il club. Non mi sono mai trovato in una situazio­ne simile, dunque non posso espri­mere un giudizio. Per fortuna sono ancora un calciatore e non un diri­gente ».
Se Lippi non cedesse, chi ve­drebbe bene sulla panchina del­la Juventus?
«Qualcuno di carismatico. Qualcuno che appartenga alla storia biancone­ra, che abbia vissuto emozioni vio­lente con la maglia della Juventus sulla pelle».
Buffon, sa che sta per fare felice milioni di persone?
«Io so che amo la Juve. E che la ame­rei anche se me ne andassi».