Thursday, May 17, 2007

LE CURIOSE AMNESIE DEL DIRIGENTE JUVENTINO CHE ACCUSA MOGGI

EMILIO CAMBIAGHI
Da Libero di mercoledì 16 Maggio 2007

Il testimone dell'esecuzione (sommaria) della Juventus si chiama Maurizio Capobianco, uomo per una stagione sola, quella del dopo Calciopoli, degli improvvisi ritorni di memoria e, molto probabilmente, delle vendette. Il pretesto è un'intervista ad opera di Marco Mensurati apparsa su "Repubblica" venerdì scorso, nella quale l'ex dirigente juventino Capobianco racconta le sue verità da insider. Il titolo ("Così Moggi comprava gli arbitri") è perentorio, i contenuti quantomeno controversi, ma tanto è bastato per scatenare i pruriti dei campioni dell'esegesi unilaterale. Tuttavia, laddove ci si illude di leggere le prove del condizionamento moggiano, si potrebbe in realtà smascherare l'ennesimo tentativo di giustificare gli esiti - sempre più traballanti - delle sentenze rupersandulliane. Capobianco fu licenziato dalla Juventus giraudiana nel settembre 2005 - circostanza che lo ha spinto a citare la società in giudizio per mancanza di giusta causa - ed è curioso che sciolga la lingua soltanto ora, a dodici mesi dallo "scandalo", per raccontare birbantaggini di molti anni addietro. Scorrendo tra le domande e le risposte dell'intervista si incontrano persone, si toccano temi e si formulano accuse che, a guardarle bene, tutto paiono fuorché illeciti sportivi. Si comincia con i giornalisti, poi, dalla carta stampata si passa ai tifosi, medaglia e rispettivo rovescio dello showbusiness calciofilo, sotterraneamente finanziati dalla Semana srl, società di engineering e management secondo Capobianco facente capo ad Antonio Giraudo. Peccato che, rovistando nel mare delle visure camerali e nel gorgo delle fiduciarie, si apprenda come tale impresa sia controllata e gestita da Franzo Grande Stevens (e dai suoi figli), persona assai poco in sintonia con il manager torinese. L'esistenza di flussi di denaro tra (tutte) le società sportive e i gruppi ultrà non è certo notizia che coglie impreparati né è pratica che consente di ottenere vantaggi in classifica. Il tutto condito da un lapsus temporale che l'intervistato si lascia sfuggire: come può uno che ha ricevuto il benservito nel 2005 raccontare fatti relativi all'anno dopo («Fino a quando c'ero io, ovvero marzo 2006»)? Nel mazzo delle accuse non manca la carta Gea World (250 mila euro pagati attraverso una società di comodo), il jolly da sfoderare in caso di impaccio, e nemmeno un riferimento alle schede svizzere: la potentissima Juventus che, non riuscendo a giustificare l'uscita di poche migliaia di euro per l'acquisto delle tessere si trova costretta a commerciare in orologi per pareggiare l'ammanco. C'è poi una macchina in regalo al dirigente messinese Fabiani che è con Luciano Moggi la sola persona considerata colpevole prima ancora di essere non solo giudicata, bensì processata. Ma manca il riscontro inequivoco del vortice di illeciti in cui roteava la Juventus pre-cobolliana. Ed eccola servita, la prova: «Quattro casi in cui la Juve ha fatto arrivare beni di ingente valore a due arbitri italiani, a un esponente della Figc, e a uno della Covisoc». Sembra il momento decisivo, ma sul più bello il climax si interrompe, per lasciare spazio alle rettifiche. I nomi dei coinvolti sono ignoti, i beni di "ingente valore" anche, il periodo indefinito (pare il 1995), le modalità di recapito nebulose: beni monetizzabili «consegnati» da società «terze» a soggetti «terzi», legati ad arbitri (sine nomen) da «rapporti di parentela». Un percorso da far invidia alla teoria dei sei gradi di separazione. C'è spazio anche per Pairetto, che «era di casa alla Juventus», il quale avrebbe «ricevuto» una moto che «pare» non sia stata restituita.

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