Sunday, April 06, 2008

SOLO ACCUSE-FARSA: MOGGI RESTA CON NOI












VITTORIO FELTRI

Da Libero di venerdì 4 Aprile 2008

Ogni tanto qualcuno (tifoso dell'inter o del Milan) mi dice a muso duro: tu sei juventino. Rispondo: mai stato. Non sono tifoso. Il tifo è una malattia orrenda che uccise tanta gente della mia generazione. L'ho evitato e non vado a cercarmelo ora in età pensionabile. Mi piace il calcio, questo sì. Amo la squadra della mia città, l'Atalanta. E amo l'Albinoleffe perché è un miracolo e mi dà l'idea che lo sport esista ancora. Tra le grandi preferisco la Fiorentina, che seguo da quando ero bambino. Obiezione: perché allora voi di Libero avete assunto come collaboratore Luciano Moggi, personaggio centrale di Calciopoli? Rispondo: Calciopoli è una buffonata, l'ho percepito fin dal primo momento. E Moggi, che s'intende di pallone più di chiunque altro, è innocente fino a prova contraria. Non è stato condannato. Contro di lui solamente pettegolezzi, intercettazioni telefoniche che non dimostrano un'acca. Non ha corrotto nessuno. Nessun movimento di soldi sui conti correnti. Ha regalato schede telefoniche ad alcuni arbitri: capirai che sacrificio. Fosse un reato, chi donò orologi d'oro (Rolex) ad altri arbitri doveva essere impiccato nella pubblica piazza; invece nessuno gli torse un capello. Queste cose le ho sempre dette e continuo a ripeterle. Molte conferme che ho ragione a stare con Moggi arrivano ogni dì. A suo carico sono stati avviati tre processi. Uno a Torino per falso in bilancio. Accusa ridicola. Luciano non ha mai avuto responsabilità gestionali e amministrative. Uno a Napoli, e non è ancora cominciato. Uno a Roma, ed è in corso. Moggi è imputato quale socio occulto della Gea (di suo figlio ed altri). Dal dibattimento non è saltato fuori nulla di concreto. Solo chiacchiere. Ho sentito questo e quest'altro. Non una testimonianza diretta, una circostanza accertata, un fatterello con qualche rilevanza penale. Miccoli, davanti al giudice, afferma di avere avuto la sensazione di non essere benvoluto da Moggi perché non iscritto negli elenchi dei giocatori Gea. Avete letto bene: sensazione. Basata su? Miccoli fu acquistato dalla Juve e si presentò a Torino con orecchini, diamante sui denti, Che Guevara pittato sulle gambe. E il direttore sportivo lo richiamò: qui siamo alla Juventus, non al Leoncavallo. Poi Miccoli fu ceduto in comproprietà alla Fiorentina dove si comportò talmente da campione che al termine della stagione fu rispedito al mittente, riscattato da don Luciano a meno di metà del prezzo incassato alcuni mesi prima. Breve permanenza e prestito al Benfica. Come mai? Nel frattempo la Juve si era comprata un certo Ibrahimovic, un po' più bravo - dicono - del simpatico nanetto leccese devoto del Che. Il quale nanetto da tutto ciò ricavò appunto la sensazione di essere sgradito al presunto Mammasantissima papà del picciotto della Gea. Qualsiasi società vende calciatori e ne acquista nel tentativo di migliorare la rosa. Da notare che Miccoli gioca (raramente) nel Palermo, non nel Real Madrid. Il raccontino offertovi è una prova? C'è ancora materiale. L'in chiesta romana si articola su intercettazioni telefoniche insignificanti, su dichiarazioni di Baldini (ds della Roma) e indagini della Guardia di Finanza coordinate dal maggiore Auricchio. Il primo viene interrogato in aula. Conosce Auricchio? Mah, sì, forse l'ho visto una volta, però... Insomma balbetta. L'indomani, tocca deporre ad Auricchio. Il quale dopo tre ore ammette di avere avuto rapporti (non sessuali, per carità) con Baldini. Gli avvocati di Moggi meditano di far partire la richiesta di appioppare la falsa testimonianza allo smemorato. Ora anche uno sprovveduto comprende che si procede a tentoni contro un uomo, Moggi, il quale nel calcio era un padreterno e suscitava invidie, quindi risentimenti. Peccato per i lapidatori che fin qui non sia emerso un fatto, lo straccio di un elemento probatorio. Immagino le conclusioni. Il Mostro sarà assolto, intanto però anziché fare il suo mestiere con la perizia che tutti gli riconoscono (inclusi i detrattori) è costretto per ammazzare il tempo a collaborare con Libero. E io mi dovrei giustificare perché mi avvalgo della sua penna? Ma andate a scopare il mare.

Thursday, April 03, 2008

ZAC E IL 5 MAGGIO

Da "Il Giornale" di sabato 29 Marzo 2008
di Franco Ordine

Scusi, Zaccheroni, c’è Lazio-inter: sente odore di 5 maggio?
«No, quella fu un’altra storia, oltre che un’altra partita».

Si spieghi meglio...
«Prima differenza: il martedì precedente la società annunciò ufficialmente l’arrivo del nuovo allenatore, Roberto Mancini. Seconda differenza: avevamo mancato la corsa alla Champions arrivando a meno 2 dal Milan, perdendo la sfida decisiva di Bologna».

Ci fu altro?
«Presto cominciarono le pressioni della piazza laziale, il tam tam delle radio, seguirono le minacce, in qualche caso suggerimenti tipo “tirate sui tabelloni pubblicitari”. Di fatto dovetti registrare molte defezioni».

E lei, caro Zac, come se la sbrigò?
«Puntai su quelli che non si tirarono indietro, gente come Stam, per esempio, Giannichedda, Stankovic».

Come maturò il famoso ribaltone?
«Decisivi furono due fattori: 1) l’impreparazione psicologica dell’inter a gestire una difficoltà. Erano convinti d’aver già vinto, i tifosi avevano passato il pomeriggio a cucire le rispettive sciarpe. In quei giorni sentii commenti acidi, tipo quello di Lippi il quale disse: “Mi viene il mal di stomaco a leggere certe cose”. 2) I fischi del tifo laziale contro Poborski che veniva considerato un elemento a rischio in quanto connazionale e perciò amico di Nedved. Il ragazzo, nel sottopassaggio, appena sentì i fischi, se la prese così tanto da risultare poi uno dei più motivati. E infatti, firmati i due gol, andò sotto la curva laziale a gridare “bastardi”».

Nessuno dell’inter reagì: perché?
«Io ero lì, in panchina, c’era un silenzio di tomba tra i giocatori dell’inter. Solo alla fine ci fu il siparietto tra Materazzi e Cesar, niente di speciale. Materazzi ricordò il favore fatto ai laziali l’anno di Perugia-Juventus e Cesar, appena arrivato a Roma, all’oscuro dell’episodio, reagì in modo disincantato. Gli disse: “Ma cosa vuoi da me?”».

Delio Rossi ha dichiarato: io vedo lo scudetto all’inter...
«Deve rispondere così, i tifosi della Lazio sono fatti in un certo modo. Piuttosto che assistere alle feste per lo scudetto della Roma, passerebbero sopra la sconfitta della loro squadra contro l’inter. Il 5 maggio sognavano di costringere la Roma a disputare il turno preliminare di Champions e invece fu l’inter ad arrivare terza».

C’è qualche analogia tra l’inter di allora e quella attuale?
«Allora ci fu un problema di testa, erano convinti d’avere lo scudetto in tasca e alle prime difficoltà andarono nel pallone. Questa volta mi pare che ai problemi di testa si siano aggiunti quelli fisici. Dopo il Liverpool è avvenuto un cortocircuito. La squadra che possedeva una dose industriale di autostima ha cominciato a vacillare, a pensare di non essere più imbattibile. C’era un tempo in cui bastava loro spingere sull’acceleratore per 10 minuti per vincere le partite. Quella forza e quella convinzione sono sparite, dopo la notte col Liverpool».

Eppure si tratta di quella che viene considerata l’armata del nostro calcio...
«Non sono così sicuro che l’inter abbia il gruppo più forte del torneo. La sua era una forza fisica, muscolare. Perso lo smalto fisico a causa anche degli infortuni, è venuta meno la sua qualità migliore».

Mentre la Roma...
«La Roma rende se è concentrata e vince se gioca in velocità. Appena pensa di gestire, come è accaduto a San Siro nella sfida con l’inter, si è lasciata rimontare. Devono andare al massimo ma hanno la Champions. E ho l’impressione che sentano questo il palcoscenico dove possono stupire».