Tuesday, December 15, 2009

BALOTINHO

da "Lastampa.it" del 15 Dicembre
Un anno fa Josè Mourinho catturava l’attenzione delle donne e del mondo dei media per il suo sguardo da bel tenebroso e per le sue smorfie da attore hollywoodiano. Adesso, invece, è addirittura furibondo ma non recita più nessuna parte: ce l’ha con il mondo e non riesce a controllarsi. Dov’è finito il tecnico dalla parlantina ricercata e brillante che regalava formazioni ai giornalisti? Se lo chiedono gli appassionati di calcio e se lo domanda soprattutto Massimo Moratti.

Mourinho non è in pace con se stesso, ha perso serenità e pure sicurezza. Litiga con gli arbitri, ma questa non è mai stata una novità. Negli ultimi tempi non riesce a sopportare soprattutto le critiche. Si sente in discussione e non capisce da dove provengano certe indiscrezioni. «Se mi cacciano dall’inter trovo una squadra quando voglio», ha tuonato prima di chiudersi la bocca. La frase è suonata indigesta alla società che gli versa regolarmente uno stipendio da dieci milioni di euro all’anno e non ha riscosso interesse presso i presidenti dei club europei.

Perez, ad esempio, non trova simpatiche le uscite dello Special One, a Barcellona si tengono stretto Guardiola: resta allora l’amata Inghilterra, ma anche lì le panchine eccellenti sono tutte occupate. Il Manchester United non ha nessuna intenzione di mettere alla porta Ferguson, il Chelsea non rinnega la scelta Ancelotti e ciò che resta viene considerato dal portoghese di secondo livello.

Mourinho si considera un fenomeno e non capisce perché l’Italia non abbia glorificato a dovere il suo talento. È convinto anche che dietro a certi commenti si nasconda una sorta di razzismo perché non è un allenatore italiano. Negli ultimi tempi, poi, ha iniziato a perdere consensi all’interno della struttura dove lavora. Un gruppetto di giocatori gli ha voltato le spalle raccontando a Moratti cose che dovrebbero restare nello spogliatoio. Mourinho ha iniziato ad avere l’ossessione delle spie e per combatterle ha provato a trasformare la Pinetina in un bunker.
Moratti è riuscito a farsi rispettare ma non a imporgli una linea politica-societaria. Lo Special One sul piano dialettico è sempre stato fin troppo autonomo: ha bocciato l’idea del patron di ritirare la squadra a Torino in caso di cori a Balotelli e si è messo in silenzio stampa a piacimento. Il presidente nerazzurro, quindi, è dovuto intervenire personalmente per risolvere situazioni imbarazzanti. Ha dovuto dovuto chiedere scusa a nome dell’inter a Andrea Ramazzotti del «Corriere dello Sport» che è stato aggredito senza motivo dopo Atalanta-inter. Il danno d’immagine per l’inter è rilevante: la procura federale ha addirittura aperto un’inchiesta. Moratti, ieri sera durante la consueta cena di Natale nella sua villa a Imbersago, ha parlato della vicenda con l’allenatore.

Ciò che preoccupa maggiormente è il fatto che il portoghese stia contagiando buona parte dello staff. Il mite Baresi, ad esempio, domenica se l’è presa con l’arbitro per l’espulsione di Sneijder. Una posizione che il presidente nerazzurro non ha condiviso: «Credo - ha detto davanti agli uffici della Saras - che Sneijder abbia commesso un’ingenuità». Poi c’è il capitolo giocatori. Come può il rabbioso Mourinho insegnare ai giovani l’educazione e dargli la serenità necessaria per giocare ad alti livelli? Il caso di Balotelli è quello più eclatante. Mario, che di per sé ha un carattere piuttosto vivace, avrebbe bisogno di avere vicino persone che gli diano il buon esempio.

Monday, August 24, 2009

TESTA DI MATERAZZI

Tuesday, July 28, 2009

L'inter VINCE ANCHE LO SCUDETTO DEI DEBITI

Dal Sole 24 Ore del 27 Luglio 2009

Il derby inter-Milan non si potrebbe disputare in serie C. Il club nerazzurro non soddisfa i parametri patrimoniali per l'iscrizione a quella che oggi viene moderatamente denominata "Lega Pro". Mentre i milanisti vi rientrerebbero per il rotto della cuffia. Ma né alla prima né alla seconda divisione potrebbero partecipare, come anche altri club di serie A e molti di B. A meno che le proprietà non mettano mano al portafogli. Una prassi che però non è più così scontata neanche dalle parti di Milano come hnno palesato le recenti cessioni di pezzi pregiati dell'argenteria di famiglia (da Kakà a Ibrahimovic).
Tra i paradossi (ma fino a un certo punto) del calcio italiano c'è anche questo: in pratica, i criteri per essere ammessi ai tornei più prestigiosi (Ae B) sono meno rigidi di quelli richiesti per le categorie minori. Così si spiega il fatto che società appena retrocesse dalla B alla Lega Pro (vedi Avellino , Pisa e Treviso) si scoprano - anche a causa di gestioni non proprio lungimiranti - non in grado di onorare i requisiti economici del troneo di rango inferiore e ne siano escluse.
Dalle norme di ammissione alla stagione 2009/2010 emanate lo scorso anno dalla Figc emerge un doppio filtro: tutte le società devono dimostrare che il capitale sociale non sia stato eroso per oltre un terzo dalle perdite e non sia sceso quindi sotto il minimo legale, nonché di essere in regola con i pagamenti di ingaggi e stipendi, delle ritenute Irpef, dei contributi Enpals e delle imposte (Ires, Irap e Iva) degli anni 2003, 2004, 2005, 2006, 2007; solo le società appartenenti alla Lega Pro invece sono tenute a depositare una fidejussione bancaria di 100mila euro e, soprattutto, a provare l'avvenuto rispetto del parametro "Pa", vale a dire di vantare un rapporto tra patrimonio netto e attivo superiore a 0,08. L'applicazione di questo parametro da parte della Covisoc (Commissione di vigilanza sulle società di calcio) ha appunto determinato l'espulsione di qualche settimana f, dalla Lega Pro, di otto formazioni: Avellino, Pisa, Treviso, Venezia, Biellese, Ivrea, Pistoiese e Sambenedettese. Giovedì prossimo saranno decretati i ripescaggi per ripristinare la griglia di partenza di 90 team.
Ma il presidente della Lega Pro, Mario Macalli, ha denunciato l'incongruenza dei requistiti contabili, invocando maggiore uniformità. "Servono regole uguali per tutti. Se applicassimo il nostro rigore in serie B ne verrebbero messe fuori parecchie di squadre", ha tuonato al termine dell'ultimo Consiglio federale. Ottenendo, per ora, solo generiche rassicurazioni dal presidentedella Federcalcio Giancarlo abete ("come in tutte le aziende, non bisogna guardare solo ai debiti ma anche ai crediti", ha detto). Le società di A e B che hanno certo altri ftturati e altri giri d'affari - ma anche ben altre uscite e debiti (Dagli ultimi bilanci depositati delle 20 società di serie A emerge un indebitamento complessivo di quasi 2 miliardi di euro) - rispetto alla ex serie C, devono semplicemente depositare all'organo di vigilanza un budget preventivo che che asseveri la sostenibilità della gestione. Se però i conti dei club che militano nelle serie meggiori fossero esaminate con la stessa lente riservata a quelli della Lega Pro, sarebbero molti a ritrovarsi off-side.
Stando agli ultimi bilanci approvati dalle società della massima divisione, per esempio, non sono in linea con il parametro "Pa", oltre all'inter campione d'Italia, la matricola Bari, il Siena e il Genoa. Il Milan è appena sopra la line di galleggiamento, così come il Chievo e la Sampdoria. La torta dei diritti televisivi collettivi che dal 2010 dovrebbe assicurare entrate per almeno 900 milioni di euroall'anno dovrebbe tuttavia tranquillizzare i tifosi , a patto che i manager sappiano resistere alle pressioni delle piazze più esigenti e perseverare nella linea dell'"autarchia".
Molto peggio vanno le cose in B, dove su 22 società sono 8 quelle con un parametro "Pa" deficitario e cinque quelle "salve" per un soffio. E se davvero oggi sarà sancita la nascita di una Superlega di A, il rischio di una deriva (finanziaria e non solo) per la cadetteria si fa sempre più alto.

Tuesday, July 21, 2009

LAPO FOR PRESIDENT

Saturday, June 13, 2009

MOGGI VIENE ASSOLTO MA I MASS MEDIA SE NE FREGANO...

Un giudice che assolve me e l’ex arbitro Massimo De Santis “perché non c’è stato illecito sportivo” non è stato considerato rilevante dalla grande massa dei media. Un motivo in più per ringraziare chi ha voluto invece darne notizia, come Tuttosport in buona evidenza e Fulvio Bianchi nella sua rubrica “Spy calcio” su Repubblica.it. Detto in breve undici tifosi del Lecce avevano chiesto i “danni patrimoniali” in relazione alle partite Lecce-Juventus e Lecce-Parma del campionato 2004-2005, entrambe arbitrate da De Santis, per presunta combine. Il giudice, avv. Cosimo Rochira, ha stabilito che “non c’è alcun nesso di casualità tra l’asserito illecito e il danno richiesto”, precisando anche che “le sentenze sportive non sono utilizzabili trattandosi di giudizio diverso rispetto a quello ordinario” e che a loro volta “le intercettazioni telefoniche richiamate nel corso del giudizio non sono utilizzabili in un procedimento diverso da quello nel quale esse sono state disposte”. E su quest’ultimo punto Tuttosport ricorda che di intercettazioni non ce ne sono proprio per Lecce-Juventus”. “Due motivazioni importanti”, secondo Bianchi su Spy calcio che si chiede “se possano fare giurisprudenza nel processo di Napoli”, concludendo che “intanto sia Moggi che De Santis portano a casa una vittoria”. Sarà per questo che sulla sentenza è calato il silenzio. In sostanza il 14 maggio 2009 il sottoscritto è stato assolto “perché il fatto non sussiste” dall’accusa di combine insieme ad un arbitro nelle partite Lecce-Juventus e Lecce-Parma. Provate ad immaginare cosa sarebbe successo nel caso in cui fossi stato condannato…Tra una notizia ed una barzelletta, sul sito de LA STAMPA.IT , l’inossidabile Beccantini il 10 giugno ha bacchettato il signor Facchetti Jr.: “Spero di leggere un giorno o l’altro un articolo di Gianfelice Facchetti contro Giuseppe Gazzoni Frascara, ex patron del Bologna, di recente rinviato a giudizio per bancarotta fraudolenta del club felsineo, che continua ad accusare suo padre di aver fornito alla Reggina 'l’agenzia sbagliata' per iscriversi al Campionato. Non ho fretta... E a dire il vero nemmeno io....."

Thursday, March 19, 2009

UNA STAGIONE DI SUCCESSO

Vi raccontiamo una storia.
Il presidente di una società di calcio (che chiameremo "inter") licenzia l’allenatore con il quale da qualche anno vince regolarmente (si fa per dire) scudetto e coppa italia. L’allenatore ha un contratto che lo lega all'inter per altri 4 lunghi anni a 6 milioni l’anno, euro più euro meno.
Il presidente sa bene che dovrà scucire la bellezza di 24 milioni se questi non troverà un’altra sistemazione prima della scadenza del contratto (cosa assai improbabile visto che di allenatore schiappa trattasi), ma è la coppa dei campioni che il presidente vuole vincere ad ogni costo e, pur di realizzare il sogno della vita, il presidente decide di correre il rischio. Il presidente è mosso anche dal desiderio di dimostrare a tutti, ma soprattutto a se stesso, di essere bravo come suo padre che, da presidente dell'inter, quella coppa l’aveva vinta 40 e rotti anni prima per ben 2 volte.
Il presidente ingaggia un nuovo allenatore, uno dei migliori sulla piazza, un allenatore, si dice, “speciale”, che qualche anno addietro, con una squadra assai più scarsa di quella che gli viene offerta ora, è perfino riuscito a vincere la fatidica coppa dalle lunghe orecchie. E’ l’uomo che ci voleva!
Ma, può un allenatore “speciale”, ingaggiato per un obbiettivo “speciale”, chiedere uno stipendio “normale”?
Certamente no! Detto fatto. Lo stipendio speciale è di 12 milioni che sommati ai 6 dell’allenatore schiappa fanno 18 milioni/anno.
Per giunta lo speciale convince il presidente ad investire 50 nuovi milioni di euro in giocatori "assolutamente indispensabili" per la realizzazione del sogno. Ma su questo punto non ci dilungheremo, sappiamo come è finita... e poi ognuno ha i propri Almiron, Andrade etc.
Iniziano le danze e la squadra dello speciale, quella da 18 milioni/anno per intenderci, vince regolarmente in campionato (si fa sempre per dire) come quando la allenava la schiappa da 6 milioni.

E la realizzazione del sogno?... Eccola:

Fase a gironi
Panathinaikos – inter 0-2
Inter – Bremen 1-1
Inter – Anorthosis 1-0
Anorthosis – inter 3-3
Inter – Panathinaikos 0-1
Bremen – inter 2-1

Ottavi di finale
Inter – Manchester United 0-0
Manchester United – inter 2-0
... e inter A CASA!

Se voi foste il presidente, anzi, se oltre ad essere il presidente foste anche un imprenditore, come la definireste questa stagione: "una stagione di successo?”

Sunday, March 15, 2009

LIPPI E L'inter

Monday, March 02, 2009

Sunday, February 22, 2009

Tuesday, February 10, 2009

PORCACCIO GIUDA

Monday, January 26, 2009

Saturday, January 10, 2009

MOGGI CONDANNATO. PER MANCANZA DI REATI

RENATO FARINA
da Libero di Venerdì 9 Gennaio 2009

Moggi Padre: diciotto mesi di carcere. Moggi Figlio: quattordici mesi. Se ci fosse stato in giro anche un Moggi Spirito Santo un annetto glielo appioppavano pure a lui. Gli altri: assolti. La clamorosa inchiesta romana che doveva decretare l’esistenza del calcio come sistema mafioso dominato da Moggi è finita nella condannuccia per reati da bar sport: violenza privata e minacce. Infatti Moggi padre (e un po’ anche il figlio) avrebbero costretto un calciatore a giocare per meritarsi un aumento di stipendio, e avrebbero fatto sapere a un altro che l’allenatore non lo voleva e se non accettava il trasferimento sarebbe finito in tribuna. (Non è passata invece l’accusa orribile del calciatore Fabrizio Miccoli, il quale si era lamentato coi giudici perché una volta la squadra lo aveva dimenticato in pullman: per una condanna forse occorreva almeno lo abbandonassero a un autogrill).

Dimenticavo un’avvertenza: spogliarsi per un attimo delle sciarpe colorate della propria squadra di appartenenza calcistica. Ho fatto fatica anch’io: sono iscritto all’inter club. Resto dell’idea che la Juve abbia rubato due scudetti, come hanno fatto anche il Milan e la Roma, sin dai tempi di Mussolini; invece l’inter se li è meritati tutti, anche quando Italo Allodi aveva cura degli arbitri nell’evo di Herrera. Però basta così. Qui c’è di mezzo una tragedia.

Ho letto e riletto le intercettazioni, ho seguito il processo. Parlo di Luciano Moggi: non lo sopportavo anch’io, come ogni interista che si rispetti. Ma se il rigore non c’è, non c’è. E a lui è stato confezionato, prima di qualsiasi valutazione seria dei fatti, il pigiama a righe del delinquente. Va così. Di tanto in tanto serve il cinghiale espiatorio, per ricominciare peggio di prima. Ma la civiltà è dire che non si fa. Invece anche stavolta si è fatto. Si è sdraiata la bestia sul tavolaccio, ma poi proprio non si poteva tagliargli la gola a causa dell’insussistenza assoluta di prove e di indizi. Allora si è deciso per salvare la faccia alla giustizia, che ha speso montagne di denari, di ferire Moggi un tantinello alla guancia. Tanto chi vuoi che protesti? Trattasi di Moggi. È cattivo per definizione mitologica. Sacrifichiamo lui che ci si deve essere fatto il callo. Ovvio: per il Bene della Causa. Anzi: delle Cause. Quella della casta giudiziaria. E quella dei moralizzatori del calcio, specie i bravi giornalisti sportivi, i quali intravedevano un mondo tenuto alle redini dai loro articoli alla candeggina. I risultati saranno, andando avanti in questa maniera, la rovina proprio della magistratura e l’assassinio del calcio pur di far fuori Moggi.

Sei cross per chi ha buona testa
Tento qui di produrre alcune non dico idee, non esageriamo, ma qualche cross per chi abbia una buona testa.

1) Questo processo è stato basato su un’imponenza di intercettazioni mai vista, pubblicate e sceneggiate in tivù come antecedente fumogeno per preordinare la colpevolezza. Non importa cosa c’entrino: ci sono, creano l’alone del mostro. Più alcuni testimoni. Eccoli, arrivano. Il principale accusatore è stato un dirigente della Roma, poi finito al Real Madrid e infine alla nazionale inglese, Franco Baldini. È lui a denunciare il sistema Moggi-Gea. E a proporre la presunta pistola fumante: il caso di Giorgio Chiellini, oggi in nazionale. Secondo Baldini l’allora terzino sarebbe dovuto finire alla Roma, ma il presidente del Livorno gli disse… Mi accorgo che sto entrando nei particolari. Mi fermo. Il pettegolezzo e un evidente rancore personale basta a dimostrare che c’era una mafia, una ragnatela di schiavismo? Non era credibile. Ad accusare ci sono stati poi dei procuratori, ma si capiva che prevaleva l’invidia e forse il desiderio di far fuori la concorrenza per mano dei giudici. Ci sono stati poi calciatori, oltre il doloroso caso di Miccoli, che hanno denunciato queste tremende violenze: «Se non firmi, finirai per giocare nel giardino di casa tua». Mamma mia.

2) Persino il pubblico ministero ha implicitamente riconosciuto che la sentenza di assoluzione dall’accusa di associazione a delinquere era uscita a pezzettini. Ha dovuto ammettere: «I calciatori non hanno collaborato, fanno parte del sistema». Ma come? È stato proprio il sistema che per durare ha fatto fuori Moggi. Semmai il fatto che tanti calciatori, pur sospinti dalla Gazzetta dello Sport e dai dirigenti del nuovo tipo, si siano rifiutati di alimentare le accuse prova come questo processo sia stato una fiera delle vanità accusatorie. A loro conveniva adeguarsi al nuovo corso. Invece sono stati leali. Che senso ha attaccarli come omertosi per di più da uno stimato pm? Se ha le prove persegua. Se no taccia.

3) Come si fa a non capire che era “necessaria” almeno una piccola punizione? Si era mosso il mondo. Un’assoluzione generale avrebbe finito per palesare la ridicolaggine di una dissipazione di denaro e di energie della giustizia per esaminare delle pinzillacchere. Ed ecco la condannuccia. Non abbiamo alcun dubbio sulla buona fede e la competenza tecnica e morale del tribunale di Roma. Ma se si rivedono gli episodi alla moviola, il rigore fischiato contro Moggi non c’era e non meritava l’espulsione. Forse gli arbitri (del tribunale), di certo onesti e preparati, inevitabilmente soffrono – roba inconscia – di una sudditanza psicologica verso le potenze dominanti. Se avessero accettato come prova gli errori degli arbitri (di calcio), e le complicazioni contrattuali (dei calciatori) per documentare l’esistenza di una cupola, dovrebbero perseguire i nuovi capi mafia. Dato che errori e complicazioni perdurano. E allora? Ecco la minicondanna.

4) Le violenze. Esaminiamo i casi dei calciatori-vittime (presunte). Nicola Amoruso (attuale attaccante del Torino). Alla fine del campionato 2001-2002 Carlo Ancelotti fa sapere di non volerlo più alla Juventus. Moggi convoca Amoruso e gli dice: qui non hai spazio, ti conviene accettare il trasferimento al Perugia, se no finisci in tribuna e non giochi. Amoruso alla fine accetta, e si becca pure un aumentone di stipendio. È violenza, è minaccia? Mobbing contro un miliardario? Ma va’. Altro caso. Manuele Blasi (oggi centrocampista del Napoli). La Juve lo presta al Parma. Lì risulta positivo al doping: otto mesi di squalifica. Rientra alla Juve nell’estate del 2003, non proprio in pompa magna. E subito Stefano Antonelli, a nome di Blasi, incredibilmente telefona: vuole per il suo assistito aumento e proroga del contratto. Moggi dice: niente da fare, con te non parlo, prima il giovanotto deve dimostrare di meritarsi sul campo soldi e nuovo contratto. Il mediano gioca bene, ottiene l’una e l’altra cosa. Testimonierà a favore di Moggi. Il giudice prende invece sul serio la testimonianza di Antonelli.

Partorito un “moggiolino”
5) La sentenza dice che Moggi non è il Padrino. E finisce per sostenere che l’allora direttore sportivo della Juventus alla fine ha agito – secondo loro esagerando con le parole - solo negli interessi della Juve: obbedendo all’allenatore (Ancelotti lo ha testimoniato al processo) e consentendo risparmi sugli ingaggi. Persino insegnando ai calciatori come si sta al mondo. Sarebbe facile essere generosi con i soldi degli altri. A questo punto la Juventus dovrebbe proporlo per una medaglia, invece di scaricarlo. Ma anche la Lega Calcio e la Federcalcio dovrebbero difenderlo. Nella sentenza è insito un precedente pericoloso per ogni società di calcio: dire no a un calciatore, spiegargli che è bene – non per noccioline – cambiare squadra, può diventare causa di condanna al carcere. Vuol dire che i calciatori oltre ad essere padroni di conti in banca milionari potranno esercitare un ricatto formidabile verso le squadre. Avanti, ci aspettiamo un pacco di denunce.

6) Riflessione extra-Moggi. Era ovvio si sarebbe arrivati comunque a una condanna. È tale il legame oggettivo che lega i pubblici ministeri e i giudici di merito che lavorano nello stesso palazzo e appartengono al medesimo sindacato e rispondono allo stesso Csm, che inevitabilmente quando c’è molto rumore di stampa e molti denari spesi nell’inchiesta, si finisce per condannare almeno un pochino, oppure assolvere e in parte prescrivere (vedi Andreotti). In questo modo l’immane macchina almeno può dire di aver partorito un moggiolino.

È chiaro a tutti che occorre la separazione delle carriere dei magistrati, oppure bisogna aspettare l’altro processo al calcio, quello di Napoli?

Monday, January 05, 2009

LA VERA STORIA DEL PASSAPORTO DI RECOBA

Il documento falso venne pagato ottantamila dollari: i vertici della società erano stati informati da Oriali
Da Libero del 18 Ottobre 2006

Pubblichiamo ampi stralci della sentenza della Commissione disciplinare della Lega Calcio relativi al "caso Recoba passaporto falso", che il 27 giugno 2001 stabilì le seguenti pene: squalifica fino al 30 giugno 2002 per Alvaro Recoba, inibizione fino al 30 giugno 2002 per Gabriele Oriali, inibizione fino al 31 marzo 2002 per Franco Baldini, oltre a una sanzione di due miliardi di lire per la società nerazzurra. Ma questo è solo il primo atto dell'intricata vicenda. La pena per il giocatore venne confermata dalla Commissione d'appello federale e ridotta a quattro mesi dalla Camera di conciliazione del Coni (sanzione pecuniaria per la società ridotta a soli 1,4 miliardi di lire). Il 25 maggio 2006 Recoba e Oriali hanno patteggiato sei mesi di reclusione (sostituiti con una multa di 21.420 euro) in sede penale, richiesta accolta dal gip del Tribunale di Udine. Nell'inchiesta, divisa in vari filoni, furono coinvolte trentuno persone, fra le quali dodici calciatori di Milan, Roma, Lazio, Sampdoria, Udinese e Vicenza. Sul sito www.legacalcio.it/comun/0001/cu507 è possibile consultare, per tutti gli interessati alla vicenda, il comunicato ufficiale nella sua interezza.

L'esame del merito richiede una premessa in ordine all'oggetto dell'accertamento demandato a questa Commissione, che non può riguardare direttamente l'autenticità, ovvero la contraffazione del passaporto italiano del calciatore Recoba Rivero Alvaro apparentemente emesso dalla Questura di Roma il 9 novembre 1998, essendo tale materia ovviamente riservata al giudice penale. Dagli atti del procedimento emergono circostanze univoche, concordanti ed incontrovertibili che consentono di affermare (pur prescindendo dal rilievo, desumibile dalla documentazione acquisita ed evidenziato nell'atto di deferimento, che il passaporto italiano del calciatore non risulta essere mai stato rilasciato dalla Questura di Roma) che il Recoba non aveva alcun titolo al rilascio di un passaporto italiano per assoluta inesistenza in capo allo stesso dei presupposti indispensabili, ed in primo luogo del diritto alla cittadinanza italiana. A siffatta conclusione si perviene, anche a tacere per il momento dei riscontri probatori e delle argomentazioni logiche che verranno approfondite esaminando le singole posizioni degli incolpati, sulla base delle sole dichiarazioni rese dal calciatore all'Ufficio indagini ed alla Procura della Repubblica di Udine. In sintesi, il Recoba ha riferito di aver preso per la prima volta in considerazione la possibilità di diventare cittadino comunitario al suo rientro presso l'internazionale dopo un periodo di permanenza in prestito al Venezia. In tale occasione egli chiese notizie al proprio padre il quale gli precisò che la famiglia aveva "antenati nelle isole Canarie". Le ricerche svolte in quella direzione, dapprima da un collaboratore del procuratore Casal, tale Daniel Delgado, e poi da uno studio legale spagnolo incaricato allo scopo dalla Soc. internazionale, non approdarono ad alcun risultato: riferisce infatti il Recoba che la ricerca era "lunga e difficile". Il calciatore ha inoltre escluso di aver mai svolto alcuna pratica od inoltrato alcuna richiesta tendente al rilascio di un passaporto italiano. BENEFICI ILLEGALI PER IL CALCIATORE Non è necessario spendere ulteriori parole per concludere che il passaporto italiano consegnato al Recoba in Roma nel settembre 1999 non corrisponde né alla cittadinanza uruguaiana di cui il calciatore era in possesso dalla nascita né a quella spagnola che egli avrebbe eventualmente potuto conseguire "jure sanguinis", se le ricerche svolte il Spagna per l'individuazione di antenati spagnoli avessero avuto esito positivo. E sotto il profilo soggettivo si può anche tranquillamente affermare che in nessun caso il calciatore avrebbe potuto confidare nella veridicità "ideologica" del passaporto italiano che gli venne consegnato alla Borghesiana il 12 settembre 1999 dall'Oriali. In linea generale, e fatto salvo l'accertamento delle singole responsabilità, è innegabile che l'uso di tale passaporto al fine ottenere la variazione di status federale del calciatore, con la consapevolezza che il documento non poteva essere genuino perché incompatibile con la cittadinanza non italiana del Recoba, costituisca grave violazione dei principi di lealtà, probità e rettitudine alla cui osservanza sono tenuti tutti i destinatari delle norme federali, come dispone l'art. 1 comma 1 del C.G.S. Si tratta infatti di utilizzare mezzi scorretti, o addirittura fraudolenti, al fine di ottenere il riconoscimento di un titolo non spettante, traendone un indebito vantaggio. È superfluo il sottolineare, in proposito, che il fatto di diventare "comunitario" ha recato benefici non solo economici sia al calciatore, quanto meno sotto il profilo della libertà assoluta di circolazione del tesserato nell'ambito delle Federazioni comunitarie, sia alla Società di appartenenza, per una migliore utilizzazione dell'organico disponibile (...). Passando all'esame delle singole posizioni, non sussistono dubbi sull'affermazione della responsabilità di Recoba Rivero Alvaro. Si è già detto che dagli atti non è desumibile alcuna valida ragione che consentisse al calciatore di credere nella genuinità del passaporto italiano in questione e, in particolare, non merita alcun credito l'affermazione del Recoba, allorchè sostiene di non aver rilevato l'anomalia della data di emissione del documento, anteriore di quasi un anno rispetto al momento della consegna dello stesso da parte di Oriali, o quando afferma di non aver notato che nel passaporto gli era stata attribuita una residenza romana mai esistita e meno ancora quando dichiara di non aver dato alcun peso alla circostanza che sul passaporto era applicata una sua fotografia di cui egli non aveva alcun ricordo e che non gli risultava comunque di aver consegnato ad alcuno. IL COINVOLGIMENTO DI BALDINI La difesa ha sostenuto che la condotta del Recoba dovrebbe ritenersi scriminata in considerazione della sua inesperienza ed ingenuità, dovute all'età giovanile, nonché della mancata conoscenza da parte sua di tutto quanto attiene a leggi, regolamenti, pratiche amministrative e burocratiche; tutti elementi questi che ne dimostrerebbero l'inconsapevolezza riguardo all'illiceità del suo tesseramento federale come cittadino comunitario. Ad avviso della Commissione l'asserita inconsapevolezza del Recoba è irrimediabilmente smentita dalle circostanze di fatto sopra richiamate, la cui rilevanza non può essere contrastata ed esclusa soltanto in ragione dell'età del calciatore. E' notorio, infatti, e risulta dagli atti che il Recoba, seppure innegabilmente giovane, ha maturato esperienza in vari campi attraverso spostamenti e viaggi intercontinentali, trattative contrattuali di rilevanza economica, contatti con procuratori sportivi ed iniziative anche nella specifica materia dell'acquisizione di una determinata cittadinanza (si vedano la richiesta di informative al proprio padre, l'affidamento della pratica a uno studio legale spagnolo). Pertanto non mancano a Recoba l'intelligenza, la maturità e l'esperienza necessarie per comprendere che i passaporti non si materializzano dal nulla e che la trasformazione del suo status federale da extracomunitario a comunitario era irregolare. La sconcertante faciloneria con cui Recoba, sebbene "stupito" di aver ottenuto un passaporto italiano, se ne è servito perché gli conveniva acquisire lo status di comunitario, assume, alla luce delle considerazioni sopra svolte, un significato probatorio decisivo ai fini dell'accertamento della partecipazione attiva e pienamente consapevole del tesserato alla realizzazione dell'illecito. Quanto al sig. Gabriele Oriali risulta dagli atti che questi, all'inizio della collaborazione con l'internazionale a giugno 1999, apprese che la Società aveva interesse alla variazione di status del Recoba da extracomunitario a comunitario e che a tal fine era stato interessato uno studio legale spagnolo, le cui ricerche si erano però arenate, trattandosi di pratica complicata che richiedeva in ogni caso, tempi molti lunghi. Risulta altresì che l'Oriali si interessò della questione Recoba assumendo concrete iniziative finalizzate al conseguimento della variazione di status del calciatore, prendendo contatto con il Baldini per conoscere "come facevano alla Roma per i passaporti" e chiedergli l'indicazione di qualcuno che potesse aiutare l'internazionale a modificare lo "status" del Recoba. Avuto dal Baldini il nominativo del Krausz (da lui peraltro già conosciuto), l'Oriali si attivò per l'avvio della "pratica", seguendone poi lo svolgimento sino alla conclusione. Egli provvide infine a consegnare al Recoba, il 12 settembre 1999, il passaporto italiano che gli era stato appena fornito dal Krausz. A carico dell'Oriali gravano elementi di accusa, costituiti da circostanze di fatto accertate e da argomentazioni logiche deducibili dagli atti, così precise, articolate e stringenti da dimostrarne la responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio. In particolare: a) fu l'Oriali a ricevere il passaporto dal Krausz. Prima di consegnarlo a Recoba, egli ebbe modo di esaminarlo e di rilevare che la data di emissione risaliva al 9 novembre 1998, cioè quasi un anno prima del giorno della consegna. La circostanza è confermata dal Krausz, la cui deposizione all'Ufficio Indagini va ritenuta attendibile, per essere stata rilasciata spontaneamente da persona non tesserata e conseguentemente non obbligata a fornire informazioni agli Organi federali della Figc. La spiegazione di tale anomalia, che il Krausz dice di aver fornito all'Oriali ("Commentammo il fatto che il passaporto risultava rilasciato con una data anteriore ma a me era stato spiegato con la circostanza che trattasi di documenti facenti parte di un gruppo "riservato a casi particolari") è sintomatica della consapevolezza da parte dell'Oriali in ordine alla irregolarità del rilascio del passaporto; b) Oriali ebbe anche modo di rilevare, esaminando il passaporto, che dal documento Recoba risultava residente a Roma, circostanza non corrispondente al vero, e che sul passaporto era applicata una fotografia del Recoba di cui egli "non sapeva nulla"; c) fu l'Oriali ad incaricare Krausz dello svolgimento della "pratica" in Argentina e ad autorizzare, dopo aver ottenuto l'assenso della Società, il versamento della somma di 80.000 dollari pretesi (cfr. le dichiarazioni sul punto del Krausz) dalla Liliana Rocca quale compenso per l'ottenimento del passsaporto; d) fu l'Oriali a promuovere un incontro con Baldini, alla presenza del Ghelfi, nel corso del quale venne chiesto al Baldini di assumersi tutta la responsabilità dell'operazione, e di emettere fattura a proprio nome dei costi "dell'operazione Recoba"; e) l'Oriali, essendo a conoscenza dei precedenti infruttuosi tentativi svolti in Spagna per il conseguimento della cittadinanza comunitaria del calciatore, non poteva confidare nella correttezza e regolarità di un passaporto italiano di Recoba ottenuto in Argentina da una non meglio precisata "agenzia", in tempi a dir poco fulminei, dal momento che egli ben sapeva che da parte di Recoba non era stata presentata ad alcuna autorità italiana la domanda di rilascio del passaporto. Né egli poteva, in base alla logica ed alla comune esperienza, considerare serie e fondate le generiche e fumose assicurazioni fornitegli dal Krausz, anche tramite Baldini, che "tutto era regolare". L'affermazione dell'incolpato, di non essere stato consapevole della pretesa illegittimità del documento e di non aver dubitato della correttezza delle persone alle quali aveva affidato, per conto della Soc. internazionale, lo svolgimento della "pratica", si riduce a mera allegazione difensiva priva di effettivo riscontro, che non intacca minimamente il completo e convincente quadro probatorio raccolto a suo carico. Deve quindi essere affermata la responsabilità disciplinare del sig. Gabriele Oriali. Per quanto attiene al sig. Franco Baldini è pacifico in atti che questi venne interpellato dall'Oriali, il quale gli chiese se conoscesse una persona in grado di verificare l'esistenza delle condizioni necessarie per modificare lo status del Recoba da extracomunitario a comunitario. Il Baldini avrebbe indicato il Krausz (che l'Oriali già conosceva personalmente) ritenendolo adatto al compito sia perché questi in precedenza si era occupato di vicende analoghe, sia perché la moglie dello stesso collaborava con uno studio legale argentino. Dopo aver indirizzato Oriali al Krausz, il Baldini non si sarebbe più interessato direttamente al caso, limitandosi in alcune occasioni a fungere da tramite tra Krausz ed Oriali, poiché gli stessi avevano difficoltà di mettersi in contatto tra loro. La difesa ha sostenuto che la marginale attività del Baldini, limitatasi alla "presentazione" di Krausz ad Oriali (salvo sporadici e non significativi interventi di mero collegamento tra i due) ne escluderebbe il coinvolgimento nella vicenda del passaporto Recoba. Osserva la Commissione che dagli atti si evincono numerose e concordanti circostanze che conducono al convincimento che il Baldini ebbe nella vicenda un ruolo ben più rilevante ed efficientedi quello di semplice tramite. In particolare: a) tra il Baldini ed il Krausz esisteva un rapporto di collaborazione, nel senso che il primo aveva offerto al secondo, in un momento di difficoltà economica, l'opportunità di collaborare con il suo studio, operando in Argentina ove dimorava avendo sposato un'argentina; b) il Baldini, proprio in virtù del rapporto di collaborazione di cui sopra, doveva ben conoscere la natura delle pratiche svolte dal Krausz in Argentina, l'inconsistenza delle vantate conoscenze ed esperienze presso agenzie e consolati e della altrettanto vantata possibilità di intervento della moglie nella veste di collaboratrice di uno studio legale (il Krausz ha dichiarato di aver reperito l'indirizzo di una "agenzia seria" attraverso depliant distribuiti a scopo pubblicitario, di fronte ad un Consolato e mai ha fatto cenno ad una qualsivoglia partecipazione della propria moglie alla vicenda); c) risulta dagli atti che il Baldini costituì un punto di riferimento costante per lo svolgimento della "pratica" trasmettendo al Krausz la documentazione relativa al Recoba, smistando le comunicazioni via fax tra Oriali e Krausz ed infine - circostanza questa alquanto sintomatica - comunicando ad Oriali, circa 45/60 giorni dopo il primo contatto, che la ricerca era stata positiva e che tutto era a posto affinchè il Recoba divenisse comunitario - Al riguardo, le asserite difficol tà di contatto telefonico tra il Krausz ed Oriali non sono credibili poiché il Krausz riferisce di aver telefonato direttamente ad Oriali per tenerlo al corrente dell'andamento della pratica in varie occasioni, non ultima quella relativa alla richiesta del bonifico bancario. Se ne deduce logicamente che le notizie importanti, come indubbiamente era quella della "conclusione delle ricerche", dovevano passare attraverso il Baldini e che competeva a quest'ultimo comunicarle all'Oriali; d) Oriali si rivolse a Baldini e non a Krausz per accertarsi che "tutto fosse regolare" e fu il Baldini a fornire le assicurazioni del caso; e) nel maggio 2000 il Baldini fu convocato ad un colloquio con Oriali e Ghelfi, nel corso del quale gli venne chiesto di assumersi tutte le responsabilità del passaporto di Recoba e addirittura di fatturare a proprio nome le relative prestazioni. Tale tentativo di coinvolgimento del Baldini da parte dell'internazionale non avrebbe evidentemente alcuna giustificazione logica, se egli si fosse limitato a "dirottare" Oriali verso Krausz. Né appare credibile la versione difensiva circa le motivazioni di rispetto quasi reverenziale che avrebbero indotto il Baldini ad accettare comunque il colloquio con gli esponenti dell'internazionale. In base ai suddetti elementi, la Commissione ritiene che debba essere dichiarata la responsabilità del Baldini, risultando pienamente provati il diretto e consapevole coinvolgimento nella realizzazione dell'illecito e l'efficacia causale dell'attività posta in essere per il conseguimento del fine. RESPONSABILITÀ OGGETTIVA PER L'inter Al sig. Rinaldo Ghelfi, amministratore delegato della Soc. internazionale, viene contestata la partecipazione alla illecita condotta posta in essere dai tesserati della sua Società, Recoba ed Oriali in concorso col Baldini e con terzi non tesserati. Peraltro, dagli accertamenti svolti in sede di indagini risulta un intervento diretto del Ghelfi nella vicenda soltanto nel maggio 2000, momento in cui era divenuta di pubblico dominio la notizia di possibili irregolarità riguardanti il conseguimento dello status di comunitario da parte del calciatore della Lazio Veron. Il Ghelfi, volendo essere certo che non vi fossero anomalie nella analoga pratica di Recoba, chiese chiarimenti ad Oriali e partecipò al noto incontro con lo stesso Oriali ed il Baldini. Tale condotta del Ghelfi, di per sé, non appare disciplinarmente rilevante, sia perché avvenuta in epoca successiva alla modifica dello "status" del Recoba, sia perché priva di valore probatorio significativo ed univoco in ordine alla consapevolezza del Ghelfi circa l'irregolarità della posizione del Recoba. Su tale circostanza sussistono certamente forti dubbi, dal momento che Oriali - non essendosi attivato per il passaporto di Recoba a titolo meramente personale - deve aver tenuto informati i vertici della Società sull'andamento della pratica. Dagli atti risulta che almeno in due momenti Oriali deve essersi consultato con i propri superiori: il primo quando si trattò di dare il "via" alla pratica in Argentina ed il secondo quando si trattò di effettuare su indicazione di Krausz, il bonifico di 80.000 dollari, che doveva essere autorizzato dai vertici societari. Ciò posto, è evidente che la richiesta di pagamento di una somma rilevante per lo svolgimento di ricerche documentali avrebbe potuto, e forse dovuto, ingenerare nella dirigenza dell'internazionale sospetti di irregolarità e d'altra parte l'inesistenza nei libri contabili della Società di un pagamento di tale importo potrebbe significare che alla liquidazione del compenso si sia provveduto in forma non ufficiale, cosa che costituirebbe un ulteriore indizio di responsabilità a carico dei referenti dell'Oriali. Dagli atti, tuttavia non è desumibile alcuna circostanza che faccia riferire al Ghelfi, in modo certo ed inequivoco, l'adozione di decisioni in tal senso, non potendosi escludere in modo assoluto l'ipotesi che altri soggetti abbiano provveduto nei predetti termini. Ritiene pertanto la Commissione che il sig. Rinaldo Ghelfi debba essere prosciolto dall'addebito. La Soc. internazionale risponde dell'operato dei propri tesserati Recoba ed Oriali a titolo di responsabilità oggettiva, senza che possono in alcun modo rilevare le allegazioni di buona fede formulate dalla stessa.

Saturday, January 03, 2009

IL PESO DI ADRIANO



Friday, January 02, 2009

DREAM TEAM

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