Tuesday, February 27, 2007

MORATTI SARA' DEFERITO

ALBERTO PASTORELLA
Da Tuttosport di martedì 27 Febbraio 2007

ROMA. Sarà la terza richiesta. Terza e ultima, avvisano dal­l’Ufficio Indagini. Poi, in ogni ca­so, si chiuderà la pratica e si tra­smetterà la relazione al procu­ratore Stefano Palazzi, che provvederà ai deferimenti. Non c’è più tempo per aspettare: an­che se si sperava in una ben di­versa collaborazione da parte della Procura di Milano, l’in­chiesta non si può fermare. La giustizia sportiva non può e non deve avere i tempi lunghissimi, insopportabili della giustizia or­dinaria. E così, per quanto ri­guarda i pedinamenti che sono stati ordinati o comunque accet­tati dall’inter, si sta per giunge­re alla svolta. In settimana, co­me detto, l’Ufficio Indagini pren­derà, si fa per dire, carta e pen­na e scriverà alla procura di Mi­lano per cercare di avere i faldo­ni che riguardano il caso Telecom e le intercettazioni. Sarà il terzo e ultimo tentativo, come detto, di poter conoscere gli atti dell’inchiesta penale. Se do­vesse andare ancora una volta a vuoto, comunque gli elementi so­no tali da poter arrivare alla conclusione delle indagini. Al massimo, si potrà ottenere una conclusione con riserva, proprio per lasciare una finestra aperta in caso di fatti nuovi e non cono­sciuti: la delicatezza dell’inchie­sta Telecom, i tentativi anche re­centi di inquinare le prove ( Ta­varoli, il teste principale, è sta­to di recente trasferito di carce­re proprio perché era riuscito a comunicare con l’esterno), non consentono alternative o scor­ciatoie. E sulla possibilità che da questa vicenda emergano svi­luppi clamorosi si è sbilanciato Luciano Moggi ieri sera a Ma­trix: «Dai soggetti che sono in carcere, capirete tante cose». Dif­ficile che il riferimento non fos­se a Tavaroli.
Dalle carte in mano all’Ufficio Indagini, si possono già fare del­le previsioni che difficilmente verranno smentite. Per quanto riguarda i pedinamenti ordinati su Cristian Vieri, si va sicura­mente verso l’archiviazione. Quei pedinamenti, peraltro am­messi sia dal presidente dell’in­ter, Massimo Moratti, sia dal vi­cepresidente Rinaldo Ghelfi, e confermati anche dal ritrova­mento di una fattura intestata all’inter nella sede londinese della società che aveva provve­duto a mettere sotto controllo la vita privata del bomber neraz­zurro, risalgono al 2001, un pe­riodo piuttosto negativo, da un punto di vista calcistico, per il giocatore. La vicenda è emersa solo a fine 2006, e di lì a poco è diventata materia per l’Ufficio Indagini, che ha ascoltato sia il giocatore sia il presidente. Ma siccome nella giustizia sportiva c’è una prescrizione di due anni per le società e di quattro anni per i dirigenti, ecco che ormai il tempo è trascorso. E quindi, malgrado l’ammissione dell’in­ter e di Moratti, non si potrà pro­cedere. Vieri ha comunque an­nunciato l’intenzione di proce­dere contro il suo ex presidente in sede civile, a titolo di risarci­mento.
Diverso invece il discorso per il cosiddetto dossier De Santis.
L’assenza del materiale da par­te della procura di Milano non chiarisce se, come ha sempre so­stenuto l’inter, il dossier sia sta­to consegnato già completo e la società si sia limitata a non de­nunciare l’episodio, o se invece sia stata proprio l’inter, su se­gnalazione di un ex arbitro, a or­dinare di spiare nella vita pri­vata e nelle abitudini di De San­tis. In ogni caso, la prescrizione varrebbe solo per la società, ma non per i dirigenti, Moratti in primis. L’Ufficio Indagini, anche su sollecitazione del commissa­rio Pancalli che nelle scorse set­timane si era lamentato dei troppi “casi” rimasti sepolti tra Ufficio Indagini e Procura fede­rale, ha deciso di imprimere una svolta. Il 15 marzo è il termine ultimo che si è imposto per la consegna della relazione a Pa­lazzi. Moratti rischia il deferi­mento per violazione dell’artico­lo 1 e, se condannato, a squalifi­ca e sanzioni pecuniarie. L’ex ar­bitro sarebbe intenzionato a chiedere in sede civile un risar­cimento di 5 milioni di euro.
Ma è chiaro che i rischi mag­giori l’inter li corre sul fronte dell’indagine che riguarda il fal­so in bilancio. Come si ricorderà, sull’argomento c’era stato uno stralcio da parte del procuratore Palazzi, che aveva provveduto a deferire la società e Oriali per una questione secondaria, so­stanzialmente medica e assicu­rativa, relativa al portiere Bru­nelli.
Ma non aveva deciso nul­la sulle plusvalenze, il vero caso emerso indagando sul caso Bru­nelli, rinviando all’Ufficio Inda­gini per ulteriori approfondi­menti. Anche in questo caso, dal­la Procura di Milano il materia­le arriva con molta cautela e len­tezza, ma in questo caso devono ancora partire le nuove audizio­ni degli 007 e quindi c’è più tem­po per aspettare gli atti giudi­ziari.

Saturday, February 24, 2007

inter NEI GUAI MILAN E ROMA CE LA FARANNO

LUCIANO MOGGI
Da Libero di venerdì 23 Febbraio 2007

Gli schiaffi che non ti aspetti dalla Champions e il dubbio inquietante che ne consegue: inter ridimensionata insieme a tutto il calcio italiano? Per trovare la risposta giusta converrà partire dalla premessa che siamo solo a metà percorso e i conti veri si fanno alla fine. Però i segnali d'allarme non vanno trascurati e questi segnali chiamano in causa soprattutto i nerazzurri. Alla squadra di patron Moratti, impegnata sul terreno di casa e forte di una superiorità indiscussa in campionato, si chiedeva non tanto di confermare il primato in Europa, quanto di tenere a distanza il Valencia con almeno un paio di gol di differenza, possibilmente senza subirne: in soldoni un bel 2-0. Compito apparentemente alla portata della truppa interista e che è stato invece malamente portato a termine. E ora ai Mancini-boys serve un'impresa

Il disappunto di Mancini si è letto chiarissimo sul volto deluso nel dopo-gara: quel 2-2 non gli è andato giù perché gli ha fatto un po' perdere la faccia (alla peggio aveva previsto, tra i risultati non graditi, lo 0-0) e soprattutto perché quei due gol potranno pesare parecchio nella gara di ritorno. inter strana, a volte autoritaria (ma il gol di Cambiasso era in fuorigioco), e in altri casi impacciata. Una squadra cangiante come un camaleonte e tanti possibili motivi: l'assenza di Vieira? Un'eccessiva sopravvalutazione di se stessi? Un'interpretazione errata dei valori della Champions League (decisamente superiori a quelli della serie A)? Ognuno di questi fattori ha avuto la sua influenza, ma uno in particolare ha inciso: l'inter si era troppo abituata ad avversari cuscinetto o comunque non alla sua altezza. La "scoperta" che i rivali di turno sanno far male e la sostanziale facilità con cui il Valencia è andato in gol (due volte contro la difesa più forte del campionato italiano) devono far riflettere: eccezion fatta per i tre gol subiti dal Chievo nel lontano 24 settembre 2006 (vittoria di Zanetti e soci per 4-3), nelle altre gare stagionali i nerazzurri avevano subito al massimo un solo gol (5 volte). Non è la prima volta che l'Europa ci schiaffeggia, a dimostrazione forse che il nostro campionato risulta... fin troppo metropolitano. Giuro: ero convinto che l'inter avrebbe vinto la partita. Ora, invece, Mancini e i suoi dovranno cercare l'impresa in terra spagnola, anche perché l'ipotesi di un pareggio dal 3-3 in su (che qualificherebbe i nerazzurri), mi sembra poco realizzabile. Toccherà vincere e non sarà semplice nonostante le dichiarazioni ottimistiche di Mancini. Ora, non voglio spaventare oltre misura i tifosi interisti, ma mi corre l'obbligo di far notare come l'inter abbia usufruito di un giorno in più rispetto agli avversari per preparare il match. Di più: nell'ultimo turno di campionato Zanetti e soci hanno affrontato l'abbordabile Cagliari, mentre il Valencia si è imposto per 2-1 sul Barcellona. A voler ragionare con il senno di poi... forse i campanelli d'allarme c'erano tutti e non sono stati tenuti in adeguata considerazione. Di una cosa sono sicuro, l'inter non andrà certo in Spagna sottovalutando la forza dell'avversario: se è vero che il Valencia è più forte in casa che fuori, è altrettanto vero che i Moratti-boys restano una squadra di assoluto livello, capace di qualunque impresa. Lo dice anche Mancini, ma forse non ne è del tutto convinto: il tecnico interista sa bene che patron, dirigenza e tifoseria hanno già messo in cassetto lo scudetto e che tutte le emozioni sono riservate alla Champions. Sbagliare, insomma, sarebbe una delusione troppo grossa da assorbire e appannerebbe persino il primo tricolore dell'era Moratti (perché quello consegnato "a tavolino" da Guido Rossi non si può chiamare scudetto). Il fatto è che nell'ambiente c'è chi con troppo anticipo ha pronosticato l'accoppiata campionato-Champions. Il percorso, invece, è ancora molto lungo e a questo punto fortemente a rischio, anche perché non saranno della partita né Vieira né Cambiasso.

Totti e C. se la giocano, Diavolo già ai quarti
La Roma non sta molto meglio dell'inter, ma potrebbe avere qualche possibilità in più visto il risultato maturato all'Olimpico (0-0): il Lione non ha convinto del tutto e il temuto Juninho si è visto poco anche sui calci da fermo. Per i giallorossi, svanito il sogno scudetto, è fondamentale andare più avanti possibile in Europa, fermo restando la finale di Coppa Italia già conquistata. Tutt'altro discorso per il Milan, non fosse altro che i rossoneri giocheranno a San Siro. A Glasgow, Ancelotti è stato pragmatico, (com'era giusto che facesse) e con il 4-4-2 ha rafforzato la linea difensiva davanti al rientrante Kalac. Il modulo è risultato talmente positivo che ha dato frutti anche all'attacco, con tre palle gol sprecate da Gilardino. Chi, parlando del Milan, ha parlato di "occasione perduta", probabilmente non ha capito la strategia di Ancelotti; alla luce dei risultati delle altre italiane, si sarà ravveduto. Bravo, dunque, il tecnico di Reggiolo, che può tenere anche a mente come il Celtic, finora, abbia collezionato pessime figure fuori casa. E poi, parliamoci chiaro: se Gilardino avesse avuto più fortuna, i rossoneri avrebbero già potuto parlare di trionfo. Troppo forse, per questo Milan che continua ad avere molti problemi. Ed è con quelli che Ancelotti è costretto continuamente a misurarsi. Tra le altre, non posso non complimentarmi con Shevchenko, che ha salvato il Chelsea sul campo del Porto. Guai grossi per i campioni uscenti del Barcellona, tramortiti in casa dal Liverpool, mentre solo il Manchester Utd può stare tranquillo: dopo la vittoria a Lilla il passaggio ai quarti è solo una formalità.

Sunday, February 18, 2007

LO SPETTACOLO CHE NOI AMIAMO

EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di domenica 18 Febbraio 2007

Del Piero 3-Ronaldo 2. Riconosco che ci sono formule meno cronistiche e più suggestive per fornire il senso di un sabato calcistico. Tuttavia questo è solo il secondo fi­ne settimana dalla tragedia di Catania, il primo in cui gli stadi tornano gradualmente a popolarsi. Serve misura. Eppure, all’improvviso, il calcio è esploso come un fiore sgargiante, con una prepotenza fino ad oggi appena avvertita. Giornata specialissima e, a suo modo, di rinascita intorno allo sport e ai suoi contenuti. In serie A non c’è solo il Ronaldo milanista ad accendere d’entusiasmo i cuori degli appassionati. C’è anche l’inter (sì, l’inter) che sul campo – come e più della Juve trionfatrice dello scorso campionato – conquista un record di sedici vittorie consecutive, mai riuscito a nessuno prima, nei grandi campionati d’Europa. La vittoria sul Cagliari, meno squillante anche per i meriti dell’avversario, vale definitivamente lo scudetto, vero, sulla maglia immacolata della prossima stagione.
Da sportivi, quali tutti crediamo di essere, questa è la giornata da consegnare al rispetto dell’avversario e alla testimonianza del suo valore. L’inter ha quattordici punti sulla Roma, è diventata convincente anche sul piano delle prestazioni, mostra solidità e rigore, forza e implacabilità. Sarebbe imbelle non ammetterne un dominio degno del massimo riconoscimento. Come sempre, lo ripeteremo all’infinito, di fronte a chi vince battendo gli avversari (non altrimenti e vantandosene pure), noi siamo disposti a toglierci il cappello e a battere le mani. Certo, lo scudetto dell’inter sarà ricordato sia per una serie di indubitabili primati, sia per un’incolmabile assenza, quella della Juve. Anche su questo, come a proposito della travolgente superiorità dei nerazzurri, non è consentito eccepire. E’ nei fatti, dato di fatto.
Del Piero 3-Ronaldo 2 significa non solo gol, ma che finalmente abbiamo visto un calcio da amare. Sappiamo da sempre che tanto l’uno quanto l’altro sono campioni. A volte, però, ci si dimentica perché lo siano diventati – la natura certo, ma anche la coscienza – così diversi, eppure così simili per il talento in loro possesso e le imboscate che il destino ha teso sul loro cammino. Ronaldo ha voluto il Milan per ricominciare. Sapeva e sa che non sarà facile, perché nella vita nessuno ti regala niente, meno che mai se sospetta, dietro il nome, l’ombra della fine. Due gol nell’elettrizzante 4-3 di Siena (tra l’altro con doppietta toscana di Maccarone, reduce dalla controversa esperienza inglese, complimenti anche a lui) non significano nulla. E’solo l’avvio dell’ennesima ripartenza. Da domani qualcuno ti chiederà invariabilmente di più, ovunque si giochi, contro qualsiasi antagonista.
Con tre gol (su cinque della Juve) al Crotone, Del Piero è capocannoniere in serie B. Non pensa, come ha riferito, che con le undici reti realizzate in questo torneo supererebbe Totti tra i cannonieri in attività. Perché dice «la mia realtà è la B e in questa realtà devo misurarmi». Solo con questa testa si resta campioni e si dura oltre le proprie riconosciute capacità. Solo così, al di là delle bandiere, si entra nel cuore di chi adora il calcio. E non se ne esce più.

Thursday, February 15, 2007

DATE RETTA AD ALEX

EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di giovedì 15 Febbraio 2007

Chi, a tutti i livelli, abbia accettato la Juve, non può sorprendersi che la Juve sia questo: condanna a vincere sempre (o il più spesso possibile); progetti di massima levatura e ambizione (al posto del vecchio Delle Alpi sorgerà uno stadio finalmente di proprietà del club); un’operazione-rinascita, dopo la distruzione di Calciopoli, più rapida di quanto indichino i tempi tecnici e fisiologici.
E’, dunque, del tutto logico, se non proprio accettabile, che alle perplessità della massa dei tifosi sulle qualità della squadra e/o di chi la guida, se ne sia aggiunta qualcun'altra da parte di Lapo Elkann. Ma il punto non è Deschamps, né Lippi. Come non lo sono, almeno per il momento, le volontà di chi comanda. C’è ancora troppa strada da percorrere da qui a giugno, ci sono troppi snodi vitali (e non solo calcistici) da imboccare, troppe variabili possibili e sconosciute per disegnare adesso e, senza indugio alcuno, il futuro. A meno che non lo si ipotizzi in maniera del tutto artificiale.
Il futuro innegabile è però reperibile nelle parole meditate di Alessandro Del Piero. Tra un colpo di fioretto all’inter e la rivendicazione di una carriera senza tramonto, Del Piero pone con leggerezza calviniana condizioni di indispensabile pesantezza: la costruzione di una squadra competitiva passa dalla volontà di investimento. E la volontà di investimento significa risorse da destinare all’acquisto di calciatori di primo livello.
Se, dunque, sul piano industriale la Juve si sta muovendo come una società non solo credibile, ma anche convincente e dotata di un proprio modello, dal punto di vista sportivo sta compiendo i primi passi. L’osservazione non riguarda i possibili acquisti per la prossima stagione o i calciatori, in regime di svincolo, già bloccati. Riguarda una progettualità che, al momento, pochi riescono a cogliere. Le parole di Del Piero, in aggiunta a quelle di Buffon, finalmente la indicano senza equivoco, inchiodando i vertici ad un’assunzione di responsabilità non più eludibile. Non sono solo i tifosi, in preda ad una rabbia mista a rancore; non sono solo 110 anni di storia di cui non è possibile perdere la dimensione; adesso, a imprimere un cambio di ritmo – che significa impegno solenne senza « se » e senza « ma » –, è il capitano. Amato, rispettato e cosciente.
Comunque la si pensi a proposito della sua traiettoria professionale, Del Piero rappresenta il centro di tutto. Possiede autorevolezza e carisma, equilibrio e passione. Ha avuto forza e pazienza, ha superato ogni fragilità e ogni miseria incardinando la propria figura in un sistema – valori, emozioni, sentimenti – riconosciuto e universalmente condiviso. Senza sbagliare e senza esagerare, si può sostenere che Del Piero oggi rappresenti la Juve assai più di quanto possano la dirigenza e l’allenatore. Del Piero parla così proprio perché sa, più di chiunque altro tra i giocatori, i manager e perfino la proprietà, che cosa la Juve sia. E che cosa, in fretta, debba tornare a essere.

Wednesday, February 14, 2007

MARCELLO TRIS ALLA JUVE ECCO TRE BUONE RAGIONI

EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di martedì 13 Febbraio 2007

Sono sinceramente convinto che la terza volta di Marcello Lippi sulla panchina della Juventus sia tutt’altro che ipotetica e, dunque, per nulla fantasiosa. A parte l’ormai inesausta invocazione da parte dei tifosi bianconeri, ci sono almeno tre ragioni che inducono a ritenerla probabile.
Prima ragione: Lippi si sente ancora legatissimo alla Juventus. E non solo perché con la Juve ha vinto tutto, ma anche perché ha lasciato eredità che altri hanno raccolto (Fabio Capello) e altri non hanno potuto (o saputo) sviluppare (Carlo Ancelotti).
Seconda ragione: Lippi, pur avendo un vastissimo mercato, non ama le esperienze al buio. L’estero lo attira, ma l’ostacolo della lingua e gli inevitabili adattamenti a realtà comunque diverse dall’Italia, lo frenano. Al contrario, Torino è casa sua, tanto da avere confidato, già alla fine della seconda esperienza torinese, che gli sarebbe piaciuto prolungarla trasformandola con l’andar del tempo: da allenatore a direttore tecnico.
Terza ragione: Lippi è stato certamente contattato da Berlusconi per guidare il rilancio del Milan. La prospettiva è allettante, però l’essere stato prima l’allenatore della Juve e poi dell’inter non facilita il feeling con la tifoseria. Più prosaicamente, poi, a Lippi sarebbe chiesto di tornare a vincere presto o subito (meglio subito), in una città esigente come Milano, con una squadra della quale, quasi certamente, non potrebbe rivendicare la paternità in fase di allestimento. Al Milan, il mercato lo fanno Berlusconi, Galliani e Braida. Come Moratti lo faceva all’Inter dove Lippi non ha fatto, né è stato, bene.
L’opposto di quanto accadrebbe alla Juve. Al rientro in serie A ci sarebbe la possibilità, tanto per l’allenatore quanto per la società, di abbracciare un progetto a medio termine (da tre anni in su) con l’obiettivo di riagganciare la Champions e di conquistare quegli scudetti che mancano per ottenere la terza stella. Di più: Lippi potrebbe fi­nalmente imporsi senza l’ombra di Luciano Moggi e Antonio Giraudo. La riconoscenza nei loro confronti non verrà mai meno, però la necessità di misurarsi da solo, come è stato nel Mondiale di Germania, per Lippi costituisce una notevole spinta psicologico-professionale.
Più semplice comprendere perché la Juve pensi a Lippi. Perché, questa volta, tornerebbe da ex c.t. campione del mondo, quindi, almeno teoricamente, da allenatore consacrato alla storia del calcio, non solo italiano; perché conosce l’ambiente e conosce quasi tutti i giocatori; perché i tifosi lo adorano e certamente gli perdonerebbe­ro anche qualche eventuale passaggio a vuoto.
A differenza di Deschamps, Lippi è un leader riconosciuto, prima di tutti dallo spogliatoio, ma anche dagli interlocutori della dirigenza: ogni sua richiesta diventerebbe automaticamente credibile.
Tutto questo non significa nulla per l’attuale staff tecnico. Sia perché la missione affidatagli non è stata ancora compiuta e non è per nulla scontata. Sia perché non manca il tempo, né il modo per recuperare dalle delusioni degli ultimi due mesi. Per fortuna, nel calcio la partita è sempre aperta. Ma nella corsa di qui alla prossima stagione, Lippi parte avanti e Deschamps in affanno.

Saturday, February 10, 2007

UNA DOMANDA AL GOVERNO: COSA SI FA CON GLI ABBONATI??

LUCIANO MOGGI
Da Libero di venerdì 9 Febbraio

La fermezza del governo sull'annunciata linea di intransigenza ha provocato mugugni e proteste tra le società di calcio. Il punto nodale riguarda, com'è noto, la chiusura degli stadi che non rispondono alle norme previste dal decreto Pisanu. Guardate com'è cambiato lo scenario: sembra passato chissà quanto tempo dalla morte del povero ispettore Raciti, nel senso che è scomparsa di botto la solidarietà collettiva che aveva unito tutto il mondo del calcio. Tutti pronti ad accettare - come sembrava - la stretta di freni che il governo si accingeva ad imporre. Quando si è passati dalle parole ai fatti, quando si è visto che il ministro dell'Interno Amato faceva sul serio, ecco i primi distinguo, e poi i secondi, e così via. Una figura preoccupa più degli altri i presidenti delle società che non potranno aprire le porte al pubblico, ed è quella dell'abbonato, il tifoso che ha pagato in anticipo tutto l'anno per assicurarsi la presenza alle partite. Con gli stadi chiusi, neanche gli abbonati potranno entrare, nonostante voci dissenzienti sempre più numerose si siano levate anche da club grossi (ma per Amato le società sono naturalmente tutte uguali). Ho sentito apprezzamenti e lamentele, a seconda delle posizioni, sulla linea dura adottata dal governo. Qualcuno ha detto che è la prima volta che i legiferanti adottano simili posizioni, ma non è così. Una linea severissima fu già seguita dal ministro dell'Interno dell'epoca (proprio Pisanu), dopo i gravissimi incidenti di Avellino nella stagione 2003-04, prima della gara di serie B Avellino-Napoli. Un giovane tifoso morì precipitando da un'impalcatura e l'episodio (a causa a quanto sembrò di soccorsi arrivati in ritardo) scatenò la furia degli ultrà con scene da guerriglia anche sul terreno di gioco. Il Napoli pagò perdendo la partita (mai effettuata) con l'Avellino, e con cinque gare in campo neutro e a porte chiuse; furono soprattutto queste ultime a risultare fatali per il cammino che avrebbe dovuto portare il club in serie A, e che invece contribuirono al fallimento della società. Il Napoli in effetti non aveva alcuna colpa, ma il giudice sportivo non ebbe dubbi nell'infliggere la "responsabilità oggettiva". Naldi che allora presiedeva il club, non trovò grande solidarietà, anzi nessuna, eppure se vogliamo già allora sarebbe potuto scattare un provvedimento punitivo per tutti che forse avrebbe anticipato lo scenario di cui ci stiamo occupando e che in ogni caso avrebbe potuto portare alla anticipata messa in sicurezza degli stadi. Com'è chiaro, questo obiettivo anche oggi non può non essere condiviso da tutti, così come in termini generali non si può non apprezzare la fermezza del Governo, che ha trovato pieno consenso in sede Coni e Figc. Però bisogna anche porre sul tavolo due princìpi importanti: 1) In una competizione le regole non dovrebbero mai essere cambiate in corsa; 2) Tutti dovrebbero competere in posizioni di parità. Le nuove regole decise dal governo riguardo la chiusura degli stadi stravolgono questi princìpi, e lasciamo stare il fatto che la gravità del momento s'impone su tutto. Però è un fatto che avremo squadre che giocheranno in piena normalità nel loro stadio, ed altre che dovranno abituarsi al "silenzio assordante" degli impianti. Per lo stesso motivo cadrà anche la parità di condizioni per tutti. E' partendo da queste basi che da parte di molti club, a cominciare dal Milan, si è cercato di trovare posto almeno per gli abbonati. E non solo per il fatto che in tal modo ci si allontanerebbe dal silenzio, ma anche per sfuggire alle migliaia di vertenze che ne scaturirebbero. Le associazioni dei consumatori si sono già mosse, e in ogni caso mi sembra evidente la conseguenza della restituzione del danaro, rapportato alle gare che si disputerebbero a porte chiuse. Ci sono altri due fatti che voglio annotare: le nuove norme non prevedono più alcuna deroga, ma l'ultima, la più recente, è stata firmata e dunque autorizzata dallo stesso ministro dell'Interno. Facile dire che la situazione era diversa. Però passare da un eccesso (di tolleranza) all'altro (cioè tolleranza zero) è un bel passo che forse avrebbe meritato una via di mezzo. E lo dico in termini generali; non dico invece se sono d'accordo su questo aspetto. Ma c'è ancora un altro fatto, che è stato reso noto da Cannavò sulla "Gazzetta", riguardo ad un invito a partecipare alla commissione di sicurezza convocata dal Comune di Milano in vista della ripresa del calcio, invito che è stato esteso ai capi ultrà di Milan e inter. Se questo è vero c'è sicuramente qualcuno che ha sbagliato perché tra le nuove norme, come si sa, c'è anche l'assoluto divieto di intrattenere rapporti di qualunque tipo con tifosi ultrà o organizzati che siano. Cannavò l'avrà tirata fuori a suo uso e consumo, perchè l'ultima sua crociata è di salvare il tifo buono, che sarebbe quello degli abbonati. Peccato che nel pezzo ci sia un velo di ironia nei confronti del ministro dell'Interno Amato, che mi sembra assai mal posto. Ho l'impressione che Cannavò ricordi poco le cariche di prestigio ricoperte dal "dottor Sottile" e che è stato due volte presidente del Consiglio dei ministri, un uomo di lunga militanza politica che non può essere stato colto di sorpresa da questa pur dolorosa vicenda, e che a mio parere in piena consapevolezza ha deciso la linea dura di cui stiamo parlando. Ma per completare il quadro dobbiamo valutare altri due fattori, che riguardano la responsabilità dei gravi ritardi nella messa in sicurezza degli stadi (fatto che non può riguardare solo le società fino a quando gli stadi non saranno privatizzati) e ancora il contraccolpo finanziario a carico dei club per i mancati incassi (e non solo). Molte società navigano tra bilanci in rosso e ridotti all'osso: questa spallata potrebbe fare assai male per la tenuta dei club. Chi o che cosa ripagherà ovvero riparerà i presidenti da questo rischio? Tutto ciò premesso, io mi sento dalla parte di coloro che ritengono praticabile un'eccezione per gli abbonati, il cui controllo è certamente assai più agevole rispetto ai possessori di biglietti. Per salvare il calcio dai suoi eccessi non mi pare il caso di aiutarlo a morire.

Analisi in quindici punti per far le pulci agli "onesti"
Gentile Signor Moggi, porgo alla sua attenzione una ricerca capillare, da me realizzata, sull'attuale situazione dell'inter e sull'insieme di avvenimenti, spesso trascurati, che sembrano in parte avvalorare la tesi di una congiura organizzata per liberare il mondo del calcio da una delle figure più competenti e concrete dai tempi di Allodi, ma non per questo esente da parziali, o forse sarebbe meglio dire marginali, responsabilità. A dimostrazione di come, dal giorno del suo addio, questo mondo non sia affatto cambiato. Ecco l'articolo. «L'uomo, onesto e probo, come sosteneva Machiavelli, per poter combattere il male necessita di uno smodato bisogno di conoscerlo, ponendosi in relazione con l'altra faccia del potere. La reclame della volontà di ripartire dalle ceneri, senza spargere il sale, erigendo un nuovo governo, dove gli imperatori sono ghigliottinati, venendo prontamente sostituiti dai loro consulenti, presenta dunque un fisiologico imbarazzo se, destituito il vecchio regime, il nuovo corso, quello degli onesti, non sembra poi discostarsi molto da quello precedente... 1) Moratti, presidente dell'inter, afferma: "Essere paragonati a Carl Lewis, uno dei più grandi della storia dell'atletica, ci inorgoglisce. Lui vinse a Seul perché Ben Johnson barò. E qualcuno negli ultimi anni ha barato". Anche Carl Lewis, proprio come Johnson, barò. Prima ancora di Seul, nel 1988, venne trovato positivo ai controlli antidoping. 2) L'inter e la mancanza di dialogo tra spogliatoio e dirigenza. Il 26/01/2007 Ibrahimovic, intervistato sul canale satellitare a pagamento dell'inter, dichiara a seguito di una domanda: "Cosa rispondo a Nedved che dice di vedermi male con lo scudetto dell'inter sul petto? Dico solo che mi sento campione d'Italia con la Juventus. Con i bianconeri ho vinto lo scudetto per due campionati consecutivi". 3) Doping inter. Ottobre 2003: Kallon risulta positivo al doping per norandrosterone e noretiocolanolone. L'attaccante verrà squalificato per otto mesi. Poi ridotti a sei. 4) L'inter ed il doping amministrativo. Accumulato un passivo di 181,5 milioni di euro, pari a circa 350 miliardi di lire, al 30 giugno del 2006. Un passivo persino superiore a quello di 118,7 milioni di euro accumulato nella stagione 2004/2005, anno di riferimento per stabilire la retrocessione della Juventus in cadetteria, accusata di illecito sportivo. Massimo Moratti vara il "cash cow", generando una società artificiale da un'altra più grande per poi essere "munta" all'occorrenza, aggiustando il bilancio negativo. I revisori della Kpmg hanno criticato tale operazione. La Federcalcio no. 5) Plsuvalenze inter: scambiati a prezzi gonfiati otto giocatori con il Milan. Tali Brunelli, Deinite, Toma, Giordano, Livi, Ticli, Ferraro e Varaldi. Tutti per una cifra oscillante tra i 2.9 milioni di euro di Brunelli ed i 3.5 milioni di euro di Varaldi. Livi dichiara: "Nel giugno del 2003 firmai per cinque anni con il Milan. Per uno stipendio di duemila euro al mese, la metà pagati dal Milan e l'altra dall'inter, società che mi ha venduto ai rossoneri. Ogni anno torno a Milano, e vengo ceduto regolarmente in prestito". Brunelli dichiara: "Sia l'inter che il Milan depositarono il contratto senza neanche la mia firma. Con i nerazzurri ho firmato un accordo di 5 anni, sino al 2008, per 2.500 euro al mese. Ad Aprile dell'anno scorso ho anche fatto una visita medica. Il responso è arrivato 10 mesi dopo. Ed hanno sbagliato spalla: quella infortunata era la destra e non la sinistra. Dal 2004 non posso più giocare ma la società continua a mettermi in bilancio. E visto che nessuno mi ha messo fuori rosa, sono anch'io Campione d'Italia". Per il solo ritardo nei pagamenti ai propri tesserati, la Triestina nella scorsa stagione è stata sanzionata con un punto di penalità. 6) L'inter ed i buchi di bilancio. La società nerazzurra è indagata dalla Procura di Milano per falso in bilancio. Secondo i pm senza artifizi l'inter non si sarebbe potuta iscrivere al campionato 2004-05, il medesimo nel quale il caso intercettazioni ha demolito la Juventus, declassandola in cadetteria, e penalizzato Milan, Reggina, Lazio e Fiorentina. 7) L'inter ed il conflitto di interessi. Nei mesi del terremoto giudiziario, il sistema lasciato in disordine da Franco Carraro viene ereditato da Guido Rossi, tempo addietro, per quattro anni, consigliere di amministrazione dell'inter. 8) Passaporti falsi inter: Nel campionato 2001/2002 Recoba gioca per nove mesi da comunitario grazie ad un passaporto falso. L'inter in sede penale patteggia sei mesi di reclusione per il giocatore, con una multa di 21,420 euro. La giustizia sportiva squalifica Recoba ed Orali, multando la società. 9) Ottobre 2006: Ibrahimovic sputa su Sottil, difensore del Catania, durante l'esecuzione di un calcio d'angolo a favore dell'inter. Non viene effettuata la prova tv. Due anni prima, nel 2004, Ibra, in quel tempo giocatore della Juve, per fallo di reazione su Cordoba, venne squalificato per 3 turni. 10) Gennaio 2007: Ibrahimovic scalcia il centrocampista gigliato Donadel dopo un normale contrasto di gioco, a due passi dal quarto uomo. Nessuno si accorge di nulla e non viene effettuata la prova tv. 11) L'inter e le ammonizioni. Una delle principali accuse rivolte a Moggi era quella di ammansire la rigidità dei direttori di gara, pilotando le ammonizioni e le diffide, in modo da favorire la Juventus. Nell'arco del girone d'andata del campionato 2006-07, l'inter ha beneficiato in 13 incontri di 18 assenze per squalifiche o diffide. 12) Eugenio Bersellini, insieme a Trapattoni ultimo allenatore ad aver vinto uno scudetto sul campo, interpellato in un'intervista esclusiva, dichiara: «Scudetto assegnato a tavolino all'inter? Fossi stato io l'allenatore, non l'avrei accettato. Piuttosto, mi sarei dimesso». L'ambiente nerazzurro parla di scudetto degli onesti, ricevendo dalla Federcalcio il trofeo conquistato a tavolino. 13) Stagione 2005-06 (quella della revoca dello scudetto). Juve: falli fischiati contro 827 (Milan 666). Juve: falli subiti 795 (Milan 684). Juve: ammonizioni 67 (Milan 55). Juve: espulsioni 3 (Milan 3). 14) L'ultima sconfitta casalinga della Juventus nel massimo campionato sotto accusa, con Moggi dg, risale al 2005. Vinse l'inter grazie ad una rete di Cruz. Il direttore di gara era De Santis, unico arbitro punito per la vicenda "Calciopoli", sul quale venne offerta all'inter una relazione dettagliata, frutto di pedinamenti ed indagini. 15) In 12 anni di era Moggi, terminata per gli esiti del caso intercettazioni, il Milan ha ricevuto 93 rigori a favore, realizzandone 72. La Juventus è quarta con 82 rigori a favore, con 63 realizzazioni. ALVISE CAGNAZZO Quotidiano "Puglia". Prendo atto di quanto mi dici e pubblico perché ognuno si possa creare una propria opinione. Per quanto riguarda la società nerazzurra (negli ultimi tempi ha usato in modo particolare la parola "prescrizione"...), credo sia necessaria una riflessione particolare. Le regole della vita sociale pubblica possono incontrare tanti contrasti imprevisti, e ci può essere l'impossibilità concreta di rilevare alcune irregolarità in un dato periodo. Si possono verificare inoltre innumerevoli variabili condizioni, patteggiamenti, interessi vari e mille altre condizioni che possono fare diventare irrisolvibile una "questione". Tutto questo non ha alcun "valore eticamente sportivo". Una competizione (non obbligatoria) con regole chiare (conosciute ed accettate) diventa immorale quando include tra le sue regole la dicitura: "Se non ti scoprono per due anni non sei colpevole!".

Thursday, February 08, 2007

LA MINISTRA PALLONARA

EDITORIALE
VITTORIO FELTRI
Da Libero di giovedì 8 Febbraio 2007

Quando il defunto avvocato disse della Melandri: «Mi sembra una segretaria, non la mia, ma quella di altri», non riuscii ad apprezzare l'umorismo. Trovai la battuta offensiva sia per la destinataria sia per la categoria delle segretarie. Devo però ammettere che anche noi di Libero, in una circostanza, scherzammo sulla signora Giovanna. La quale - oltre sei anni orsono - fu ritratta in spiaggia a seno nudo, e la foto fu pubblicata da Novella 2000. Riprendemmo l'istantanea con il seguente titolo: "Le tette del governo". Non avevamo intenzione di diffamarla bensì di offrire al lettore lo spunto per una risata, sia pure grassoccia. Non sempre è evitabile il genere pecoreccio. Se non ricordo male la ministra querelò: poi tutto finì come una bolla sapone. Ora siamo costretti dalla cronaca a riparlare di lei per una vicenda in sé banale, ma che rivela una mentalità gretta. All'inizio di gennaio compare sull'Espresso una notiziola: "La Melandri è stata ospite di Briatore" a Malindi (Kenya). Niente di strano. Ciascuno va dove e con chi gli garba. Bizzarra invece la smentita di Giovanna sullo stesso settimanale, quattordici giorni appresso: «Non ho mai soggiornato nella villa di Flavio Briatore a Malindi». Ulteriore precisazione: sono una turista consapevole, e ho avuto in Kenya, bellissimo e dolente Paese dell'Africa, straordinarie esperienze con barboni e bambini sieropositivi. La rivista "Chi", diretta da Signorini, registra una frase di Carlo Rossella (direttore del Tg5): una mia amica giura di avere incontrato la Melandri in casa Briatore, e si chiede come mai la ministra se la sia presa tanto per il trafiletto sull'Espresso. Ancora. Al Corriere della Sera Briatore dichiara: «Ospito sempre volentieri il ministro Melandri nella mia casa in Kenya». Qualcuno mente: il manager del team Renault o la responsabile del dicastero Sport? Soprattutto non si comprende perché dire una bugia su una questione così cretina. Oggi si smaschera l'"assassino". Il periodico di Signorini pubblica un servizio (nel numero in edicola) corredato di fotografie scattate nella villa di Briatore, e fra tanta gente scatenata in un ballo spicca una testa bionda, quella della Melandri, si afferma nella didascalia. Non bastasse, ecco la testimonianza di Simona Ventura: sì sì sì, a Malindi c'era anche Giovanna. Come la mettiamo? Il titolo sgorga automaticamente: La ministra pallonara. La Melandri infatti oltre ad occuparsi (parecchio) di pallone, non disdegna le palle. Oddio, a tutti è capitato di raccontarne, magari al marito o alla moglie per "illegittima" difesa. Ma raccontarne una del genere al solo scopo non si sappia in giro di avere un buon rapporto con Flavio, è talmente sciocco da farci dubitare della stabilità psicologica di Giovanna, donna per altri versi gradevole, intelligente. Come minimo ha peccato di ingenuità. Avesse detto subito: «Sì, sono stata da Briatore, ho cenato e danzato», la storia si sarebbe smosciata. Anzi, non ci sarebbe stata storia. Ora viceversa rimane una macchia, una menzogna buttata lì probabilmente per proteggersi dagli sfottò dei compagnucci inclini, tutti, a considerare il piccolo mondo del Billionaire indegno di essere frequentato. Perché non è chic, coltiva la volgarità e l'ostentazione, almeno stando ai luoghi comuni e ai pregiudizi tipici della sinistra. Insomma, una ministra diessina è stimabile se trascorre le vacanze con gente d'alto bordo dalla nascita, finanzieri e industriali di consolidata ricchezza, intellettuali veri o sedicenti (ovviamente progressisti). Se però viene identificata nel gruppo di bontemponi amici del manager automobilistico (alcuni dei quali sospettati di essere di destra o addirittura berlusconiani), addio, rischia una scalfittura alla reputazione, perché col suo comportamento ha compromesso la presunta superiorità morale e culturale dei comunisti, degli ex comunisti e similari. Dal nostro punto di vista invece la Melandri ha sprecato una buona occasione; dicendo la verità avrebbe demolito in parte la mentalità bigotta e impregnata di supponenza dei compagni, sempre pronti a scuotere la testa e a mal giudicare. E si sarebbe guadagnata una sorta di liberatoria: scelgo io, non i partiti dell'Unione, con chi stare. Forse avrà avuto timore delle critiche, e ha preferito la balla, una toppa peggiore del buco. Giovanna tiene ad appartenere alla intellighenzia, e se la tira un po' perché è nata a New York, ha studiato in un ottimo liceo ed è figlia di un collega, vicedirettore della Rai. Per quest'ultima cosa tuttavia non è il caso di darsi delle arie. La ministra dovrebbe conoscere la favoletta del bambino che a scuola, alla domanda della maestra - che mestiere fa tuo padre? -, rispose: suona il violino in una casa di tolleranza. Bugia. Che venne a galla, e il ragazzino fu obbligato a giustificarsi con la mamma. In questo modo: mi vergognavo a dire davanti ai compagni che papà lavora in un giornale, meglio un casino.

Saturday, February 03, 2007

inter, TIRA FUORI LA VERITA'

INTERVISTA A PIERO OSTELLINO
STEFANO LANZO
Da Tuttosport di sabato 3 Febbraio 2007

PIERO Ostellino, ex direttore del Corriere della Sera e grande firma del giornalismo italiano. E’ da sempre tifoso della Juventus. Chissà che strano effetto vedere la Signora battagliare sui campi di serie B.
« Sono e sarò sempre un tifoso della Juve, è la mia squadra del cuore. Non mi importa la categoria. Però penso al domani e, soprattutto, sono preoccupato per il futuro della squadra » .
A cosa si riferisce?
« Non riesco a capire se la proprietà abbia seriamente intenzione di rilanciare le ambizioni della Juve o voglia lasciarla navigare a metà classifica. Oppure se voglia vendere » .
Una visione piuttosto pessimistica, la sua.
« E come potrebbe essere altrimenti? Ci sono troppe domande alle quali nessuno ci ha dato una risposta ».
Ad esempio?
« Quando una società come la Juventus accetta, senza opporre resistenza, un verdetto grave come la serie B, ci deve essere sotto qualcosa. Per di più quando c’è un avvocato che, invece di difendere, cioè fare quello per cui è pagato, chiede espressamente la serie B. Un’ammissione di colpa che mi lascia di stucco ».
Secondo lei, perché può essere successo?
« Non è difficile formulare un’ipotesi, ribadendo però che si tratta di una mia opinione personale. Credo che ci si volesse liberare del fardello rappresentato da Giraudo e Moggi: il rischio che la squadra finisse in mano dei manager e che, quindi, la proprietà potesse perdere il controllo dell’azienda, era troppo forte ».
La Juventus avrebbe scientificamente scelto la serie B?
« Non lo so. Però, valutando come sono andati i fatti, il sospetto cresce. Perché nessun azionista ha dato spiegazioni pubbliche? Perché nessuno ha mai fatto luce. Io non ce l’ho con i vari Cobolli Gigli, Blanc e gli altri: sono funzionari che hanno un compito da svolgere. E’ la proprietà che dovrebbe fare chiarezza: noi tifosi attendiamo da troppo tempo delle risposte che non sono mai arrivate ».
Ce l’ha con gli eredi del l’Avvocato?
« Non ce l’ho con nessuno. Dico semplicemente questo: l’unico che mi sembra vagamente interessato al mondo del calcio e alla Juventus mi sembra Lapo. John non mi pare che abbia la passione necessaria: probabilmente non sa nemmeno se a calcio si gioca in dieci o in undici ».
Quindi, a suo modo di vedere, la Juventus è stata l’unica a pagare: sta dalla parte della maggioranza dei tifosi bianconeri.
«La Juve non ha fatto tutto quello che ha fatto l’inter, eppure loro hanno lo scudetto sul petto. Ripeto: temo che la Juve abbia voluto cavalcare uno scandalo che non c’era, fare cassa con cessioni pesanti e valutare se fosse il caso di vendere».
Ci parli un po’ dell’inter. Cosa ne pensa delle ultime esternazioni di Moratti e Mancini?
« L’inter, tra passaporti e plusvalenze, è piena di scheletri nell’armadio. Tutto è stato insabbiato da Guido Rossi. E’ uno scandalo anche solo pensare che il calcio, adesso, sia pulito. Soltanto una persona come Moratti può dire che hanno vinto onestamente: ma lui non fa testo. Mancini è furbo, il suo presidente nemmeno quello ».
Gli scudetti, allora, li sente suoi?
« Certamente. Come qualsiasi tifoso della Juve che si rispetti. Abbiamo vinto 29 campionati, non 27. Vinti sul campo, meritatamente. Niente spegnerà la mia passione, nemmeno tutti quelli interrogativi ai quali non riesco a darmi una risposta. E non accetto falsi moralismi: mi aspetto, dalla proprietà, una presa di posizione decisa. E una spiegazione ».
Cosa ne pensa dei giocatori che hanno accettato la retrocessione e sono rimasti in bianconero?
« Capisco il loro stato d’animo: sono degli autentici eroi. Chiunque, in questa situazione, non si sentirebbe di battersi così ».
E magari, qualcuno delle attuali bandiere potrebbe fare bene anche da dirigente.
« Del Piero sarebbe perfetto, ma non con questa proprietà. Non è possibile riconoscere la colpa come hanno fatto loro. Bisognerebbe fare loro questa domanda: secondo voi, quanti scudetti ha vinto la Juve? Mi piacerebbe sentire la risposta ».

MI SCUSI, CARO CANNAVO', MA LIPPI E' COLPEVOLE O INNOCENTE?

LUCIANO MOGGI
Da Libero di venerdì 2 Febbraio 2007

Mi scusi, caro Cannavò, ma Lippi è colpevole o innocente?
Caro Luciano, ti sottopongo due "Fatemi Capire" scritti dal Candido e pubblicati a molti mesi di distanza l'uno dall'altro. Uno dice una cosa, l'altro il suo opposto. Il primo risale al 21 maggio 2006 (piena epoca giustizialista) e Cannavò spara a zero su Lippi. L'ex Ct viene definito esempio di «compartecipazione ad un prolungato misfatto» («Ignaro?» aggiunge poi furbescamente il Candido). Probabilmente l'intento era quello di estromettere il Marcello dalla nazionale, allo stesso modo di Buffon cui viene addebitato «lo squallore della vicenda» per qualche eventuale «scommessa proibita». Ce n'è anche per Cannavaro, che viene additato «per quel provocatorio e losco patteggiare tra lui e Moggi su come staccarsi dall'Inter». Cambia la scena, gli azzurri vincono i mondiali, e il Candido cambia tono. Nel "Fatemi Capire" del 24 gennaio scorso, Lippi si trasforma in «Marcello» e viene definito «nonno e filosofo». Siamo al Cannavò patetico, in cui il "nostro" si diverte a raccontare di Lippi e del suo nipotino di 5 anni: un quadretto alla De Amicis, dove il viareggino diventa il «padre del nostro mondiale» che «ha pilotato magistralmente in un mare di tempeste la spedizione degli azzurri». Dove sono finiti gli insulti e le cattiverie del maggio precedente? Tutto cancellato. E la coerenza? LINO R.
Caro Lino, conosco bene l'autore dei «Fatemi Capire». Ne conosco l'ira furiosa, l'umore volubile, la mancanza di coerenza. Per carità, tutti possiamo sbagliare, ma ci vuole anche il coraggio di ammetterlo. Tutto questo è mancato al Candido (ma non troppo...) nella vicenda. L'uomo di Catania ha stravolto il tono delle sue parole, ma non ha fatto nessuna ammenda, forse fidandosi (a torto) della memoria corta dei lettori. Chi si ricorderà - avrà pensato - quello che ho scritto tanti mesi fa? Grave errore che un "fustigatore di costumi" non dovrebbe mai commettere. Come la gran parte dei mortali il Candido è tanto rapido a salire sul carro dei vincitori quanto abile a scendere da quello dei perdenti, salvo poi tornare in sella se cambia lo scenario. Lippi è riconosciuto da tutti come uno dei migliori allenatori in circolazione e non solo per aver vinto il mondiale. Tutti sanno e conoscono la sua serietà professionale: non c'era bisogno di attaccarlo prima, nè di incensarlo ora. Niente di nuovo sotto il sole: in tanti ricordano le attenzioni riservate da Cannavò alla Juve quando i bianconeri erano i più forti. Ti ricordo un altro caso che forse già conosci. Il primo febbraio del 2001, a proposito della vicenda del passaporto di Recoba, il Cannavò scrisse che l'inter doveva essere punita severamente se fosse stata accertata la sua responsabilità: lui avrebbe vigilato sulla questione. Nel maggio 2006 i nerazzurri con il loro dirigente Oriali hanno patteggiato la pena, ovvero hanno riconosciuto la loro colpevolezza. E il Candido? Non ha scritto neanche un rigo sull'esito del processo. Una dimenticanza? No di certo, visto che solo io gliel'ho ricordato più volte su queste pagine. La scelta è semplice: meglio non disturbare il potente (l'inter e per essa Moratti). E sul caso plusvalenze? Silenzio totale. Per una settimana e più si è interessato di altri problemi, poi si è dedicato tre volte tre a Ronaldo. Ma mi faccia il piacere, avrebbe detto Totò! D'altra parte, cosa ci si può aspettare da chi per illustrare le capacità di Moratti parla di Lillo, il quattro zampe salvato dal patron dell'inter che può mettersi a cuccia sul letto di «Massimo»... Così vanno le cose nell'universo del "Fatemi Capire"...

Appello ai "censori": meno sarcasmo e più rispetto

Conosco il giornalista di "Rebubblica" Crosetti, e conosco la sua propensione all'ironia e al sarcasmo. Niente da dire se non fosse per l'eccesso d'utilizzo che ne fa il "censore" del noto quotidiano. Tali eccessi portano a sbagliare: così è successo nel pezzo uscito lunedì scorso a me dedicato. Gocce di veleno sparse (a piene mani) e il tentativo evidente di mettermi alla berlina. Si parlava delle mie dichiarazioni alla trasmissione Mediaset "Il Bivio" e Crosetti avrebbe dovuto essere più rispettoso.. quantomeno per il tema di cui si è discusso in trasmissione. Così, mentre tutti gli altri giornali hanno affrontato l'argomento senza scivolare su sarcasmi fuori posto, il "censore" di Repubblica ne ha approfittato per colpire a destra e a manca. Colpi (voglio rassicurare i molti che mi vogliono bene), che non lasciano il segno. Crosetti non avrebbe meritato risposta, ma non posso evitare di dire la mia davanti a certi eccessi. All'articolista infastidisce la voglia di manifestare liberamente il mio pensiero tutte le volte che mi è richiesto. Gli scoccia che io abbia trovato nella forza della fede (è vero, lo confermo!) la volontà di reagire ai noti fatti e la capacità di ritrovare me stesso. Nel suo volermi mettere la museruola mi dà persino del "tuttologo", quando in realtà parlo solo di calcio, una materia che penso di conoscere piuttosto bene. Crosetti dice che il problema non sono io che parlo, ma gli altri che mi chiamano e mi stanno a sentire (probabilmente gli rode un po' il fegato) e poi se la prende con il parroco di Agropoli, che a suo dire ha perso un'ottima occasione per stare zitto su una vicenda ampiamente chiusa (e in questo caso ha ragione). Del resto, tutti inseguono il loro quarto d'ora di celebrità. Crosetti, però, non ne ha bisogno. E' già famoso, con un piccolo neo. Deve fustigare, deve censurare, deve arrivare quasi al punto limite di "distruggere" gli altri. Come la vedo io, è questo il suo hobby preferito. PS. Un appunto anche a Piero Valesio, che su "Tuttosport" del 30 gennaio non è ironico, ma pone una domanda davvero inutile («se era difficile credere al Moggi regnante perché si dovrebbe credere al Moggi decaduto?»). Caro Valesio, evidentemente il messaggio che "Il Bivio" voleva diffondere (mi dispiace per il carissimo Enrico Ruggeri) non ha trovato campo fertile presso di lei. Chissà se le è mai capitato di mettersi nei panni degli altri, se ha mai provato a capire cosa succede nella mente di un uomo colto quando la vita di mette di fronte a un momento terribile. Se avesse speso cinque minuti per pensarci non avrebbe posto la sua sciocca domanda. Poco ma sicuro. L.M

Grande Madre Telecom: arriva anche l'ex 007 D'Andrea
Caro signor Moggi, in questa Italia dove tutti parlano (ma lei non può... chissà perché), ci tocca ascoltare anche il colonnello Federico D'Andrea, ex investigatore di punta all'epoca di "Mani pulite", chiamato la scorsa estate a far parte dell'Ufficio Indagini Figc. D'Andrea, parlando a "Repubblica" parla di irriformabilità del calcio, dell'impossibilità di condurre indagini, e offre cioccolatini (avvelenati) a Matarrese e Carraro. Con quest'ultimo, definito «soggetto su cui era pesata l'attenzione investigativa», se la prende per la sua presenza alla premiazione degli azzurri al Quirinale, mentre non è stato invitato il capo dell'ufficio indagini Borrelli. Le dirò, Carraro non è simpatico neanche a me (forse a nessuno), ma D'Andrea in quanto 007 avrebbe dovuto sapere che l'Antonio era presente in quanto membro in carica del Cio. Che poi la sua presenza fosse poco opportuna, è un altro discorso. Caro Moggi, in realtà non voglio soffermarmi sulle parole di D'Andrea, ma sul suo nuovo impiego alla Telecom di Rossi: il colonnello ci è arrivato dopo essersi congedato dalla GdF. Sarà anche un talento investigativo, ma possibile che tutti finiscano alla Telecom? CORRADO S.
Caro Corrado, la risposta è complicata. La Telecom di oggi (come quella di ieri) assomiglia sempre di più a una "Grande Madre". Guido Rossi è partito da lì, ha fatto una rapida incursione in Figc, ha sistemato un paio di questioni (quali, l'hanno capito tutti i tifosi) e poi è tornato alla casa madre. Ha provato a mantenere entrambi i ruoli, ma non gliel'hanno consentito: alla fine anche i suoi più grandi estimatori hanno capito di che pasta è fatto (non a caso il ministro Melandri l'ha definito "ingeneroso"). D'Andrea, dopo aver fatto lo 007 all'ufficio indagini finisce anche lui in Telecom, nell'azienda al centro del noto caso intercettazioni. Non si può non avvertire un sentore di inopportunità. A lei, il dubbio, è venuto...
Gli scudetti vinti con la Juve sono legittimi: lo dimostrerò
Caro Moggi, nei 10 anni della sua dirigenza ho potuto gioire spesso, oggi mi trovo a tifare una squadra che prima di 4-5 anni non tornerà competitiva ai massimi livelli. Non mi spavento: quello che mi preoccupa è non aver ancora capito se le vittorie ottenute con lei e Giraudo sono state legittime. Quando parlo con i tifosi di altre squadre sono in difficoltà: non ho ancora capito se sono colpevole o innocente. Ma come poteva la Juve "rubare" da sola? Sono convinto che al giorno d'oggi, per vincere, occorre sottostare a compromessi. Sono altresì sicuro che la competenza con la quale lei sapeva costruire le squadre sia inarrivabile. Le consiglio di continuare a far sentire la sua voce: la gente deve sapere se altri hanno sbagliato. Ultime domande: la mia più grande soddisfazione sarebbe vedere l'inter in serie B, succederà mai? Entro quanti anni la Juve vincerà lo scudetto? FABIO
Per quanto riguarda il far luce sulle verità di Calciopoli puoi stare tranquillo: ci proverò sempre e in tutte le sedi. Credimi: i campionati vinti dalla Juve sono più che legittimi. Per quanto riguarda il futuro, non so quando i bianconeri torneranno competitivi: spero al più pesto. Nè so se l'inter potrà mai andare in B... mi sembra impossibile. Grazie per la stima.
Bilanci (in rosso) simili, destini differenti...
Che differenza c'è tra il Torino e inter? Il Toro si è guadagnato sul campo la promozione in A ma è fallito perché aveva circa 40 milioni di euro di debiti, mentre l'inter si è fatta assegnare uno scudetto a tavolino ma non avrebbe dovuto essere ammessa al torneo perché aveva 180 milioni di debiti. Che differenza c'è tra la Fiorentina e la Roma? I viola sono falliti, mentre i giallorossi si sono iscritti al torneo 2003 con una fideiussione fatta da mia nonna. Che differenza c'è tra il Napoli e la Lazio? I partenopei sono falliti e i laziali hanno dilazionato oltre 100 milioni di debiti col fisco in 23 anni. Che differenza c'è tra la Juve e il Genoa? Una valigetta... PAOLA
Cara Paola, ti sei data le risposte da sola e mi trovi pienamente d'accordo. Ti saluto caramente.
Juventus spinta a tradimento nella "tela del ragno"...
Caro Luciano, quante anomalie in questo Paese. Sui canali Rai e Mediaset si intervistano senza problemi terroristi e assassini, ma la tua presenza turba i sonni dei potenti. La mia impressione è che si voglia accantonare al più presto la pratica Moggi-Juve perché in troppi si sono resi conto delle sciocchezze fatte dal signor Rossi. In quest'ottica i tentativi (legittimi) di difesa di Moggi si trasformano in deliri da manicomio, le richieste di verità promosse da milioni di tifosi e dell'avvocato Di Monda appaiono come urla di fanatici, le dichiarazioni avverse alla sentenza vengono insabbiate o ridicolizzate. Atteggiamenti gravissimi, indegni di un paese civile, e motivo in più per batterci con tutte le nostre forze contro questa incredibile congiura mediatica. Forza Luciano, siamo con te. PAOLO CAPRI, PISA
Tranquillo, caro Paolo, continuerò a battermi per far trionfare la verità e per non darla vinta a chi ha costruito questa incredibile macchinazione. In tantissimi hanno già capito la situazione: prima avevo l'impressione di essere il solo (con me solo gli amici più intimi) che riusciva a vedere la tela del ragno in cui è stata fatta cadere la Juve. Il tempo, per fortuna, lavora in favore della verità.
Lettera aperta al designatore Gussoni
In sede di designazione arbitrale dev'esserci più di qualche nervo scoperto. E' bastato un giochino (lo definisce così la stessa "Gazzetta") a una trasmissione di "Radio Kiss Kiss" per far inalberare il presidente Aia e il designatore Cesare Gussoni. Quest'ultimo ha addirittura diffuso un comunicato perché teme influenze (non si capisce bene di che tipo) dall'esterno. Mi sembra che Gussoni vada a caccia di amici inesistenti: "indico" come probabile la designazione di Paparesta per inter-Roma e lui comenta dicendo che la designazione «rasenta l'ovvio». Cari signori, voglio dimostrare proprio questo: facendo semplici ragionamenti ci si può tranquillamente avvicinare alle designazioni effettive. Una volta c'era il sorteggio, ora solo la designazione. Dov'è il problema? Gussoni ha poi svelato i criteri da seguire per le designazioni, banalità che qualunque esperto di calcio conosce e che possono consentire a tutti di completare il giochino degli accoppiamenti. In tal modo, dico ai miei lettori, potete anche divertirvi a vedere se indovinate o no. Ultima considerazione: la "Gazzetta" con l' "eleganza" che (non) la contraddistingue suggerisce la battuta che avrebbe dovuto dedicarmi Gussoni («lui di arbitri se ne intende»). E' vero, di arbitri me ne intendo, ma non nel senso velenoso che la "rosea" vuole sottintendere. A Gussoni dico: più apertura verso l'esterno e soprattutto qualche sorriso in più. L.M