Sunday, December 30, 2007

STA PER FINIRE L'ANNO NON LA MEMORIA

Juventini, non scordate le ingiustizie
PAOLO BERTINETTI*

UN ANNO e mezzo fa, in piena Farsopoli, sorsero decine di associazioni, siti, giornali on-line di tifo­si bianconeri, mossi dal comune intento di con­trastare il linciaggio mediatico subito dalla Ju­ventus. Nel corso dei mesi, di fronte alle ridicole sentenze sportive, ai proclami grotteschi di Guido Rossi e Moratti, ai silenzi vergognosi del Palazzo del calcio nei confronti dei veri reati commessi da altre squadre, la loro voce fu l’unica, insieme a quella di Tuttosport che provò a dire la verità.
Poi, si sa, la rabbia sbolle; e subentra il senso co­mune, che è l’opposto della ragione. Parecchi tifo­si juventini, in particolare quelli che vanno in tv, hanno incominciato a dire quello che piace al Pa­lazzo: è tutto ormai concluso, gli scudetti sono 27, è inutile recriminare. Scurdammoce ‘o passato è il loro inno. Tuttavia non è questo l’inno dei moltis­simi tifosi che, come Cicerone, sanno che solo i bambini conoscono esclusivamente il presente; e che gli uomini sono quelli che conoscono anche il passato. Non hanno dimenticato, non hanno ac­cettato una montatura spudorata, non si sono stancati di chiedere che venisse riesaminata con giustizia la vicenda Juventus e che con giustizia si intervenisse nei confronti delle altre squadre.
Sono moltissimi a pensarla così, molti più di quanto non creda la stessa società juventina. L’As­sociazione Nazionale Amici della Juventus, per l’alto numero di rinnovi della tessera e per le mol­te nuove adesioni, è rimasta senza il libro di Ros­setto “Juve Alè” e senza il distintivo da mandare in omaggio ai vecchi e ai nuovi soci. Ha dovuto fa­re un nuovo ordine sotto Natale e potrà spedire li­bro e distintivo solo a fine gennaio.
Sui siti e i forum delle varie associazioni juven­tine imperversano i commenti al ringraziamento che Blatter ha rivolto a Montezemolo per essersi adoprato per impedire il ricorso al Tar (il sospet­to è che non sia un ringraziamento, ma un avver­timento alla Corte Europea che dovrà decidere sul­la causa promossa da “Giulemanidallajuve”). Al di là degli argomenti e dei toni diversi, è chiaris­simo il sentimento comune: che è quello, per dirla con i filosofi tedeschi, di chi è “non riconciliato”. In parole povere, di chi non accetta l’ordine dittato­riale imposto dal Palazzo del calcio. Tanto meno di fronte alla nuova offensiva mediatica che prende spunto dal processo napoletano e di fronte al son­no interista di Palazzi.
I veri tifosi juventini sono uomini, non bambi­ni: ricordano il passato, ricordano la spudoratez­za delle sentenze sportive che, facilitate dalla stra­tegia perdente della Juventus, hanno privato mi­lioni di tifosi della fierezza di essere sostenitori della squadra che mai era andata in B, della squa­dra che da sola aveva vinto quasi come Milan e In­ter messe insieme, della squadra che presto avreb­be vinto la terza stella. Poiché la Juventus, grazie ai vecchi campioni rimasti e ai giovani campioni acquisiti in passato sta facendo molto bene, l’at­tenzione è tutta spostata su questa nuova Juve. Il che va benissimo. Ma i tifosi juventini, proprio in vista del processo napoletano, devono dichiarare in ogni sede che la loro squadra è stata vittima di un linciaggio “scientifico” e che vogliono che ven­ga ristabilita la verità. L’augurio per il 2008 è che con il nuovo anno la proprietà della Juventus ca­pisca l’utilità di usare tutti i suoi mezzi (che sono molti, a partire dai giornali) perché questo possa avvenire.

*Presidente Associazione Nazionale Amici della Juventus

Sunday, December 09, 2007

IL LIVORNO FERMERA' LA ROMA, IL TORINO...

LUCIANO MOGGI
Da Libero di domenica 9 Dicembre 2007

Non è stato proprio raffinato Moratti. In un'intervista che voleva essere un peana alla grande inter di quest'anno ha inserito vecchi rancori e acide considerazioni. Ha scoperto che la supersquadra di oggi è stata progettata due anni fa a tavolino "contro tutto e tutti", salvo omettere il passaggio importante delle circostanze che hanno portato Ibrahimovic in nerazzurro. Non ricorderò tutte le magagne lasciate dall'inter lungo la strada, magagne rimaste puntualmente impunite o risibilmente sanzionate, ma mi sembra significativo e quasi freudiano il ringraziamento a Guido Rossi, l'ex componente del cda interista che, nelle vesti di commissario, ha trasferito uno scudetto Juve all'inter. Mi appare quasi come un ammonimento la risposta di Moratti all'ultima domanda, nella quale il patron nerazzurro avverte che le istituzioni calcistiche non debbono avere nostalgia del passato, perchè c'è ancora bisogno di rinnovamento. In verità ci sarebbe bisogno di una rilettura serena e imparziale di tutto quello che è avvenuto. Questo, però, non starebbe bene a Moratti, deciso a dimenticare il tempo dei passaporti taroccati... Lascio Moratti nella sua beatitudine, ma anche nelle sue rancorose meditazioni, per confermare tutte le mie idee sullo strapotere tecnico dell' inter di quest'anno e sull'impressione che possa essere questa la giornata della grande fuga. Nonostante Novellino e Recoba, non mi pare che il Torino possa costituire un ostacolo severo per la formazione interista. Verrà il giorno in cui i nerazzurri perderanno la loro imbattibilità, capita a tutti prima o poi, ma non mi sembra questa l'occasione. L'inter è in un periodo folgorante, e tuttavia sarei più guardingo nell'ipotizzare un doppio successo in campionato e in Champions, come Moratti - in stato di beatitudine - già intravede: ha stranamente dimenticato la Coppa Italia, forse perché sa che parlare di "grande slam" non porta bene. L'inter, dunque, è in fase di grande fulgore e anche di grande considerazione, al punto che le stanno capitando anche i rigori generosi (e non sto a parlare di rigurgiti di sudditanza). Ha trovato in Jimenez un ottimo complemento al tandem Ibra-Cruz, ha ritrovato un solido punto difensivo in Materazzi, tanto per avere anche un'incol latura (solo una) di italianità. Insomma: a meno che Recoba, con l'aiuto di Ventola (un altro ex) non riesca a mettere in scena la "grande rivincita" contro Mancini, il risultato mi sembra già scritto. La grande fuga di cui parlavo dovrebbe partire da una battuta d'arresto della Roma , che va a trovare un Livorno rigenerato da Camolese. E proprio perché la veste nuova è recente, non contano i numeri negativi degli amaranto in casa (una sola vittoria, due pareggi e tre sconfitte). Il nuovo Livorno può far paura ai giallorossi. La Juve , reduce dai due schiaffi di Empoli in Coppa Italia (ma quelle due sberle, con l'aggiunta che niente è compromesso, le faranno bene), riceve la stupefacente Atalanta dei 5 gol al Napoli, e dalla autorevole posizione in classifica. Un avversario, dunque, scomodo, che ha una partita da recuperare e che fuori casa ha vinto due volte e ha raggiunto tre pareggi. I bianconeri faranno bene a stare attenti, anche se Del Neri non ha mai vinto contro la Zebra (9 sconfitte su altrettanti incontri). Nell'intervista di Cobolli Gigli al "Corriere dello Sport" ho colto un punto che sta a cuore a me e a tutto il popolo juventino, quando sottolinea che nella vicenda cosiddetta di Calciopoli «ci sono stati tanti peccati veniali e nessuno mortale». In altre occasioni l'attuale presidente della Juve non era stato così chiaro ed incisivo. L' Udinese , quarta in classifica, riceve la Sampdo ria , appena risorta con i tre gol rifilati alla Reggina. Uno scontro che, in avanti, proporrà scintille: da una parte Di Natale-Quagliarella (un ex), dall'altra Cassa- Bellucci. Il Napoli , bastonato severamente a Bergamo, ha perso tutte le sue certezze. Conosco l'ambiente e i suoi alti e bassi. I partenopei possono fare molto bene in questo campionato, a patto che non pretendano di volare troppo in alto. Reja medita qualche rivoluzione di peso con Bogliacino accanto a Zalayeta e Lavezzi, e la sorpresa di Hamsik che partirebbe dalla panchina. Penso che il Napoli possa farcela a cogliere un immediato riscatto contro il Parma , che fuori casa ha colto solo 2 punti. Reja, però, tocca ferro. Di Carlo, tecnico degli emiliani, è stato suo allievo ai tempi del Vicenza, e gli ha sottratto 4 punti su 6 l'anno scorso con il Mantova in B. Al peso di questi precedenti credo assai poco e mi sembra più attendibile il fatto che gli emiliani abbiano segnato in trasferta solo 3 gol, come il Siena. Peggio ha fatto solo l'Empoli. Il Genoa (non vince da 7 turni) è al crocevia. Contro il Siena ultimo in classifica - vuole i tre punti, e con Borriello, già a quota 7 gol, ce la può fare. Tra Empoli e Cagliari - due del quartetto di fondo è chiaro scontro salvezza. L'Empoli si è esaltato in Coppa Italia battendo la Juve, e vedremo se l'entusia smo prevarrà sullo sforzo di mezza settimana. Giovinco si propone per un posto da titolare e Malesani è pronto ad accontentarlo. Il Cagliari, naufragato a Roma, vede gli spettri di un campionato in salita. Il caso Marchini, sottovalutato all'inizio, ha acuito le tensioni nell'ambiente. Chi cade, probabilmente, sarà condannato ad una stagione di stenti.

Saturday, October 13, 2007

FREDDO MISTO

Un poliziotto ad un maniaco sessuale: "Lei ha violentato questa ragazzina, poi sua madre e in seguito suo padre: ha niente da dire?" ... Il maniaco: "sì, Volevo farmi una famiglia."


Marito entrando in camera da letto con aspirina e bicchiere d'acqua: "Cara, sono per il tuo mal di testa.". La moglie: "Ma io non ho mal di testa!" E Lui: "Fregata !"


"Mamma, oggi non ho voglia di andarci."... "Su alzati, lo sai che ci devi andare: hai 47 anni e sei divenuto Preside!"

Un genovese all'amico: "Hai 100mila da prestarmi?" ... "no, qui no"... "E a casa?"... "Oh, tutti bene grazie!"


Una vecchia siede davanti al caminetto, quando ecco apparire una fata che le concede tre desideri. "Vorrei che questa casa tornasse bella com'era una volta." Colpo di bacchetta ed ecco fatto. "Ora vorrei riessere bella come ero in gioventu'." Zakkete e fatto anche questo.
"E come ultimo desidero che il mio gatto si trasformi in un bellissimo Principe Azzurro." Detto e fatto. Il Principe Azzurro si avvicina allora alla non piu' vecchia e cingendole la vita le sussurra: "Ti penti, adesso, di avermi fatto castrare eh?"


Un bambino in spiaggia chiede al padre: "Papà mi compri un materassino a forma di bagnino?" E il papà: "Ma non esistono con quella forma..." E il figlio: "ma come, se la mamma ne stà gonfiando uno adesso proprio dietro gli scogli..."

Thursday, October 11, 2007

BUSH ALL'INFERNO

George Bush ha un attacco di cuore e muore. Va all'inferno, dove il diavolo lo sta aspettando.

- "Non so cosa fare" - dichiara il diavolo - "Tu sei sul mio elenco ma non ho posto per te, ma certamente tu devi restare ll'inferno, perciò ti dico cosa faremo. Qui ci sono 3 persone che però non erano cattive come te. Ne libereremo una e tu prenderai il suo posto. Ma ti consentirò di decidere chi sostituire".

George pensò che fosse conveniente e così accettò.

Il diavolo aprì la prima porta.
Dentro c'era Ted Kennedy ed una grande pozza d'acqua. Era tenuto sott'acqua e tendeva sempre a venire in superficie per respirare. Questa era la sua condanna all'inferno. - "No" - disse George - "Non va bene per me. Non sono un buon nuotatore e non potrei resistere per tutto il giorno"

Il diavolo lo condusse alla porta seguente.
C'era Tony Blair con una mazza ed una stanza piena di macigni. Egli adoperava continuamente la mazza per romperli, ed altri macigni comparivano. - "No! Ho un problema con la mia spalla. Sarei in una costante agonia se dovessi frantumare rocce per tutto il giorno" - commentò George.

Il diavolo aprì la terza porta.
Nella stanza George vide Bill Clinton giacente nudo sul pavimento con le braccia legate sulla testa e le gambe legate aperte. Piegata su di lui c'era Monica Lewinsky che faceva ciò che l'ha resa famosa. George Bush osservò con sollievo per un pò e finalmente disse: - "Si, questo posso farlo".

Il diavolo sorrise e disse:
- "Monica, sei libera di andare!"

Wednesday, October 10, 2007

MESTIERI NELLA STORIA

Nel medioevo, la vita media degli uomini era di 40-45 anni e l'assistenza sanitaria inesistente.

Quando un uomo moriva, per certificarne la morte veniva chiamato il "medico condotto" il quale, per verificare l'effettivo decesso, usava infliggere dolore al deceduto; il modo più comune utilizzato in quel tempo era un potente morso inflitto alle dita dei piedi (quasi sempre l'alluce).

Nel dialetto del popolino, il medico assunse così il nome di "BECCAMORTO".

Questa pratica diede origine ad un vero e proprio mestiere. La tradizione prevedeva Che tale mestiere fosse tramandato dal padre al primo figlio maschio; tuttavia, verso la fine del medioevo accadde qualcosa che cambiò il futuro dei beccamorti.

Uno dei beccamorti più famosi non riuscì a concepire un figlio maschio, la moglie partorì quattro figlie. Il beccamorto, per evitare l'estinzione del Mestiere, domandò alla chiesa la dispensa per poter tramandare la professione alla 1^ figlia femmina, la quale, dopo aver ricevuto la benedizione, iniziò il suo lavoro di beccamorto.

Il caso volle che il suo primo morto fosse un uomo al quale un carro aveva tranciato entrambe le gambe; la ragazza era indecisa su dove infliggere il morso, e alla fine, prese una decisione.....

Nacquero così le "POMPE FUNEBRI"

Wednesday, August 08, 2007

DA SEMPRE CONTRO MA SENZA VIOLENZA

L'INTERVISTA
DI GIANFRANCO TEOTINO
Da Tuttosport di martedì 7 Agosto 2007

Moratti, ci siamo. Domani c’è il primo incrocio pericoloso. inter-Juventus a Napoli, trofeo Mo­retti, una birra per aperitivo.

«Calcio d’agosto, non conta: ci fu anche l’anno scorso, in un’estate ben più pro­blematica di questa. Nessuno se lo ricor­da più. Né quel triangolare, né quello di Milano con tanto di Milan. L’appunta­mento vero è quello di campionato».

Eppure in giro si sente già un po’ di preoccupazione. C’è chi pensa che nella rivalità fra le due tifoserie oggi ci sia qualcosa di patologico.

«Patologico? Beh, è da sempre una ri­valità patologica, sportivamente parlan­do. Patologia sana, se si può dire. Da non confondere con la fortissima contrappo­sizione dovuta ai fatti che sono successi e che ha messo in ulteriore conflitto le due tifoserie. Ma una rivalità sportiva particolare c’è sempre stata e sempre ci sarà. Non si può far finta di niente ed è giusto così».

Però faceva una certa impressione sentire i cori del popolo bianconero a Pinzolo. Erano molti di più quelli con­tro l’inter che quelli per incitare i propri beniamini. E contro il Milan niente.

«Ma il Milan non è mai stato antipatico al mondo Juve. Sì, certo, in campo c’è antagonismo, le squadre cercano di su­perarsi, è ovvio, ma fuori... Le due so­cietà vanno a braccetto da sempre. Fra inter e Juventus invece questo odio, no, non parliamo di odio, diciamo questa fondamentale contrapposizione ideolo­gica è nella storia. Anche se con mag­giore o minore intensità a seconda delle epoche. E mai si potrà cancellare. Basta che non sfoci in violenze, reali o anche solo verbali».

E allora mi dia una sua definizione di questa sfi­da... epocale. inter-Ju­ventus che cos’è?

« inter-Juventus è il calcio italiano. E’ tutto: i ricordi, le emozioni, le ansie, le gioie, i dolori, le rabbie, le commozioni. inter- Juven­tus è fascino e spettacolo. E’ il derby d’Italia. E’ l’incro­cio che risveglia la passione per il calcio ».

Con questo caleidosco­pio di sentimenti, è evi­dente che ha ragione Co­bolli Gigli: meglio che i presidenti la vedano a distanza di sicurezza...

« Ah già, mi ero dimenticato di quella provocazione, nel calcio si gira pagina così in fretta... Alla larga da Mo­ratti, disse. Una battuta che qualcuno qui all'inter non ha gradito, ma io l'ho capita. A volte si è obbliga­ti a fare battute. Cobolli vo­leva farsi riconoscere, mo­strare ai tifosi la sua juven­tinità, risvegliare l'orgoglio della gente bianconera. An­che se, forse, con questo cli­ma non ce n'era molto biso­gno ».

Poi però Cobolli si è se­duto accanto al suo am­ministratore delegato Paolillo durante il sor­teggio del campionato. Un gesto distensivo. E comunque anche lei ha detto che non gli si met­terà mai accanto duran­te una partita.

« Certo. Guardi che quello che fanno in Spagna a me non piace proprio. Come si fa a restare impalati, gelidi quando i tuoi stanno gio­cando una partita, qualsia­si partita? Io voglio, devo poter soffrire, esultare, so­gnare, esaltarmi, sbracciar­mi. Secondo me, neppure i presidenti spagnoli amano questa abitudine, vedrà che presto l’abbandoneranno pure loro ».

Cobolli fece un’altra bat­tuta: separati allo sta­dio, cordiali fuori; in fondo Moratti come me è un padre di famiglia, an­che se di una famiglia un po’ troppo interista.

«Ecco, questa battuta mi è piaciuta di più. Simpatica. Stimo Cobolli, sta vivendo la sua avventura biancone­ra con grande passione. Purtroppo, anche lui ha una famiglia troppo juventina per i miei gusti ».

A proposito di stadio e di partite: da quanto tempo non va a vedere una Juventus- inter a To­rino?

« Da una vita ».

Colpa della Triade?

«C’era troppa tensione. An­darci era considerato quasi una provocazione. Non vo­levo partecipare a questo gioco al massacro. Diciamo che ho evitato di eccitare ul­teriormente gli animi. La vedevo su Sky ».

Quest’anno potrebbe es­sere la volta buona per il grande ritorno.

« Vedremo. Sa, io seguo poco la squadra fuori casa. E per abitudine decido sempre la mattina stessa. Certo, ora il clima a livello di dirigenti si è stemperato. Dipende un po’ da come ci si arriva. Ma non c’è più nessuna preclu­sione ».

Quindi anche lei ritiene che la Juve sia cambiata in modo sostanziale.

« Eh, sì. Mi sembra proprio che ci sia stato un muta­mento netto. Non solo di persone. C’è maggiore sim­patia, maggiore pacatezza di comportamenti. Il cam­bio di sostanza è evidente a tutti. Ma io vedo dei pro­gressi anche nella comuni­cazione, a parte qualche sbavatura. C’è meno arro­ganza, più ricerca di con­senso ».

I dirigenti sono diversi, ma i tifosi bianconeri so­no gli stessi di prima. E restano convinti, come del resto anche Tutto­sport, che la Juventus abbia pagato troppo e l’inter troppo poco ri­spetto a tutto quanto ac­caduto negli ultimi anni. Lei che ne pensa?

« Io penso esattamente l’op­posto di quando dicono i tifosi bianconeri e Tutto­sport.

In quanto alla Juve, hanno deciso i giudici, ma se non ricordo male le ri­chieste iniziali erano state ben più pesanti. Tanto che il loro avvocato ha dovuto lui chiedere alla corte la re­trocessione in B con pena­lizzazione. Capisco che que­sta cosa i tifosi juventini non l’accettino, ma poteva andare peggio ».

Poteva o doveva, secon­do lei?

« Guardi, lasciamo perdere. Diciamo che è stato un bene per il campionato che que­st’anno ritrova una grande protagonista ».

E l’inter?

« L’inter cosa? ».

Troppo poco punita?

« L’inter con Calciopoli non c’entra e non c’è mai entra­ta. Per quanto riguarda al­tre vicende, è stata giudica­ta e ha pagato, sempre che fosse colpevole ».

Pagato poco, secondo il giudizio di molti osser­vatori. Prendiamo il ca­so Recoba. C’è stato un patteggiamento e...

« . .. e Recoba è stato squalifi­cato. Recoba che in quel pe­riodo per noi era un gioca­tore importante. Il patteg­giamento rientra nelle pos­sibilità giuridiche. Oriali ha patteggiato. E tre gradi di giustizia sportiva e un gra­do di giustizia ordinaria hanno stabilito che la so­cietà inter non era respon­sabile di niente. E poi guar­di: negli anni scorsi, le so­cietà che hanno pasticciato con i passaporti saranno state ventisette. E invece ci si ricorda solo dell’inter. Anche questo fa un po’ ri­dere ».

Parliamo di plusvalenze e bilanci falsi, allora. O dei giocatori spiati.

« No, di queste cose non par­liamo proprio. Sono que­stioni ancora all’attenzione della magistratura e sareb­be poco elegante da parte mia entrare nel merito. Ma sono assolutamente tran­quillo ».

Torniamo a Calciopoli. I tifosi della Juve, e Tutto­sport, e molti osservatori sono convinti che la Ju­ve abbia pagato troppo più di Milan, Lazio e Fio­rentina, insomma delle altre squadre coinvolte.

« Mah, non so. E’ difficile di­re. Ma se ha pagato di più è perché il gruppo Moggi te­neva in mano le redini del discorso ».

Moggi. Ma se lo incontra per strada, lo saluta?

« Massì che lo saluto ».

Sedersi vicino allo sta­dio neanche parlarne...

« No, ma perché allo stadio io ho sempre bisogno di ave­re accanto un figlio su cui scaricare i miei malumori ».

Restando a Calciopoli, non pensa che il calcio italiano ne sia uscito male?

« Ne è uscito, è già qualcosa. Anzi, ne sta uscendo ».

Non sono cambiate mol­te persone.

« Ne sono cambiate abba­stanza. E soprattutto sono resuscitate le speranze di un calcio pulito. Certo, preoccupa il desiderio degli esclusi di tornare a contare qualcosa. E speriamo che il settore arbitrale non risen­ta da un punto di vista fisi­co e mentale di quanto che è successo. E’ quello che il pubblico si aspetta e spera ».

Parole prudenti, ma gli arbitri sono quasi tutti gli stessi di prima.

« Sì, ma hanno preso una botta che può servire anche a loro. Devono riuscire a far capire ai tifosi - e anche a me - perché sono ancora lì. Mi rendo conto che non era possibile colpevolizzare tut­ti, però... Comunque, ho grande fiducia in Collina: ha una personalità tale da far pensare che questa maggiore attenzione ai comportamenti ci sarà ».

Anche in Federcalcio non c’è stato un gran ri­cambio.

« Abete sta facendo bene. Certo, ci sarebbe bisogno di un salto generazionale. Co­me in tutti i settori della vi­ta italiana. L’industria lo ha capito, la politica un po’ me­no. Il calcio penso che se ne stia rendendo conto. Ci vo­gliono teste nuove in grado di comprendere e interpre­tare le nuove realtà ».

Gente come Matarrese...

« Un momento di passaggio, una scelta d’emergenza per non sfasciare tutto ».

Già. Quelli erano giorni tesi. Giorni in cui vi fu attribuito lo scudetto della Juve. Mai pentito di averlo accettato?

« Mai. Non ho mai conside­rato questa scelta una ri­picca o uno sgarbo alla nuo­va Juve. Ma un fatto nor­male. Giusto. Le dirò di più: una cosa di prestigio ».

Magari pensa che avreb­be avuto il diritto di ot­tenerne anche altri a ta­volino.

« Beh, il diritto no. Ma certo mi è venuto di pensare che dal ’ 95 in poi qualcosa di più poteva capitare, certi campionati potevano finire diversamente ».

Guardiamo avanti. Ciak, si gioca. L’inter domani è a Napoli, poi in Olanda, poi il trofeo Tim. Test importan­ti. Anche se forse non per lei, visto che snobba il cal­cio d’agosto.

« Scusi, ma lei si ricorda qual­che risultato d’agosto dell’an­no scorso o di due anni fa? No, il calcio d’agosto conta soltanto per gli allenatori che devono fare esperimenti. E’ un laboratorio. L’unica cosa è che magari sarebbe meglio evitare le brutte figure ».

Qualcuna l’avete fatta: tre sconfitte e una vittoria in Inghilterra. Che cosa pesa di più?

« Per gli interisti naturalmen­te pesa di più la vittoria a Manchester, contro una di­retta avversaria di Cham­pions. Poi è chiaro che perde­re non piace mai. Ma le altre squadre erano più avanti in condizione ».

Però l’inter, anche mentre dominava l’ultimo campio­nato, in Europa zoppicava sempre. Avete un proble­ma, un complesso?

« No, nessun complesso. Sem­mai un po’ di lentezza nel ca­pire che in Europa non si può sbagliare neppure l’approccio alla partita. E poi, quest’e­state, magari ci sarebbe capi­tato di perdere anche con squadre italiane ».

La seccherebbe molto una sconfitta domani contro la Juve?

« La prova della verità, lo ri­peto, sarà la sfida in campio­nato ».

Con Ibrahimovic e Vieira in maglia nerazzurra, altro elemento di rabbia per il tifoso juventino.

« Due grandi campioni. Li ab­biamo voluti a tutti i costi. E non è che abbiamo vinto il campionato per un pelo. Sì, magari sarebbe andata di­versamente senza di loro, perché Ibra è davvero un fe­nomeno. Però non credo. Co­munque non li abbiamo presi per rubarli alla Juve. Li avremmo cercati anche se giocavano nel Barcellona o nel Chelsea, che considero le due più grandi squadre d’Eu­ropa ».

Cobolli dixit: mai più affari con l’inter fino a che non avremo rivinto uno scudet­to. E lei?

« Io affari con la Juve sono sempre pronto a farli, se c’è l’opportunità ».

E’ vero che avete insidiato Nedved?

« Non credo. Ho letto che Mancini ci ha fatto un pen­siero. Però al mio tavolo la questione non è mai arrivata: lasciamo il dubbio ».

E’ vero che la Juve voleva Burdisso?

« Burdisso, che è un bravissi­mo ragazzo, dice di sì. Però, come per Nedved, la questio­ne non è mai arrivata al mio tavolo ».

Avete mai pensato seria­mente a Buffon?

« Ci abbiamo pensato sì. Ma poi abbiamo scoperto le doti straordinarie di Julio Cesar e abbiamo ritenuto che sareb­be stato ingiusto rinunciare a lui ».

E’ buffo sapere che due so­cietà così rivali in campo sono alleate in Lega.

« Grande pubblico, bacino d’u­tenza. Abbiamo gli stessi in­teressi. E’ un fatto normale. Succedeva anche ai tempi della Triade. I diritti tv, ad esempio: dobbiamo trovare una soluzione prima di farci anticipare dalla legge. Ci ser­ve un antidoto all’invadenza della politica ».

Galliani tuona che il calcio italiano si deve dare una mossa, che sta perdendo competitività in Europa.

« Mah. Per la verità, lui la Champions l’ha pure vinta. Sì, da un punto di vista eco­nomico non ha tutti i torti: la Spagna ha qualche vantaggio fiscale, gli stadi sono più bel­li ovunque, il fatturato delle italiane è inferiore a quello della concorrenza. Poi però mi sembra che, o attraverso la generosità dei presidenti o attraverso la bravura agoni­stica delle nostre squadre, questo divario in campo riu­sciamo a colmarlo ».

E comunque che si può fa­re per non allargarlo?

« Innanzitutto vendere meglio i diritti televisivi, poi vedere se a livello europeo c’è mar­gine per una maggiore equità fiscale e infine pensare agli stadi del futuro ».

Magari anche per riportar­ci un po’ di gente: siamo ai minimi storici di spettato­ri.

« Guardi, per questo baste­rebbe giocare meglio. Un po’ di calcio più spettacolare e aperto e vedrà che la gente ci torna subito, c’è una tale vo­glia. La sicurezza? Mi sembra che ci sia qualche problema più che altro fuori dagli stadi. E poi bisognerebbe cambiare approccio con il pubblico: quando all’ultima giornata abbiamo organizzato la festa a San Siro, tutta l’atmosfera era diversa rispetto a una partita normale ».

Forse bisognerebbe fare qualcosa anche durante la settimana per non caricare di troppi valori il totem del risultato.

« Noi ci proviamo. Ad Appiano Gentile abbiamo una tribu­na, spesso ospitiamo gente che viene da fuori Milano e i nostri giocatori sono in gene­re disponibili a iniziative pubbliche e anche di caratte­re sociale ».

Da questo punto di vista siete un’eccezione positi­va...

« Io penso che l’umanizzazio­ne del calciatore sia un im­portante antidoto anti- vio­lenza. Questi ragazzi vanno un po’ demitizzati: o meglio, restino miti sportivi, ma sia­no anche visti come persone che crescono ».

Comunque, tornando alla competitività internazio­nale del calcio italiano, an­che voi quest’anno il mer­cato l’avete fatto solo in Italia.

« Un’eccezione. Io in genere, lei lo sa, preferisco prendere fuori. Ma stavolta abbiamo ingaggiato Chivu e Suazo perché ci servivano Chivu e Suazo, non perché non abbia­mo trovato altri ».

E li avete presi, mi consen­ta, con il metodo Moggi: convincendo i giocatori prima delle loro società.

« No, sono loro che hanno espresso una forte volontà di venire all’inter, al di là delle nostre stesse aspettative. Ne siamo felici ».

Avete tenuto Adriano. Per­ché ci credete o perché non aveva mercato?

« Adriano sta dimostrando una notevole volontà. Una volontà che può aprire le por­te alla speranza di rivederlo com’era. C’è da scardinare so- l’ultimo ostacolo, che credo sia psicologico ».

E il suo pupillo Recoba? Che farà?

« Gli voglio bene, lo sanno tut­ti, e gli auguro di giocare. Mi farebbe un piacere enorme vederlo in campo. Per questo gli consiglierò di trovarsi una buona sistemazione ».

A Torino?

« Intende nella Juve? »

Perché glielo darebbe?

« Mah, se andasse alla Juve ci soffrirei un po’ »

La Juve della Triade qual­che anno fa lo voleva.

« Non si può dire che quelli non s’intendessero di calcio ».

Comunque, io pensavo al Torino.

« Sarebbe un’ottima sistema­zione ».

Pato milanista: le dà fasti­dio?

« Trovo che per loro sia una grande soluzione. Così Kakà sarebbe più libero di andar­sene altrove, se ne avesse la possibilità ».

Buona battuta. Ma voi Pato l’avete seguito e oggi inve­ce è a Forte dei Marmi, co­me lei, ma a casa di Gallia­ni.

« Veramente è venuto prima a casa mia. Forse si è sbaglia­to...»

Altra battuta non male, ma ll Milan ve l’ha soffiato.

« Ottimo giocatore, grande po­tenziale, ragazzo intelligente: ma io quest’anno ho già spe­so troppo. E poi il Milan, ri­peto, ne ha più bisogno di giovani. Anche se l’età media così elevata a volte diventa un punto di forza: l’esperien­za nei momenti topici conta moltissimo. E poi Ancelotti è proprio bravo ».

Quindi lei vede più Milan che Juventus nel prossimo campionato.

« La Juventus è una squadra nuova che all’inizio potrà avere problemi di crescita. Però ha dalla sua il carattere, almeno 10 milioni di sosteni­tori e il grande desiderio di tornare subito a primeggiare. Sono certo che tutti i giocato­ri daranno qualcosa in più ».

Ma lei punta più al cam­pionato o, come Galliani, pensa, anche se non lo può dire, che la Champions sia più importante?

« La Champions dà prestigio e noi non la vinciamo da una vita. Però per me lo scudetto è importantissimo, lo scudet­to è lo scudetto. Anche se for­lo se io dico così perché so di avere una squadra più da corsa a tappe e Galliani dice così perché sa di avere una squadra più da gare in linea ».

E’ vero che cercate un altro centrocampista?

« Ma quando mai. Ho preso Chivu perché mi hanno detto, e lo so anch’io, che può gioca­re in tre ruoli: terzino, difen­sore centrale e centrocampi­sta. Fine. Di giocatori ne ab­biamo abbastanza ».

Ma Emerson...

« Grande rispetto, buonissimo calciatore, ma noi abbiamo Vieira. E tre juventini... forse sarebbero troppi ».

Saturday, June 23, 2007

BILANCIOPOLI

Dal Blog "Camillo"
di CHRISTIAN ROCCA

Caso Suazo, la soluzione
Ricevo e volentieri posto:
"Carissimi Moratti & Galliani, ho la soluzione al vostro problema. Se Galliani molla Suazo e lo lascia all'inter degli onesti, questi lo potrebbero mettere a bilancio a 14 milioni di euro. Un quarto d'ora dopo lo rivendono al Milan per 164 milioni di euro e il Milan gira loro uno a scelta tra Simic, Borriello e Storari sempre per la stessa identica cifra di 164 milioni di euro, che mi sembra una equa valutazione. Nessun esborso di danaro ma a quel punto, per magia contabile, si potrebbe iscrivere una plusvalenza fittizia di 150 milioni di euro, a taroccamento anche del bilancio che chiuderanno la settimana prossima (30/06/07). Avremmo così il contante da utilizzare per comprare Eto'o+Ronaldinho+Sheva+Cruijff+un senatore del centrosinistra per il Milan e Henry+Diarra+Buffon+Seredova+un paio di omaggini per Palazzi & Borrelli a favore degli intertristi, che non si sa mai. A quel punto, avvisato il direttore della Gazzetta dello Sport, che è quel giornale rosa pieno di briciole e unto di brioches che sta sui frigo dei bar, di non scrivere nulla o di mettere la notizia dopo il meteo a pagina 24, a fianco di A.A.A. offresi massaggi di ogni tipo a domicilio - Citofonare Ornella.....il più è fatto. E insabbiato. Il nuovo consulente di mercato, Massimo Crepaldi"
22 Giugno 2007

Palate di sabbia
Il Corriere della Sera, oggi, ha trovato ben due-giornalisti-due per scrivere la velina dettata dagli indossatori di onestà altrui, e peraltro nessuno dei due è Fabio Monti. A un certo punto i due scrivono addirittura che "in ogni caso è esclusa la revoca dello scudetto 2005-06". E' vero, sui giornali di regime e dei poteri forti la revoca è esclusa, con la lodevole eccezione di Repubblica e Sole, malgrado il codice sportivo dica esattamente il contrario e non solo per quello del 2005-06 rubato alla Juve, ma anche per quello aziendale di quest'anno. I potenti del calcio minimizzano e solidarizzano (e ci credo, si aprisse il capitolo bilanci falsi...), mentre l'ex MicroMega rosea di Carlo Verdelli fa scrivere all'ex vice Torquemada che è stato "sollevato un processo sommario" contro Moratti. La tesi di questi moralisti aziendali è questa: "fosse stato loro contestato qualcosa, si può ragionevolmente supporre che avrebbero ripianato mettendo mano al portafoglio". Certo, anche Moggi truccava il campionato, ma se glielo avessero contestato in tempo si può ragionevolmente supporre che avrebbe smesso. Come dire: chi è ricco può imbrogliare e comprare calciatori a volontà, falsificando il campionato. Guai però se lo facesse uno povero, in quel caso la mannaia rosea dei Verdelli boys sarebbe spietata.
In tutto questo c'è il solito imbarazzante
silenzio di Cobolli Gigli, temperato dalla grandezza di Fabio Capello.
21 Giugno 2007

For the record (and for Verdelli)
La Covisoc ha stabilito che gli indossatori di scudetti e onestà altrui hanno taroccato i bilanci e che non si sarebbero potuti iscrivere al campionato (al campionato vinto dalla Juve l'anno scorso). Il pm di Milano ha preso nota e se la procura federale non insabbierà si applicherà l'articolo 7 del codice sportivo. Al comma 3 dice:
"La società che, mediante falsificazione dei propri documenti contabili o amministrativi, tenta di ottenere od ottenga l'iscrizione ad un campionato a cui non avrebbe potuto essere ammessa sulla base delle disposizioni federali vigenti al momento del fatto, è punita con una delle sanzioni previste dall’art. 13, lettere f), g), h) e i)".
Bene. Quali sono le sanzioni previste dall'articolo 13, lettere f), g), h) e i)?
Queste:
"f) penalizzazione di uno o più punti in classifica; la penalizzazione sul punteggio, che si appalesi inefficace nella stagione sportiva in corso, può essere fatta scontare, in tutto o in parte, nella stagione sportiva seguente;
g) retrocessione all'ultimo posto in classifica del campionato di competenza o di qualsiasi altra competizione agonistica obbligatoria;
h) esclusione dal campionato di competenza o da qualsiasi altra competizione agonistica
obbligatoria, con assegnazione da parte del Consiglio Federale ad uno dei campionati di categoria inferiore;
i) non assegnazione o revoca dell'assegnazione del titolo di campione d'Italia o di vincente del campionato, del girone di competenza o di competizione ufficiale".
Applicando il criterio folle usato contro la Juve l'estate scorsa, malgrado l'accusa non fosse provata, all'inter tolgono lo scudetto finto dell'anno scorso, la retrocedono in B con penalizzazione, chiedendo la C, e le tolgono lo scudetto buono, ma aziendale, di quest'anno. Il prossimo anno in B, senza Coppa dei Campioni. Questa è la sanzione quasi massima, quella massima è la C e la perdita dei due scudetti. La sanzione minima, e certa, è una penalizzazione nel torneo del prossimo anno. Tra la sanzione massima stile Juve e la sanzione aumma aumma c'è anche la revoca dello scudetto vinto sul campo dalla Juve, perché esplicitamente assegnato per il rispetto di criteri di onestà. Chi deciderà? Non credete che a a decidere sarà la Federcalcio. A decidere saranno i giornali. Se insabbiano e minimizzano, non succederà niente. Leggete domani la Pravda rosa e capirete come andrà a finire.
20 Giugno 2007

Ultime sugli indossatori
La Covisoc dice alla procura di Milano che gli indossatori di onestà altrui non avrebbero potuto iscriversi al campionato 2005-06 e che si sono iscritti solo grazie a plusvalenze fittizie. In tutta onestà, più che vicnere lo scudetto finto, sarebbero dovuti andare in C. Nel frattempo si sono fatti soffiare Suazo dal Milan, cosa che tecnicamente è un bene per loro, ma non capendo nulla di calcio se ne dispiacciono assai. Moratti ha detto che ha la firma del giocatore, non accorgendosi di aver confessato un reato federale oppure contando sul fatto che già quando i suoi confessarono di aver ricettato una patente, falsificato un passaporto e taroccato le partite in cui fu schierato Recoba la fecero franca, grazie anche al soccorso rosso del commissario della federcalcio e a quello roseo dell'amico Verdelli. Su Suazo il presidente del Cagliari dice che Moratti ha perso tempo e non rispondeva alle telefonate. Moratti dice che non è vero, che Cellino non l'ha mai cercato. Cellino risponde con un "porterò i tabulati". Sempre che non siano stati fatti sparire dagli uomini Telecom.
20 Giugno 2007

Sunday, June 17, 2007

LA TESTA DI CONTE

Beppe Di Corrado
Da "Il Foglio Quotidiano" di sabato 16 Giugno 2007

E' la vittima di calciopoli. La vera. Fregato due volte: prima accusato di essere il figlioccio di Moggi, poi retrocesso per una partita scandalosa

E questa non è da copertina. In fondo Antonio Conte è sempre stato un gregario. Borraccia, per piacere. Corri anche per gli altri, avanti. Allora qui vanno bene quelle frasi così. Inutili e facili: “Dai, s’è lasciato prendere dalla foga del dopo partita”. Qui si parla di uno che quasi si fa fatica a ricordare che sia stato capitano della Juventus, giocatore della Nazionale, amico e poi nemico di Marcello Lippi. Qui si tratta di quello che quando giocava veniva preso in giro per la calvizie incipiente, quello che cercava di nascondere il vuoto centrale tirando indietro i capelli che gli crescevano davanti. Qui basta poco, quindi: trenta secondi e stop, il tempo di dare voce al suo sfogo e poi fottersene tranquilli. Povero Antonio. Un giorno, quando qualcuno avrà trovato la lucidità per parlare del calcio di oggi serenamente, questa storia servirà. Sarà un capitolo. Perché Conte è la vittima di Calciolpoli. La vera. Fregato due volte: prima accusato di essere figlioccio di Moggi, bambolotto usato per curare gli interessi della “Cupola” in Toscana; ora retrocesso per colpa di una partita scandalosa per davvero, figlia di una società e una squadra che hanno voluto far credere a tutti di essere pulite, serie, diverse e invece non hanno garantito regole e giustizia. Antonio ha parlato: “Rispetto tanto i tifosi Juventini, ma ho poco rispetto per la squadra. Retrocedere così fa male, però mi fa capire cose che già sapevo. Nel calcio si parla tanto, tutti sono bravi a parlare, adesso sembrava che i cattivi fossero fuori e che ci fosse un calcio pulito, infatti siamo contenti tutti, evviva questo calcio pulito”.
E’ finita qua. Tutti ciechi. Quest’anno nessuno ha visto le ultime giornate di campionato di A e B. Certo, questa era la stagione della riabilitazione, allora le retrocessioni di Chievo in B e di Arezzo in C sono il male necessario. Sono arrivate con metodi sporchi, con partite fasulle, squadre che pur di perdere cercano di sbagliare rigori e poi dopo averli segnati lasciano il campo agli avversari: quattro occasioni da gol in un minuto, come se giocasse una squadra di Champions contro i Pulcini del Canicattì. Giocatori avversari che s’abbracciano in campo tra loro quando sentono i risultati delle concorrenti. Tutto normale. Pulito, come dice Antonio. Pulito perchè quelli come lui devono comunque pagare: Conte è stato un assistito della Gea, è stato il Capitano della Juventus della Triade, è stato il viceallenatore di Luigi De Canio – pure lui gestito dalla Gea – a Siena, cioè nel feudo di Luciano Moggi; è stato allenatore dell’Arezzo, altro feudo nel quale la Juve ha scaricato i giovani della Primavera per farli crescere. Conte quest’anno è partito da meno sei punti per qualche presunto illecito del club. Ne ha fatti cinquanta sul campo, cioè abbastanza per salvarsi senza problemi e però se ne è trovati 44 in classifica. Retrocesso perché alla penultima giornata, la Juventus del dopo Moggi-Giraudo, quella che non riconosce i suoi scudetti, ha perso a Bari facendo salvare il Bari che poi è andato a Verona e ovviamente ha perso senza giocare. Retrocesso perché all’ultima giornata la stessa Juventus ha perso 3-2 in casa con lo Spezia, mica col Genoa o col Napoli. E però il pazzo sembra lui, Conte. Che si lamenta e gli fanno fare la figura del perdente che non sa perdere. Arriverà il giorno in cui questa storiella piccola diventerà una verità. Bisogna aspettare che il pallone smetta di illudere la gente sulla sua presunta redenzione. Conte ci sarà, chè tanto lui gli scandali degli ultimi anni se li è passati tutti. Prima il doping della Juventus, poi Moggiopoli. S’è trovato sempre dalla parte sbagliata, passato per complice e poi diventato vittima. Forse doveva accettare di andarsene prima: la Juventus voleva mollarlo nel 1998, quando Antonio litigò con Lippi. Avrebbe potuto scegliere: una squadra italiana oppure un campionato straniero. Offerte. Contratti. Certezza di un posto in squadra.
Era arrivato a Torino a Novembre del 1991. Lo aveva scelto Cestmir Vycpalek, lo zio di Zdenek Zeman. Lo aveva seguito tutta la stagione precedente a Lecce. Otto miliardi la quotazione. “Ricordo che il mio problema, quando arrivai alla Juventus, era decidere se dare subito del tu a Tacconi, Baggio e Schillaci, o iniziare con un più rispettoso lei”. Tredici anni, poi. Fino al 2004, perché quando avrebbe potuto andarsene, scelse di restare. La Juventus aveva deciso di chiudere il contratto con Lippi e di prendere Ancelotti: “Con Carlo sono rinato. Anche se non ho giocato titolare sempre, mi ha ridato fiducia e io l’ho ricambiato dando tutto quello che avevo da dare”. A 35 anni s’è fermato. Voleva continuare per un’altra stagione, oppure ripartire da zero, da mister, coi giovani. Ecco, secondo le inchieste della Federcalcio, per Francesco Saverio Borrelli, tre anni fa’ il potere di Moggi e del suo clan era massimo. Allora Conte doveva stare tranquillo: veterano della Juve, con un procuratore della Gea, con un fratello legato alla stessa società. Certo. “Mi dispiace andar via, ma l’offerta della Juventus non la ritengo adeguata. Ho vinto tutto e non posso che esserne contento. Dalla Juve ho ricevuto davvero tanto, ma credo di aver dato qualcosa in più, mettendola sempre al di sopra di qualunque altro pensiero. Lo dimostra il fatto che abbia deciso di sposarmi solo adesso che vado via”. Niente accordo, nessun intrallazzo. Allora se ne sono fregati tutti. Il rapporto Conte-Juventus è stato tirato fuori dopo, quando era utile a disegnare scenari e scatole cinesi, a trovare teste di ponte e uomini d’onore che avrebbero aiutato la rete Moggiana a comandare la baracca del pallone. Su Conte è arrivato il veleno: gli hanno dato del raccomandato, hanno tirato fuori presunte follie delle sue stagioni Torinesi. Pure i capelli: non sono diventati più una battuta ma un pretesto per attacarlo, così come per i suoi modi educati, troppo gentili per un vero uomo. Le voci hanno fondato le radici nella spazzatura e negli affari personali. Bisbiglii, sofffiate, personaggi di basso livello e questioni di piccolo cabotaggio. Tutta roba che in una città non grande, puritana con la puzza sotto al naso erano già venute fuori. Antonio il chiaccherato, che poi era pure un terroncello: facile obbiettivo. Facile facile. Se n’è andato, ha preso il patentino, ha trovato una squadra. E però era quella sbagliata. Siena. Altre parole: “Alla Juventus chiesi di poter allenare la Primavera. Non ho avuto questa possibilità e di questo sono rimasto piuttosto male. Per molti anni il mio procuratore è stato Alessandro Moggi, figlio di Luciano, e con me si è sempre comportato benissimo. Sono stati gli altri procuratori, quelli che ho avuto prima di lui, che semmai non si sono comportati benissimo. Qullo che mi è capitato è comunque la dimostrazione che l’essere assistito dalla Gea non mi ha mai garantito canali privilegiati rispetto agli altri”. Non è bastato. Schiacciarlo quest’anno è stato uno sfizio del quale qualcuno non ha voluto privarsi.
Eppure non ha fatto niente, lui. E’ stato uno che ha parlato quasi sempre quando è stato interpellato. E’ stato uno che ha detto cose quanto meno pensate. “I politici dovrebbero fare di più ma anche gli atleti, anche noi giocatori, troppo spesso privilegiati. Oppure maltrattati, giudicati con disprezzo: la nostra colpa è non ribellarsi, non voler dimostrare che possiamo essere migliori. Le diverse discipline non dovrebbero vivere separate, quasi nemiche. Non conta solo il gusto della massa o la direzione in cui viaggiano i miliardi”. Un calciatore senza calcio in testa, ecco il professor Conte. Saranno stati i sette anni di navigazione tra i libri? “No, il giocatore medio è una persona valida anche se non ha studiato. E potrebbe dire qualcosa di importante, se glielo chiedeste. Invece ci fate parlare solo di partite di avversari di polemiche. Io vorrei andare in TV e discutere d’altro, senza sentirmi un milionario in mutande. Non esiste più il giocatore incapace di pagare una bolletta o di farsi sistemare il contatore del gas, non ci serve il tutore. Penso che la cultura non sia solo un diploma, una laurea, ma un diverso modo di pensare a noi stessi, di imporre un’immagine più aderente alla realtà”. Avrebbe fatto bene il sindacalista alla Albertini, Conte. Pronto a parlare e pronto a non tirarsi indietro. Fino a quando ha giocato, Antonio non ha mai fatto finta di niente: non si è risparmiato le critiche ai compagni e agli avversari, ai governanti del pallone e ai politici di professione. Nel 1998 attaccò da solo il governo: la Juventus doveva andare a giocare a Instanbul nel pieno della crisi diplomatica Italia-Turchia per il caso Ocalan. Il presidente del Consiglio era Massimo D’Alema. Aveva detto che avrebbe seguito la squadra per stemperare le tensioni, poi si tirò indietro. Conte lo fece notare: “Adesso non c’è più nessuno; siamo soli e ci dispiace molto. I poitici sappiano che sull’aereo c’è ancora posto e che la gita sul Bosforo è gratis. Anzi, paghiamo pure il pranzo. Come in quei concorsi a premio: trascorri una giornata con il tuo beniamino”. S’è segnato anche altro: le dichiarazioni di Luciano Gaucci, per esempio. Ogni volta che l’ex proprietario del Perugia ha parlato, Antonio ha reagito così: “Gaucci? Ma no, lui dovrebbe stare solo zitto. Su qualunque cosa”. Spesso ha rimproverato anche i compagni. Una volta Roberto Baggio e Gianluca Vialli insieme: “Questa vittoria è una risposta a chi ha parlato di organico insufficiente o di carenze di personalità”. Un’altra volta i giovincelli come Del Piero e Grabbi che a neppure vent’anni sembravano così predestinati da sentirsi titolari fissi: “Io non mi sento inferiore a nessuno. Ma io ci ho messo degli anni per essere qualcuno. Ho lavorato duro”. Un’altra volta in nazionale, contro quelli che non avevano voglia di essere convocati: “Io verrei a Coverciano anche per tenere le borracce”.
E’ stato uno giusto, Conte: non simpatico, ma neppure odioso, come qualcuno ha voluto far credere. Uno che almeno ha avuto le palle di continuare a studiare anche quando era pieno di soldi. Nel 1995 da vicecampione del mondo, ha preso il diploma Isef. Ci ha messo sette anni, neppure tanti. Pochi anzi, per dire che un giocatore non pensa solo al pallone, per mettere qualcosa oltre la pagella della gazzetta. Per riuscire a spiccicare una parola che vada al di là di una partita, un ingaggio, uno scudetto. “Lo so che per la gente siamo così, è un luogo comune tremendo eppure il calciatore medio è cambiato, si informa, partecipa alla vita normale. Ma non c’è verso, non riusciamo a spiegarlo. La fregatura del calcio è che ti toglie altre voglie. Arrivi presto al successo, ai soldi, hai una vita intensa, magari ti sposi giovanissimo e allora dedichi alla famiglia tutto il tempo che non trascorri in ritiro. Così, addio libri. Io invece ho avuto fortuna e tenacia, non mi sono fatto passare la voglia dell’Isef. Mi piacerebbe insegnare lo sport ai ragazzi, avere degli allievi. Anche mio fratello Gianluca è professore di Educazione fisica, i nostri genitori sono molto soddisfatti di noi. E il sud senza impianti, certo. Io vengo dalla Puglia e so che le scuole di Torino e Milano sono favorite. So anche che nella Costituzione non compare mai la parola sport. E che il nostro modello socio-culturale è sbilanciato verso il professionismo, il business. Lo squilibrio delle risorse esiste. C’è il problema dei concorsi, delle graduatorie ma chissà, magari ci provo. Sarebbe un modo per tornare una persona comune, che lavorando può anche avere uno stipendio basso. Ma perché in Italia l’insegnamento è sottopagato?”.
Aveva 26 anni il professor Conte. Aveva discusso una tesi in psicologia dello sport: “La personalità dell’allenatore”. Se l’è riletta dopo, se la rilegge ancora. “E’ stato un lavoro interessante, ho provato a raccontare come dovrebbe essere l’allenatore ideale. Prima di tutto un ottimo psicologo, uno che sa ascoltare e che ti spiega le ragioni di una scelta. Purtroppo, e parlo in generale, si curano poco i rapporti umani. A me in fondo è andata bene, da tutti i miei maestri ho appreso qualcosa. Fascetti mi ha trasmesso la fiducia nei giovani, Mazzone il carattere e se non stavi attento ci litigavi, però è uno vero. Trapattoni l’umanità e la disponibilità: quante ore ha trascorso a insegnare calcio dopo gli allenamenti, quando gli altri di solito dicono basta. Lippi mi ha dato la carica di chi non è mai appagato e vuole sempre di più, oltre a una notevole preparazione tattica. Infine Sacchi, cioè lo scienziato del lavoro quotidiano”. E però un limite l’aveva trovato. Uguale per tutti. Per Fascetti, Mazzone, Trapattoni, Lippi e Sacchi: “Si dialoga troppo poco e quasi sempre a senso unico. Mi piacerebbe che gli allenatori non parlassero con noi solo di calcio, che meritassero il loro carisma non con l’autorità del ruolo e del diritto acquisito”. Quando è diventato allenatore lui dice d’averci provato. Dice che è diverso, che insomma è un po’ come è Ancelotti, che il giorno della discussione della tesi non aveva ancora incontrato. Con Carletto, Antonio s’è trovato bene. Lui parlava, lui l’ha convinto che poteva riprendersi dopo due infortuni che avrebbero consigliato di starsene tranquilli tra panchina e tribuna. Conte ha continuato, con la stessa andatura di sempre: un po’ ingobbita, un po’ cavallesca. Non è mai stato particolarmente bello da vedere. Utile, però. Perché era uno di quei centrocampisti che si sanno inserire, che partono da dietro, che sanno infilarsi saltare un uomo e calciare. Poi era bravo di testa. Era un Perrotta in grado di segnare di più e spesso meglio. Come ad Arnhem nell’Europeo dell 2000, giocato a 31 anni. Rovesciata contro la Turchia. Poi un altro infortunio, contro la Romania, la fine dell’avventura con la Nazionale. Ha chiuso praticamente allo stadio Re Baldovino, che poi sarebbe il vecchio Heysel. Coincidenza amara per uno Juventino. Prima di giocare su quel campo la prima volta non riuscì a non dire di essere impressionato: “Mercoledì giocheremo in quello che fu l’Heysel, lo stadio dell’incubo. Sono Juventino dall’infanzia e quel giorno rimane scolpito nella mia memoria. Giocheremo lì e io dedicherò una preghiera alle persone scomparse all’Heysel”. Gli è rimasta questa frase. E’ rimasta anche per qualcun altro: quelli che l’anno dopo si ritrovarono all’inizio del ritiro della Juventus a Chatillon a chiedere alla dirigenza della Juve di non provare a vendere Conte. Lo avevano proposto anche per il dopo Deschamps, adesso. Giovane, bianconero, amico di molti giocatori. Amico di Pessotto, al quale è stato il primo a raccontare della vittoria ai Mondiali dell’Italia. Amico di Del Piero. Forse avrebbe potuto convincere Trezeguet a rimanere. La società ha pensato che sarebbe stato meglio evitare: troppo facile accostare Antonio alla vecchia gestione. Troppo difficile avere in casa un allenatore che sta dalla parte della squadra. L’anno scartato, prima di tradirlo.

Saturday, June 09, 2007

COSI' PLATINI HA LICENZIATO BETTEGA

GIULIANO ZULIN
Da Libero di sabato 9 Giugno 2007

Claudio Ranieri è il nuovo allenatore della Juventus. È già stato presentato. Ovvio, dopo il "no, grazie" di Marcello Lippi, la società bianconera è stata costretta a corteggiare e ad assumere nel giro di pochi giorni l'uomo che ha salvato il Parma. Ha firmato un contratto triennale. Per cercare di creare un ciclo. Per riportare il club di casa Agnelli ai fasti di un tempo. Lo stesso progetto che aveva in mente Didier Deschamps, scaricato ufficialmente proprio per aver preteso un contratto triennale. Perché due pesi e due misure? Tutta colpa - o merito del duello all'interno della società innescato da Marco Tardelli per diventare l'uomo tuttofare della Juve. A scapito di Roberto Bettega, battezzato "bianconero a vita" nel 1984 da Gianni e Umberto Agnelli. Non dovrebbe infatti essere rinnovato il contratto dell'ex attaccante, in scadenza il prossimo 30 giugno. Formalmente Bettega era solamente un consulente, in realtà il suo peso all'interno del club era assai incisivo, grazie anche alla fitta rete di rapporti costruita ai tempi della collaborazione con Moggi e Giraudo. È stato lui a gestire il calcio-mercato dei bianconeri, precipitati in B. Lui ha organizzato la campagna abbonamenti, dopo la decapitazione della vecchia dirigenza. Sempre lui ha pianto quando la Vecchia Signora ha vinto l'ultimo scudetto prima dello scandalo Calciopoli. Ha lavorato nel silenzio, ma non è bastato per mantenere il posto. La società, ovvero il presidente Cobolli Gigli e l'amministratore delegato Blanc, hanno deciso per il cambio di strategia e d'immagine. Al suo posto andrà Tardelli, che s'era presentato all'ultimo consiglio d'amministrazione con la lettera di dimissioni in mano. A spingere sull'ex allenatore dell'inter sarebbero stati addirittura i vertici della Uefa. Insomma, il presidente Michel Platini. Il piano dell'ex numero 10 della Juve sembra chiaro: boicottare la nascita del G14, ovvero la nascente associazione delle grandi squadre europee, in alternativa alla Champions League. Una sorta di Nba del calcio pronta, nel giro di un anno, a salire a quota 30 associati. "Le roi" teme questo progetto che relegherebbe la sua Uefa in secondo piano. La battaglia è dura ma da qualche parte Platini doveva pur cominciare. Bettega poteva essere un ostacolo. Per cui, meglio Tardelli, che potrebbe consigliare la Juve di rimanere nell'alveo Uefa. Prima di arrivare all'Europa che conta la Juve dovrà prima risolvere il riassetto azionario. Ieri i titoli della Juventus a Piazza Affari sono stati colpiti dalle vendite "tecniche", visto che si concludeva la trattazione in Borsa dei diritti legati all'aumento di capitale in corso. Le azioni hanno perso il 10,31% a 1,418 euro, tra scambi fuori dall'ordinario: il 20% in meno rispetto al 28 maggio, primo giorno della ricapitalizzazione. A tirare fuori gli oltre 100 milioni, oltre a Ifil, la holding di casa Agnelli che controlla il 60% della società, e alla libica Lafico, sarà un consorzio di garanzia con Hvb del gruppo UniCredit, Intesa Sanpaolo, Banca del Piemonte. Cosa spinge queste banche ad assumersi il rischio di accollarsi le azioni spettanti ai soci di minoranza, per un massimo di 34 milioni? Commissioni a parte non va dimenticato che l'istituto di Alessandro Profumo è tra i principali creditori della società bianconera, così come Intesa e la stessa Banca del Piemonte, per complessivi 19,3 milioni al 31 marzo 2007, pari al 32,6% dell'indebitamente finanziario. E se ci fosse qualcosa in più? A Torino, mai dire mai. Ps: dopo la fusione tra Unicredit e Capitalia, la banca milanese ora controllerà anche il 49% della Italpetroli, ovvero della Roma calcio. Chi lo dice ai tifosi giallorossi?

LA SCHEDA

MICHEL PLATINI Nato a Joeuf nel 1955. Dal 1982 al 1987 alla Juventus: tra le sue vittorie due scudetti, una Coppa Campioni ed una Coppa Intercontinentale. Campione d'Europa con la Francia nel 1984. Dal gennaio 2007 è Presidente dell'Uefa.
ROBERTO BETTEGA Nato a Torino nel 1950, debutta nella Juventus nel 1970. Rimane in bianconero per 13 stagioni vincendo 7 scudetti, 2 Coppe Italia e 1 Coppa Uefa. Dal 1994 al 2006 è vicepresidente della Juventus.
MARCO TARDELLI Toscano, 52 anni, arriva alla Juventus nel 1975. In 10 anni vince 5 campionati e una Coppa Campioni. Campione del mondo 1982. Da allenatore è Campione d'Europa Under 21 nel 2000. Dal giugno 2006 è nel Cda della Juventus.

ADESSO COSTRUIREMO UNA GRANDE SQUADRA

Da Tuttosport di sabato 9 Giugno 2007

TORINO. Sul rinnovo del contratto Gigi Buffon aggiunge: « Non nego che un mese fa avevo quasi scelto di andare via e poi invece ripensandoci e dando valore a certe vautazioni ho pensato che fosse giusto rimanere. Non aveva più senso andare da un’altra parte. Questa ricerca spasmodica di primeggiare ancora con la Juve, di conquistarci il tetto d’Italia e d’Europa ha fatto sì che questa motivazione non sia venuta meno. Poi credo che sia un po’ il risultato dell’educazione sportiva che ho ricevuto dai miei genitori, dai valori che mi hanno insegnato, dalla discrezione della mia fidanzata che non ha mai messo bocca sulle mie scelte lavorative e poi sicuramente credo che abbia inciso anche l’amore dei tifosi e della gente e il rispetto e la grande stima che ho per questa dirigenza, da Blanc a Cobolli Gigli, da Secco alla famiglia Agnelli.
Prima di fare una scelta simile ho voluto tastare il terreno con gente come Trezeguet, Del Piero, Nedved e Camoranesi per vedere se c’era la voglia spasmodica di poter riportare in alto questa squadra. Avendo ricevuto delle risposte più che positive sia dal nostro capitano che dagli altri ragazzi, penso che non ci sia niente di più bello che poter sognare e pensare di poter vincere con questo gruppo » . Il portiere è sorridente, soddisfatto. E’ un fiume in piena. E invita gli altri big a seguire il suo gesto. « Mi chiedete se restano tutti? Questa è più che altro la mia speranza, è quello che mi auspico. Se sono rimasto è perché dopo varie valutazioni mi è sembrato che ci sia un progetto importante e che dietro al progetto ci siano delle persone qualificate che lo possano sostenere. Poi chiaramente noi giocatori siamo gli strumenti, quelli che vanno in campo e che devono dare il massimo e fare sì che il prossimo campionato possa diventare il più entusiasmante possibile. Colgo l’occasione per ringraziare la famiglia Agnelli che in ogni momento mi è stata vicina e che avrebbe accettato e rispettato ogni tipo di decisione, grazie di cuore a tutti per avermi fatto fare la scelta migliore » .
Risolto il problema del contratto il portiere è pronto per partire per le vacanze e prepararsi, a livello psicologico, per la prossima stagione che dovrà riportare la Juventus nelle prime posizioni della classifica. l’obiettivo è quello di vincere il più possibile. Il sogno sarebbe quello di conquistare lo scudetto ma ci sono altre squadre più attrezzate. Soprattutto inter e Milan. Gigi Buffon tutte queste cose le conosce alla perfezione ma in cuor suo vuole stupire. Sa bene che l’ambiente bianconero ha in più l’arma dell’entusiasmo e che tutti sognano traguardi ambiziosi. I dirigenti gli hanno regalato certezze: gli hanno promesso una squadra all’altezza della situazione in grado di poter lottare alla pari con le altre big. Naturalmente i tifosi, per la partita di domenica contro lo Spezia, sono pronti a festeggiarlo come un eroe. Per lui sono pronti festeggiamenti mai visti. La gente di fede bianconera lo porterà in trionfo: sono previsti scriscioni e cori, la festa sarà tutta per lui. Gigi la seguirà dal campo ma non giocherà. Giusto che Mirante e Belardi si tolgano la soddisfazione di giocare. Buffon guarderà. Farà il tifo per loro. Nonostante questo sarà la sua giornata. In pochi si aspettavano che continuasse il rapporto con la Juve. L’ha detto lui: un mese fa pensava di andarsene. E in trenta giorni sono cambiate tante cose. Adesso Gigi Buffon ha la possibilità di concludere la carriera nella Juventus. Già, chi l’avrebbe mai detto...

Tuesday, June 05, 2007

ARGENTINA 0-1 ITALIA (MONDIALI 1978)

Agli ordini dell'arbitro israeliano Kle­in, il migliore del mondiale, Ita­lia ed Argentina scendevano in campo in un incontro denso di significati. L'Italia era indicata come la migliore formazione del mondiale, all'Argentina venivano riconosciuti come decisivi i van­taggi del fattore ambientale. La sfida venne affrontata seriamen­te dai due tecnici che allinearo­no le formazioni migliori. Italia: Zoff, Gentile, Bellugi (dal 6' Cuc­cureddu), Scirea, Cabrini; Benet­ti, Tardelli, Antognoni; Causio, Rossi, Bettega. E Argentina: Fillol; Olguin, Luis Galvan, Passarella, Tarantini; Ardiles, Gallego, Valencia; Bertoni, Kempes, Ortiz. Davanti a 76.000 spet­tatori, ammutoliti dalla superio­rità tecnica degli azzurri, dalla personalità di una squadra che comandava il gioco a suo pia­cimento, che si accendeva im­provvisamente del genio di Ros­si, dell'abilità di Bettega, del mo­vimento instancabile e possente di Romeo Benetti, della fresca vivacità di Cabrini, dell'efficacia di un Gentile superbo che can­cellava dal campo Kempes, la tifoseria argentina attendeva il momento della verità che Fillol aveva evitato nel primo tempo con una prodezza eccezionale su tiro ravvicinato di Bettega, ma che non poteva essere ulterior­mente procrastinato. Al 67' Ca­brini allunga ad Antognoni che cerca Bettega sulla tre quarti ar­gentina. «Cabeza bianca» si por­ta in avanti e detta a Rossi un triangolo che «Pablito» è pron­to a disegnare con il tacco, la palla è in area sui piedi di Bet­tega, tiro preciso di destro nel!' angolo basso alla destro di Fil­lol colto in uscita. E' il gol-par­tita ed è anche il più bel gol del mondiale, l'Italia resterà al River Plate e la vittoria resterà se­gnata per sempre nel libro d'oro azzurro come una delle più belle di tutta la sua storia.
Poche squa­dre europee, forse nessuna ha mai vinto a Buenos Aires, le po­lemiche della vigilia sul gioco a perdere per risparmiare fiato fanno parte di un bagaglio di furbizie che sarebbe meglio di­menticare. Finito il girone di qualificazione s'impone una tre­gua per cercare di capire cosa è successo in una squadra che sembrava composta da un bran­co di derelitti ed invece nel fuo­co della battaglia si è trasfor­mata in una formazione data a 2-1 per la vittoria finale.
In­nanzi tutto l'innesto di un fuoriclasse come «Pablito» Rossi: so­lamente i grandi del calcio han­no la proprietà di trasformare un buon complesso in una gran­de orchestra e Rossi con la linearità ed il genio delle cose facili c'è riuscito immediatamente più dando che ricevendo, perché cer­ti schemi vanno studiati e con Bettega e Causio non c'è stato il tempo per farlo. Poi Cabrini, una grande realtà, un giocatore da cui si temevano ripercussioni emozionali ed in­vece ha giostrato con le capacità di un veterano di mille battaglie. Poi Gentile, il grande Bettega che a metà torneo era certamente il miglior giocatore del mondiale, il formidabile Scirea finalmente autoritario, Zaccarelli sempre po­sitivo negli innesti che Bearzot operava per dare respiro, ed il grandissimo Causio che fu defi­nito il più sudamericano degli europei. Ma una parte dei meri­ti, oltre che a Bearzot ed ai gio­catori, vanno riconosciuti anche a Radice e Trapattoni che hanno portato a fine stagione giocatori ancora in grado di esprimersi su livelli fisici ottimali ed hanno fornito a Bearzot elementi in gra­do di giostrare sui canoni del calcio moderno che non richiede specializzazioni ma giocatori in grado di operare in qualsiasi zo­na del campo.

Friday, June 01, 2007

RIMANGO AL 75 PER CENTO

VITTORIO OREGGIA
Da Tuttosport di giovedì 31 Maggio 2007

Gianluigi Buffon, sia sincero, per caso ha già scelto se restare alla Juventus o andarsene?
«Quasi, quasi... Con la società siamo rimasti d’accordo che renderemo pubblica la mia decisione dopo la fi­ne del campionato di serie B, cioè in­torno al 15 o 16 giugno».
Però ogni giorno che passa lei sembra sempre più intenziona­to a rimanere: una sensazione giusta?
«In effetti, le probabilità sono mag­giori. Diciamo che rispetto a venti giorni fa si sono capovolte. Prima dell’incontro con i dirigenti erano 49 a 51. E il 51 rappresentava l’addio. Adesso posso sostenere tranquilla­mente che siamo 75 a 25».
Tanta roba. Cosa è successo di così determinante da indurla a cambiare idea?
« Il merito è della nuova dirigenza, che in maniera intelligente ha sapu­to stimolarmi con progetti interes­santi. Mi spiego meglio: sono stati bravi a fare sentire la mia presenza come un fatto fondamentale. In po­che parole, mi hanno raccontato che se non fossi rimasto avrei creato un problema enorme alla Juventus. E, lo confesso, è stato un discorso grati­ficante ».
Promesse?
« No, quelle no. Certo, mi avessero profilato un campionato di stenti, con il traguardo della salvezza da conquistare, avrei ringraziato e tolto il disturbo. Al contrario, ci sono idee chiare. Ci sono ambizioni. Per esem­pio, entrare subito nelle quattro del­la Champions League».
Vincere lo scudetto rimane un’u­topia...
«Le favole esistono ancora, però oc­corre essere realisti».
Un atto d’amore, l’ennesimo, do­po l’anno in serie B...
«Io ho sempre ammesso di essere in­namorato della Juventus. Questa so­cietà mi ha dato tanto, ma persino di più mi hanno dato i tifosi. La gen­te bianconera mi ha dimostrato at­taccamento, rispetto, amore. Per i miei valori si tratta di aspetti uma­ni che contano parecchio. Cercate di capirmi: ogni cosa che ho detto e che dico è frutto di un sentimento».
Viene da strabuzzare gli occhi a sentirla. Lei è come un panda, animale in via di estinzione. Di­venterà il Paolo Maldini della Juventus...
«No, quello è Del Piero. Ma io potrò avere un ruolo di prestigio nella sto­ria del club».
Fosse andato via avrebbe scelto una delle milanesi?
«Sono onesto. L’unica cosa che mi ha infastidito in tutta questa vicenda è stato ascoltare chi sosteneva la tesi del “resta perché nessuno lo vuole”. Una bugia colossale. Avessi voluto andarmene avrei trovato una squa­dra, subito. Per una forma di genti­lezza verso i colleghi coinvolti prefe­risco non fare nomi, però...».
Quattordici milioni di tifosi pen­dono dalle sue labbra...
«E’ un’immagine che non mi piace e che non condivido. Sarebbe come sminuire cento e passa anni di sto­ria. Piuttosto, mi accorgo che la mia scelta è importante e per questa ra­gione non voglio mancare di rispetto ai miei dirigenti, ai miei compagni, ai miei sostenitori. Anzi, se adesso sono più vicino alla Juventus di tre o quattro giorni fa è per una que­stione proprio di rispetto».
Ora può sbottonarsi. Quale tipo di remore si portava dentro?
« La paura, avendo lottato sempre per i massimi obiettivi possibili, di non sopportare una stagione da non protagonista. Poche volte in carriera mi è capitato di perdere due partite di fila, o di subire tre gol a incontro. A me interessava capire se avevo an­cora voglia di tornare a fare grande questo club. E il primo incontro è stato davvero positivo».
Cosa è scattato?
« Qualcosa dentro di me è scattato, sì. Una spinta me l’ha regala la fi­nale di Champions League. Non ho provato invidia ma solo stima profonda nel vedere gente come Mal­dini, Nesta, Pirlo, Gattuso, Inzaghi, Gilardino, Ambrosini che si abbrac­ciava ed esultava. Questa immagine mi ha fatto capire quanto sia fonda­mentale il gruppo: magari non sei fa­vorito in una competizione, però cer­ti valori possono portarti a trionfare. Ecco, quello del Milan è stato un trionfo morale. Io vorrei riuscire a ottenere la stessa cosa, lo stesso ri­sultato ».
Con la Juventus, ovvio...
«Mi sono reso conto che se vinci ma non ti senti parte integrante di un gruppo non riempirai il tuo cuore di gioia. La squadra nella quale mi ri­conosco di più è la Juventus. Il mio sogno è riuscire a vincere con questi ragazzi. Con Del Piero, Nedved, Ca­moranesi. Tra qualche anno».
Quanto siete distanti da Inter, Milan e Roma?
«Siamo competitivi e possiamo rico­prire un ruolo di rilievo all’interno del prossimo campionato. Ne ho par­lato con Del Piero e Camoranesi, ci siamo trovati in sintonia: se rima­niamo tutti e diamo il cento per cen­to di noi stessi, il prossimo anno di­venteremo protagonisti. Naturale, c’è bisogno di costanza».
La prima pietra è l’allenatore che adesso non esiste...
«Una situazione strana, è vero, ma che non mi provoca disagio. Però è scontato che mai come questa volta diventa fondamentale la scelta del nuovo tecnico».
Un salto indietro, all’addio trau­matico di Deschamps...
«Mi hanno colpito i tempi del divor­zio, perché pensavo che rimanesse fi­no all’ultima giornata, invece se n’è andato a due dalla fine. E’ stata una sorpresa che non mi ha lasciato in­differente. Le frizioni erano sotto gli occhi di tutti, però capita. Alla Ju­ventus e alle altre. Prendete Ance­lotti, poverino: per otto mesi è stato sulla graticola e non so neppure per­ché, poi ha vinto la Champions Lea­gue.... Deschamps, ad ogni modo, avrà sempre il mio rispetto: si è mes­so in gioco, per amore della Juventus e per interesse».
E siamo al tormentone Marcello Lippi. Lei un giorno di qualche mese fa se ne uscì con questa frase: se Lippi mi chiama io lo seguo ovunque. Allora?
«Allora non sono il suo sponsor e non desidero esserlo. Lo sponsorizzano i risultati di una carriera straordina­ria. Comunque è indiscutibile che se arrivasse un uomo con la sua storia sarebbe una sicurezza per noi e per i tifosi. Significherebbe, presumo, anche affiancargli giocatori all’al­tezza ».
L’ha sentito al telefono?
«Ci siamo sentiti e visti. Mi pare sia deciso a mantenersi sulle sue posi­zioni fino a quando non si sarà risol­ta la faccenda del figlio. E’ una scel­ta da comprendere, la speranza è che la giustizia vada avanti e non ci sia­no continui rinvii altrimenti non tor­na più in panchina. Ma siccome sia­mo di fronte a una scelta che entra nella sfera familiare, quindi perso­nale, non ritengo sia lecito forzarla».
E il traghettatore?
«Una patata bollente per il club. Non mi sono mai trovato in una situazio­ne simile, dunque non posso espri­mere un giudizio. Per fortuna sono ancora un calciatore e non un diri­gente ».
Se Lippi non cedesse, chi ve­drebbe bene sulla panchina del­la Juventus?
«Qualcuno di carismatico. Qualcuno che appartenga alla storia biancone­ra, che abbia vissuto emozioni vio­lente con la maglia della Juventus sulla pelle».
Buffon, sa che sta per fare felice milioni di persone?
«Io so che amo la Juve. E che la ame­rei anche se me ne andassi».

Thursday, May 31, 2007

ALEX DEL PIERO «BASTA CORI ANTI JUVENTUS»

Da Libero di mercoledì 30 Maggio 2007

TORINO Prima la volontà di rimarcare i torti subiti nel passato e portati alla luce dall'inchiesta su Calciopoli, con quella denominazione orgogliosa data al tricolore assegnato all'inter dalla giustizia sportiva: "lo scudetto degli onesti". Poi, i cori nello spogliatoio di Siena, al momento della riconferma del titolo di campione d'Italia, su tutti il celeberrimo "Senza rubare... vinciamo senza rubare". L'annata nerazzurra è vissuta tutta su questi toni, indubbiamente comprensibili a caldo, ma a detta di qualcuno tirati un po' troppo per le lunghe. La linea interista, però, è stata la stessa e coerente dal maggio scorso ad oggi. L'ultimo a sottolineare che il tempo dovrebbe suggerire al club di via Durini di stemperare i toni della polemica è il capitano bianconero, particolarmente interessato e suscettibile. «Con questa cosa del rubare si sta esagerando nei nostri confronti - attacca Alex Del Piero -, poi in altre situazioni possono pure avere ragione». Un accenno al nuovo fronte aperto dallo striscione rossonero, per il quale la rabbia nerazzurra è più che legittima. Dopo Gattuso e il suo sfogo ad Antenna 3, tocca al simbolo juventino esternare a Repubblica Tv il fastidio rispetto il comportamento della Beneamata. Ma Del Piero parla di molte cose e ne ha per tutti. Chiudendo il discorso inter fa i complimenti, a modo suo, ai rivali per il quindicesimo sigillo tricolore della loro storia. «Hanno avuto la vita un po' agevolata, ma sono stati comunque bravi ad approfittare della situazione». E risponde al cronista che gli chiede cosa farebbe se si trovasse in un ascensore in compagnia di Luciano Moggi: «Lo saluterei e lo starei ad ascoltare, perché è un gran chiacchierone».

Wednesday, May 30, 2007

MARCELLO UOMO GIUSTO IL TEMPO VA AGGIUSTATO

EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di mercoledì 30 Maggio 2007

Tutto e tutti su Lippi. Dai tifosi alla fa­miglia Agnelli perché è con lui e solo con lui che la Juve vuole ricominciare. Pare che di nuovo, rispetto ai giorni pre­cedenti, ci sia il sì di Lippi, ma che di vec­chio, cioè di già conosciuto e di immodi­ficabile, rimanga il quando: non subito, ma tra cinque mesi. Ora, come quasi tut­ti sanno, il quando non è esattamente una questione secondaria. Non lo è per Lippi che vuole e spera che quel tempo sia sufficiente per chiarire la vicenda giudiziaria del figlio Davide ( affare Gea). Non lo è per la Juve, né per l’alle­natore che dovrebbe gestire la vacatio, perché è proprio nella fase preparato­ria della gestione tecnica che si cemen­ta il gruppo, si conoscono a fondo i gio­catori, vengono misurate le loro carat­teristiche e eventualmente rese compa­tibili al progetto tattico ( altri, o in altri casi, preferiscono il contrario), svilup­pato il piano di intervento in rapporto agli obiettivi. Insomma, l’intera fase di impostazione si fa dal primo giorno di ritiro all’inizio del campionato.
Ora se è perfettamente legittimo e som­mamente responsabile da parte di un pa­dre fare da presidio alla propria fami­glia, è altrettanto necessario che una so­cietà di calcio – per di più se si chiama Juventus e se ha bisogno e volontà di riemergere dalla melma di uno scandalo comunque ignominioso – esiga la massi­ma disponibilità di chi la guida fin da su­bito. L’allenatore, ormai in tutte le disci­pline sportive, sta assumendo una rile­vanza fondamentale. Infatti, non è più soltanto l’uomo che deve gestire le risor­se umane di una squadra, ma l’uomo che si mette in sintonia con la società per con­dividere tutta una serie di scelte e atteg­giamenti.
Confermo le parole di chi, come l’azzur­ro- romanista Simone Perrotta, sostiene che Lippi rappresenti la Juve più di qual­siasi altro tecnico e che – questo lo dico io – pure l’avversione a Lippi, naturalmen­te prima che iniziasse l’avventura tede­sca della Nazionale, rafforzava emble­maticamente la natura dell’uomo e la sua provenienza. Dunque è sacrosanto e una­nimemente sostenibile che la Juve voglia Lippi ad ogni costo, ma non può accetta­re di averlo a ottobre o addirittura più avanti. Se così fosse, infatti, finirebbe per essere acuita, e magari cronicizzata, la crisi tecnica aperta da Deschamps; per congelare e, quindi, depotenziare l’entu­siasmo dei tifosi; per regalare ulteriore perplessità ai giocatori in organico e a quelli disponibili a trasferirsi in maglia bianconera.
Non resta che una strada: convincere Lippi a prendere la Juve da luglio. Non c’è nessuna ragione perché un professio­nista serio, onesto e capace, debba teme­re alcunché. Né per il figlio, né dagli uo­mini che devono giudicare.

Tuesday, May 29, 2007

SOLO LE MILANESI HANNO QUESTI SOLDI

VITTORIO OREGGIA
Da Tuttosport di martedì 29 Maggio 2007

Per correggere una pericolosa deriva disfat­tista dopo due giorni molto pesanti, gravidi solo di pessime notizie, Jean Claude Blanc ha deciso di uscire allo scoperto e - come si dice ­di metterci la faccia. Senza paletti dialettici e svelando ciò che per settimane è rimasto segre­to. Quel che ha raccontato l’amministratore de­legato della Juventus può effettivamente tirare su il morale ai quattordici milioni di tifosi ri­masti basiti non tanto dalle dimissioni di Didier Deschamps, quanto piuttosto dal teatrino che ne ha accompagnato l’ufficializzazione. E dal­lo stallo successivo. Blanc è un educatissimo manager francese di estrazione non calcistica, aduso a non raccontare balle, quindi assoluta­mente sincero. Con la stessa schiettezza adope­rata all’inizio della stagione per confessare che ci sarebbero voluti cinque anni per riportare società e squadra ai fasti del passato, ieri ha an­nunciato che almeno la metà dell’aumento di capitale appena varato sarà dirottato sul mer­cato. Con cinquanta milioni di euro, ai quali ve­rosimilmente vanno aggiunti gli undici del con­tratto di sponsorizzazione con Fiat, si possono acquistare campioni di altissimo livello (Chivu, Mexes, Lampard) e si può colmare parte del gap che ora esiste nei confronti di inter, Milan, Roma, Fiorentina. E forse anche della Lazio. Intanto, presto verrà reclamizzato l’arrivo di un campione del mondo, Vincenzo Iaquinta. Il primo di una lunga serie, a quanto sembra.
Cinquanta milioni sono parecchia roba, in Ita­lia solo le milanesi possono contare su un bud­get così elevato; adesso però bisogna che il diesse Secco e il consulente Bettega siano bra­vi a spenderli. Viene pure da chiedersi cosa abbia preteso Deschamps di tanto costoso e dunque di irraggiungibile da non riuscire a trovare un punto di incontro con il club. Ma­gari il simpatico Didì pretendeva un ruolo al­la Ferguson, dimenticando che sir Alex è in grado di esibire uno stato di servizio un po’più ricco del suo. Quello di Ferguson al Manche­ster United è un ruolo delicatissimo che, a na­so, in Italia è ricopribile solo da due perso­naggi di grande spessore professionale: Ca­pello e Lippi. Il primo faticherebbe a varcare i confini di Torino per come si è comportato e per come se n’è andato, il secondo resta - a di­spetto dei reiterati dinieghi - l’obiettivo prin­cipale e dichiarato dell’attuale dirigenza. Con o senza traghettatore. E’ bastato il suo nome, ad esempio, per stoppare la fuga di Buffon: con l’ex ct il portiere resterebbe a occhi chiu­si. La scelta dell’allenatore è considerata ur­gente e nodale ma non può essere compiuta con la fretta addosso. Blanc ha tracciato l’i­dentikit del nuovo tecnico: geneticamente ju­ventino, tosto, esperto, carismatico. Doveva solo aggiungere con i capelli argentati.

IL CASO IBRAHIMOVIC E' UN PASTICCIO DI MORATTI

LUCIANO MOGGI
Da Libero di martedì 29 Maggio 2007

L'intervista di Ibrahimovic rilasciata a questo giornale è diventata un caso e ha scatenato molto clamore nei media. Un maggior autocontrollo e una migliore capacità di informarsi in tempo reale sarebbero stati sufficienti per dare il giusto significato alla vicenda. Così, invece, non è avvenuto: colpa della predisposizione di Moratti nel vedere dappertutto ombre in chiave anti-inter, anche quando ombre non ce ne sono. I fatti. Nell'intervista Ibra parla di "organizzazione all'interno di una società", dice come sia fondamentale poter far affidamento su "organizzatori" di livello e, bontà sua, a riguardo fa il mio nome. Apriti cielo! A questo punto in casa inter si reagisce come morsi dalla tarantola. Moratti dice che Ibra non è stato capito, che è caduto in un tranello (secondo altri si tratta di un'imboscata, ma fa lo stesso), parla di «una brutta cosa fatta a un ragazzo giovane». In questo modo il numero uno dell'inter fa passare lo svedese alla stregua di un giovanotto che non può fare a meno della balia. E invece Ibra è tutt'altro, un calciatore immenso ma anche un maestro di riflessione quando bisogna dire le cose come stanno. E certo lo svedese non cambia opinione per "richiami" o cose simili.

La cattiva comunicazione e l'autogol del patron
Ma c'è di più. Il patron nerazzurro dice la sua a margine degli interminabili baccanali post inter-Toro senza sapere (e nessuno dei suoi glielo dice), che nel frattempo Ibra ha già parlato a "Sky" confermando punto per punto tutta l'intervista, soprattutto dove tratta della mia persona («Moggi è bravo ad organizzare»). Non contento, Moratti tira in ballo anche Ancelotti a proposito di una dichiarazione rilasciata dall'allenatore rossonero («C'è un insospettabile che vuole venire al Milan»); il patron ammonisce il tecnico, ma quest'ultimo non aveva fatto alcun riferimento all'inter, nè tantomeno a Ibrahimovic. Totale: Moratti cade in un nuovo errore di comunicazione e realizza un clamoroso autogol: vuoi vedere che così facendo ha svelato quello che Ancelotti non voleva rivelare? Per la cronaca il tecnico di Reggiolo commenterà: «Io non devo essere simpatico a Moratti...». Viene in mente un'unica conclusione: il "caso" Ibrahimovic è stato creato unicamente da patron Moratti, che dovrebbe dare una sveglia anche ai suoi collaboratori per garantirsi un'informazione in tempo reale.

Monday, May 28, 2007

HO RIPRESO LA MIA LIBERTA'

ELVIRA ERBI’
Da Tuttosport di lunedì 28 Maggio 2007

LA VOCE è ferma, abbastanza serena, anche se un po’ di de­lusione traspare, qui e là. La determinazione, poi, è la solita: quella che gli consentiva di es­sere un leader in campo, un ca­talizzatore, un trascinatore. Ma un basco non si piega e quindi non si spezza. Mai. Co­sì adieu Juve, e viva la libertà. Didier Deschamps parla ai microfoni di Rmc e nel contor­no c’è chi spiega il retroscena del divorzio più clamoroso del­l’anno. Si racconta di un in­contro, l’ultimo, sabato sera, con l’ad Jean Claude Blanc; un incontro cruento, durissi­mo, al limite dello scontro fisi­co. E fine di un amore. Gli han­no fatto la pelle, a Didì. Che non accetta l’umiliazione e se ne va a testa alta. Gli fanno ascoltare Blanc, prima di com­mentare. Ecco il concetto, duro e puro: « Nessuno è indispen­sabile. Lui è stato un grande giocatore ma la Juve prose­guirà con umiltà. Significa che se uno va via, la Juve rimane. E’ stato così per 109 anni e co­sì continuerà a essere. Una grande società di football come la Juve, un monumento dello sport, prende le decisioni sen­tendo tutti, ma alla fine la re­sponsabilità è del vertice: uno deve accettare di lavorare in questo contesto. Non è facile per un allenatore». Coraggio, Didì, rispondi: «Di­cono che il modo di funzionare del club è quello e l’allenatore si deve adattare. Io non volevo certo decidere tutto... Sempli­cemente, avevo incontrato dif­ficoltà quest’anno e avevo bi­sogno di capire come ci si sa­rebbe organizzati. Ho compiu­to un’analisi completa e ho in­contrato Blanc, mercoledì scor­so: l’ho informato che davo le dimissioni. Il club ha chiesto di differirle di una settimana, ma l’informazione è uscita prima. Sabato sera ci siamo re-incon­trati e ho deciso di rassegnar­le subito. Si stava organizzan­do la prossima stagione, che sarà ancora più difficile: sono attesi grandi risultati, soprat­tutto dai tifosi, e partendo da questa considerazione un tec­nico ha bisogno di lavorare in un clima di tranquillità e di se­renità. Così ho preso la deci­sione migliore per me » . Che non suona come un compli­mento per i bianconeri...
Gli evocano i contrasti con il ds Alessio Secco. «Non erano solo rose nel club, con alcune divergenze. E se non è possibi­le lavorare armonicamente, meglio separarsi. Non potevo continuare, allo stato delle co­se. Non sono triste, ho deciso io. Ero tornato anche per una scelta affettiva, tornare lì do­ve avevo giocato. Sono molto soddisfatto del percorso com­piuto. La speranza era prose­guire anche in serie A, ma pur­troppo non sarà il caso». E ri­torna al mercoledì catartico. «La discussione è stata lunga, hanno chiesto di aspettare una settimana appunto perché le dimissioni non erano scritte. Siccome però la notizia è usci­ta prima, allora ci siamo ritro­vati con Blanc per rescindere il contratto». Omette il ring me­taforico, per non incorrere nel­l’ira di qualcuno. «L’ambizione alla Juve c’è ed è elevata, la pressione di tifosi e stampa per l’annata che verrà anche. Comprendo Blanc che difende il club e io non mi sento indi­spensabile.
Ho avuto la chance di guidare un gruppo di gioca­tori super anche dal punto di vista umano. Insieme, abbia­mo intrapreso un bel percorso professionale. Ma la realtà è questa: la Juve, è vero, rimane e scriverà nuove pagine ap­passionanti senza di me. Io va­do via e non provo rancore. I colori bianconeri resteranno nel mio cuore, così i suoi sup­porter che mi sono stati vicini durante tutta la stagione. Io non sono il club, ma so benis­simo che la responsabilità dei risultati, alla fine, è dell’alle­natore. E se mi devo rompere lo voglio fare con le mie idee. Certo che se uno non si adatta va via e arriva un altro al suo posto...».
Lanciano il commento di Giovanni Cobolli Gigli, in perfetto francese, in questi me­si la lingua ufficiale della Vieil­le Dame. «Non mi fa piacere la sua uscita. Lui ha accettato la serie B a - 30. Dobbiamo rin­graziarlo, Deschamps». E Didì si rallegra. « Il presidente ha sempre manifestato il suo so­stegno, ma chi decide... decide. E bisogna adattarsi». Il refrain sembra quasi una maledizio­ne. Adattarsi, una situazione mentalmente lontana anni lu­ce dall’uomo di Bayonne. Me­glio ripercorre qual che di po­sitivo ha caratterizzato l’av­ventura agli inferi, andata e ri­torno. «Il clima di fiducia crea­tosi tra me e i giocatori. Ovvio, nelle squadre non mancano le tensioni, gli attriti, ma con lo­ro la relazione umana era di alto livello. Oltre al lavoro quo­tidiano, loro che sono gli attori protagonisti, hanno apprezza­to anche i rapporti».
Vruuum, e riparte un con­tributo sonoro. E’ Jean Alain Boumsong che commenta con disappunto la nuova situazio­ne. «Sono approdato alla Juve anche per lui, sì per la fiducia che Didier aveva dimostrato nei miei confronti. Adesso, la separazione mi lascia un po’ perplesso; sono toccato profon­damente dall’evento». E il mi­ster prova a soccorrere il co­losso d’ebano, a parole. «Jean Alain, dopo un periodo logico di adattamento, non solo per la lingua, si è preso le sue soddi­sfazioni, perché era tra i più criticati. La mia partenza non è stata una bella cosa per lui, ma possiede un potenziale e un buon margine di migliora­mento ». Chissà quanto si ras­sicurerà il difensore orfano del suo mentore...
L’argomento futuro non sfugge a monsieur l’ex juventi­no, che per il futuro ha rotto con il presente. «Il mercato? E’ fondamentale che i migliori re­stino tutti e che altri bravi gio­catori si aggiungano. La con­correnza non manca, la Juve è sempre la Juve, ma senza la Champions può avere un han­dicap in più. Detto questo, la Juve rimane un club che inte­ressa i grandi giocatori». Spe­ranza che si fonde con poche certezze, al momento. Avvenire nebuloso o colorato d’azzurro? «Parte l’aumento di capitale, e forse per questo volevano ri­mandare le comunicazioni alla prossima settimana. In quanto al mio, di futuro, ora osservo che la situazione è cambiata: ho ritrovato la mia libertà, so­no disponibile ad allenare al­trove, vediamo quale proposte giungeranno. Ho sentito che il presidente del Lione Aulas mi ha citato: prima lui aveva Houllier e io ero sotto con­tratto alla Juve, quindi non ab­biamo discusso, ma adesso ve­drò se c’è una soluzione che mi conviene. Preferenze? Nessu­na. Così come da giocatore, io aspiro a vincere. Ripeto: ritro­vo la mia libertà, con tranquil­lità e non detto i tempi per la ripresa » . Tic tac, l’intervista­confessione è scaduta. Alla prossima...