EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di lunedì 2 Aprile 2007
Nel giorno di Giancarlo Abete presidente della Federcalcio non saremo certo noi a guastargli la festa. Sia perché conosciamo la persona e il dirigente – serio, specchiato, affidabile –, sia perché ne abbiamo apprezzato la carriera di lungo corso fatta, oltre che di competenza, di sobrietà e pazienza. Ci sembra però una congiuntura poco favorevole quella che colloca la sua elezione esattamente nella fase in cui l’oblio per Calciopoli raggiunge il punto estremo. Tanto da far dire a chi ne è stato fedele testimone che forse questo scandalo è stato un’allucinazione o un brutto sogno.
E’ il caso del direttore de La Gazzetta dello Sport, Carlo Verdelli, che nell’editoriale di ieri ha raccontato il proprio sconcerto, dando però anche una stilettata ad Abete. Del quale, tra l’altro, loda il «grande passato, anche un po’ troppo visto che è stato il vice di Carraro, e quindi nella cabina di comando mentre ai piani di sotto banchettava la gente di Moggiopoli. Non se ne sarà accorto, mettiamola così».
Sinceramente pensavo a una conclusione un po’ meno morbida e accomodante. Sia perché, condividendo ogni passaggio del pezzo di Verdelli, sarebbe stata logica. Sia perché sostenere Abete con queste argomentazioni equivale a dire che Roberto Bettega, vicepresidente della Juve all’epoca della Triade, di cui faceva parte assieme a Giraudo e Moggi, oggi potrebbe guidare la società al posto di Cobolli Gigli o essere parte del Consiglio di Amministrazione. Ovvio che non possa essere così. Tant’è che Bettega ricopre il ruolo di consulente di mercato, a testimonianza, da una parte, della sua assoluta estraneità allo scandalo e dunque del suo diritto a proseguire un certo lavoro; dall’altra, di una presa di distanza, anche formale, rispetto ad una gerarchia del passato non più riproducibile. Chiedo scusa a Bettega se mi sono permesso l’accostamento con Abete (il quale è, e resta, un galantuomo), ma credo che il paragone sia calzante. Nel senso che, pur non avendo colpe, sta pagando la frequentazione di rapporti e di lavoro con Moggi e Giraudo, mentre altri, nella medesima situazione, vengono premiati addirittura con il massimo incarico istituzionale.
Per come la vedo io – e l’ho scritto su Tuttosport di sabato 24 marzo – la presidenza della Figc ad Abete, oltre a dimostrare la povertà formativa del sistema sportivo italiano a proposito di dirigenti, è un segnale d’allarme perché potrebbe contemplare il ritorno al vertice anche di Antonio Matarrese, attuale presidente di Lega (come fu venticinque anni fa), quale vice-presidente. E, soprattutto, perché prelude al rientro di Franco Carraro – il primo dei grandi graziati dalle sentenze di quarto o quinto grado di Calciopoli – al comando di Euro 2012.
La verità è che a pagare duramente è stata solo la Juve in termine di scudetti sottratti e revocati (2), retrocessione in B, estromissione dalla Champions per due anni, squalifiche dei dirigenti. Realizzata quest’opera di annientamento, tutto (perfino Carraro) può tornare come prima. E le ragioni – pratiche ma non per questo meno condivisibili – si concentrano intorno alla necessità di ottenere l’organizzazione di Euro 2012. Per la quale serve avere un presidente e una Federazione funzionanti. Ma siamo sicuri che con gli uomini del vecchio apparato l’Italia ci riuscirà meglio che svecchiando, rinnovando e ripulendo com’era stato demagogicamente promesso?
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di lunedì 2 Aprile 2007
Nel giorno di Giancarlo Abete presidente della Federcalcio non saremo certo noi a guastargli la festa. Sia perché conosciamo la persona e il dirigente – serio, specchiato, affidabile –, sia perché ne abbiamo apprezzato la carriera di lungo corso fatta, oltre che di competenza, di sobrietà e pazienza. Ci sembra però una congiuntura poco favorevole quella che colloca la sua elezione esattamente nella fase in cui l’oblio per Calciopoli raggiunge il punto estremo. Tanto da far dire a chi ne è stato fedele testimone che forse questo scandalo è stato un’allucinazione o un brutto sogno.
E’ il caso del direttore de La Gazzetta dello Sport, Carlo Verdelli, che nell’editoriale di ieri ha raccontato il proprio sconcerto, dando però anche una stilettata ad Abete. Del quale, tra l’altro, loda il «grande passato, anche un po’ troppo visto che è stato il vice di Carraro, e quindi nella cabina di comando mentre ai piani di sotto banchettava la gente di Moggiopoli. Non se ne sarà accorto, mettiamola così».
Sinceramente pensavo a una conclusione un po’ meno morbida e accomodante. Sia perché, condividendo ogni passaggio del pezzo di Verdelli, sarebbe stata logica. Sia perché sostenere Abete con queste argomentazioni equivale a dire che Roberto Bettega, vicepresidente della Juve all’epoca della Triade, di cui faceva parte assieme a Giraudo e Moggi, oggi potrebbe guidare la società al posto di Cobolli Gigli o essere parte del Consiglio di Amministrazione. Ovvio che non possa essere così. Tant’è che Bettega ricopre il ruolo di consulente di mercato, a testimonianza, da una parte, della sua assoluta estraneità allo scandalo e dunque del suo diritto a proseguire un certo lavoro; dall’altra, di una presa di distanza, anche formale, rispetto ad una gerarchia del passato non più riproducibile. Chiedo scusa a Bettega se mi sono permesso l’accostamento con Abete (il quale è, e resta, un galantuomo), ma credo che il paragone sia calzante. Nel senso che, pur non avendo colpe, sta pagando la frequentazione di rapporti e di lavoro con Moggi e Giraudo, mentre altri, nella medesima situazione, vengono premiati addirittura con il massimo incarico istituzionale.
Per come la vedo io – e l’ho scritto su Tuttosport di sabato 24 marzo – la presidenza della Figc ad Abete, oltre a dimostrare la povertà formativa del sistema sportivo italiano a proposito di dirigenti, è un segnale d’allarme perché potrebbe contemplare il ritorno al vertice anche di Antonio Matarrese, attuale presidente di Lega (come fu venticinque anni fa), quale vice-presidente. E, soprattutto, perché prelude al rientro di Franco Carraro – il primo dei grandi graziati dalle sentenze di quarto o quinto grado di Calciopoli – al comando di Euro 2012.
La verità è che a pagare duramente è stata solo la Juve in termine di scudetti sottratti e revocati (2), retrocessione in B, estromissione dalla Champions per due anni, squalifiche dei dirigenti. Realizzata quest’opera di annientamento, tutto (perfino Carraro) può tornare come prima. E le ragioni – pratiche ma non per questo meno condivisibili – si concentrano intorno alla necessità di ottenere l’organizzazione di Euro 2012. Per la quale serve avere un presidente e una Federazione funzionanti. Ma siamo sicuri che con gli uomini del vecchio apparato l’Italia ci riuscirà meglio che svecchiando, rinnovando e ripulendo com’era stato demagogicamente promesso?
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