Tuesday, April 24, 2007

L'EDITORIALE DI PADOVAN

EDITORIALE *
GIANCARLO PADOVAN

Da Tuttosport di lunedì 23 Aprile 2007

Sono sicuro che, purtroppo, non basterà scrivere che l’In­ter ha meritato lo scudetto 2006-2007; ammettere che a vincerlo è stata la squadra migliore e anche la più forte; spie­gare che Roberto Mancini, ben lungi dall’aver dimostrato di essere un grande allenatore (ci vogliono anni e un’umiltà pa­ri alle consapevolezze), ha certamente imboccato la strada della concretezza professionale (quella umana, invece, è un dono); dire che, in fondo, questo titolo appartiene a Massi­mo Moratti almeno quanto a Giacinto Facchetti, l’uomo che all’inter ha tentato – in parte riuscendovi e in parte no – di cambiare mentalità al club.
Non basterà perché – come sappiamo dall’estate scorsa e co­me dimostra il reciproco risentimento sull’asse Torino-Mi­lano – l’inter vince sul campo il proprio tricolore nella sta­gione in cui, per la prima volta nella storia dei campionati ita­liani, non c’è stata la Juve. E’ vero, si tratta di una respon­sabilità non direttamente riconducibile ai nerazzurri. Tuttavia l’assenza della Juve dalla competizione è un fatto oggettivo e come ta­le incontestabile. Allo stesso modo è indubitabile che la con­correnza di questa stagione sia stata minore per ampiezza e qualità rispetto almeno all’ultimo quinquennio. Anche di­ciotto anni fa, all’epoca del remoto trionfo interista firmato da Giovanni Trapattoni, il Napoli, il Milan, la Juve e la Sampdoria formavano un pacchetto di antagoniste assai più nutrito e qualificato della pur apprezzatissima Roma di Spal­letti. Quest’anno, poi, le penalizzazioni di Milan, Fiorentina, Lazio, Reggina, Siena hanno contribuito a rendere lo schie­ramento di partenza così anomalo da apparire tecnicamen­te contraffatto.
Ma non è solo il contesto la ragione per la quale lo scudetto interista sarà passibile di una valutazione critica non priva di eccezioni e distinguo. C’è anche che, in un rapporto diretto tra causa (retrocessione della Juve in serie B) ed effetto (ne­cessità di svendere i propri campioni indisponibili ad accet­tare il declassamento), l’inter si è rinforzata in maniera de­cisiva con gli acquisti di Vieira e Ibrahimovic. Quindi è sta­to proprio pescando a piene mani dall’avversario più dete­stato che Moratti ha trovato la spinta per fare il vuoto in una fuga senza inseguitori. Ovvio, nessuno vuol sostenere che quei giocatori Moratti li abbia sottratti indebitamente. Li ha regolarmente pagati e i nuovi dirigenti della Juve sono stati addirittura felici di cederli (chissà perché, ma è così). Anche in questo caso, se da una parte è giusto riconoscere che nel­l’inter il rendimento di Ibrahimovic mai era stato così alto e costante, dall’altra va ricordato che tanto lo svedese quanto Vieira erano scelte ascrivibili all’acume tecnico e mercanti­le dello staff dirigenziale juventino, composto dagli odiati Moggi, Giraudo e Bettega.
La contraddizione più palese, però, riguarda la rivendica­zione dello scudetto della stagione scorsa, espressa a più ri­prese e con estrema energia da Mancini e Moratti. Al tecni­co, fin dalla settimana passata, ha risposto Vieira dicendo che quello attuale è il suo secondo scudetto italiano (il primo, l’anno scorso, appunto, in bianconero). Invece a Moratti, che negli ultimi giorni ha fatto prevalere un’astiosa e ingiustifi­cata conflittualità sulla legittima soddisfazione per il succes­so, ha replicato proprio Ibrahimovic, il migliore tra gli inte­risti. Urlando che, in Italia, di scudetti lui ne ha collezionati tre. Due con la Juve e uno, giusto ieri, in maglia nerazzurra.

* Editoriale non in versione integrale (ndr.)

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