ANDREA PAVAN
Da Tuttosport di giovedì 5 Aprile 2007
Alla fine, a quelli dell’inter, non è rimasto altro che urlare «serie B, serie B», invitando gli juventini a salutare la capolista: di un altro torneo però, oltre che di un altro mondo e su altri palcoscenici. Perché su quelli calcati insieme, in questa stagione come del resto per troppi anni prima, è per l’inter che non ce n’è. Mai. E non è colpa della Juve (o meglio: non di questa Juve) se le opportunità di confronto diretto - ancorché unidirezionale - sono state solo nei trofei Tim e Moretti e nelle disfide di Primavera. Cinque pappine nella Supercoppa d’autunno, superiorità conclamata anche nella duplice finale di Coppitalia: due a zero senza troppe discussioni mercoledì scorso a Vinovo; uno a uno senza penando zero ieri, sul campo del centro intitolato alla memoria di Facchetti ma alla salute delle centinaia di cadetti bianconeri convenuti a interello, diminutivo mai come stavolta appropriato. E, quale bonus, alla faccia di Mancini, spettatore a bordo campo con la sua sciarpina rosa: appena ha preso a piovere, ha fatto che smammare, forse perché ormai si è abituato a commentare soltanto vittorie. «Evidentemente, l’inter ci porta bene» rileva con goduto distacco Alessio Secco, il diesse di Cobolli che è venuto a rappresentare. «Una società di serie B che batte un club di serie A è sicuramente una gran bella cosa», rimarca con consapevole perfidia Vincenzo Chiarenza, il manico urlatore (non sta zitto un secondo, in panca, al confronto Cosmi e Novellino sono dei dilettanti) cui piace prendersi qualche rivincita dialettica anche nei confronti del suo superiore Deschamps. Figuratevi allora il popolo: un agglomerato ultrà giunto non solo dall’hinterland milanese, considerata l’invasione in tribuna dei ragazzi di Storgato e Maggiora, Allievi e Giovanissimi al completo per alimentare la grancassa bianconera e insieme rinvigorire il ricordo di Riccardo e Alessio, Neri e Ferramosca, morti per un pallone sbagliato da recuperare ma giammai affogati nell’oblio: quello sì sarebbe un delitto. «Lanza’, fame di gol» recitava uno striscione vergato da pennarello fraterno sulle gradinate nel settore ospiti, separato dall’avanguardia di Curva Nord interista (diffidati compresi, a rivendicare l’antica libertà) da un cordone di poliziotti e steward degno d’una finale di Champions. E Lanzafame, appena l’ha schiaffata dentro di volée sul cross di Maniero, proprio là sotto è corso, togliendosi la maglietta come fanno i grandi e chissenefrega dell’ammonizione. C’era la dedica per Ric e Alex da mostrare, «rimarrete sempre nei nostri cuori». Peccato per la deriva tifosa che - malgrado qualche fase di tensione mai sia deragliata in scontri - non ha impedito a sberleffi e insulti di tracimare nell’inconcepibile offesa alla morte, dunque alla vita. Censurare è sempre sbagliato. Anche un coretto come «gobbo maledetto sei caduto nel laghetto ». Meglio denunciare, e reagire, ma con intelligenza. Come ha fatto Giuseppe Rizza, terzino sinistro molestato per l’intera ripresa a bordo rete, dove giocoforza s’avvicinava con frequenza. Si è preso pure delle spruzzate d’acqua via bottiglietta, qualche monito per la serie «ci vediamo fuori», al quale ha replicato con alcune occhiatacce, a condire una prestazione che a livello di imprecazioni è stata tutto un rosario. Però ha tenuto botta e al fischio finale, mentre i compagni s’abbracciavano cantando «chi non salta interista è», ha fatto salire di molto il suo voto in pagella. «Dammi i pantaloncini » gli urlavano per sfotterlo. Lui, dopo averci pensato un poco su, se li è sfilati per passarli, sopra la grata protettiva, nelle mani stupite e forse un poco imbarazzate di chi fin lì l’aveva infamato. Chapeau. «Mi hanno veramente maltrattato, dicendomene di tutti i colori, ma a darmi davvero fastidio è stata la frase “Rizza anche tu nel laghetto”. Però alla fine c’era un’aria al confine con lo scherzo, e allora... ». Allora lui l’ha valicato, con arguzia e saggezza. «Per stemperare la tensione». Giù le braghe, in alto i cuori. La tecnica juventina, di cui il giovine Giovinco è il minuscolo-maiuscolo emblema, almeno a questi livelli fa ancora le scarpe all’esuberanza fisica degli interisti, penalizzati anche da 9 anni d’età media in meno. Ad e dg chiamato con grande classe a far le veci di Moratti, Ernesto Paolillo pratica il fair play che predica: «La Juve ha strameritato, onore alla Juve. Noi abbiamo puntato sulla linea verde per durare negli anni: ma loro sono superiori non solo anagraficamente. Nessun amaro in bocca, sono contento per come abbiamo combattuto: speriamo di rifarci in campionato. E speriamo che le tifoserie, divise ma unite dal buon senso, mantengano una rivalità leale, senza ostilità, anche quando ci ritroveremo in serie A». Dove peraltro, mentre la babyJuve s’annaffia di champagne, i tifosi fanno capire di sentirsi già. Di nuovo. Da sempre. Per sempre. «Non vincete mai» e «i campioni dell’Italia siamo noi». Giusto per ricordare, rimuovendo Calciopoli.
Da Tuttosport di giovedì 5 Aprile 2007
Alla fine, a quelli dell’inter, non è rimasto altro che urlare «serie B, serie B», invitando gli juventini a salutare la capolista: di un altro torneo però, oltre che di un altro mondo e su altri palcoscenici. Perché su quelli calcati insieme, in questa stagione come del resto per troppi anni prima, è per l’inter che non ce n’è. Mai. E non è colpa della Juve (o meglio: non di questa Juve) se le opportunità di confronto diretto - ancorché unidirezionale - sono state solo nei trofei Tim e Moretti e nelle disfide di Primavera. Cinque pappine nella Supercoppa d’autunno, superiorità conclamata anche nella duplice finale di Coppitalia: due a zero senza troppe discussioni mercoledì scorso a Vinovo; uno a uno senza penando zero ieri, sul campo del centro intitolato alla memoria di Facchetti ma alla salute delle centinaia di cadetti bianconeri convenuti a interello, diminutivo mai come stavolta appropriato. E, quale bonus, alla faccia di Mancini, spettatore a bordo campo con la sua sciarpina rosa: appena ha preso a piovere, ha fatto che smammare, forse perché ormai si è abituato a commentare soltanto vittorie. «Evidentemente, l’inter ci porta bene» rileva con goduto distacco Alessio Secco, il diesse di Cobolli che è venuto a rappresentare. «Una società di serie B che batte un club di serie A è sicuramente una gran bella cosa», rimarca con consapevole perfidia Vincenzo Chiarenza, il manico urlatore (non sta zitto un secondo, in panca, al confronto Cosmi e Novellino sono dei dilettanti) cui piace prendersi qualche rivincita dialettica anche nei confronti del suo superiore Deschamps. Figuratevi allora il popolo: un agglomerato ultrà giunto non solo dall’hinterland milanese, considerata l’invasione in tribuna dei ragazzi di Storgato e Maggiora, Allievi e Giovanissimi al completo per alimentare la grancassa bianconera e insieme rinvigorire il ricordo di Riccardo e Alessio, Neri e Ferramosca, morti per un pallone sbagliato da recuperare ma giammai affogati nell’oblio: quello sì sarebbe un delitto. «Lanza’, fame di gol» recitava uno striscione vergato da pennarello fraterno sulle gradinate nel settore ospiti, separato dall’avanguardia di Curva Nord interista (diffidati compresi, a rivendicare l’antica libertà) da un cordone di poliziotti e steward degno d’una finale di Champions. E Lanzafame, appena l’ha schiaffata dentro di volée sul cross di Maniero, proprio là sotto è corso, togliendosi la maglietta come fanno i grandi e chissenefrega dell’ammonizione. C’era la dedica per Ric e Alex da mostrare, «rimarrete sempre nei nostri cuori». Peccato per la deriva tifosa che - malgrado qualche fase di tensione mai sia deragliata in scontri - non ha impedito a sberleffi e insulti di tracimare nell’inconcepibile offesa alla morte, dunque alla vita. Censurare è sempre sbagliato. Anche un coretto come «gobbo maledetto sei caduto nel laghetto ». Meglio denunciare, e reagire, ma con intelligenza. Come ha fatto Giuseppe Rizza, terzino sinistro molestato per l’intera ripresa a bordo rete, dove giocoforza s’avvicinava con frequenza. Si è preso pure delle spruzzate d’acqua via bottiglietta, qualche monito per la serie «ci vediamo fuori», al quale ha replicato con alcune occhiatacce, a condire una prestazione che a livello di imprecazioni è stata tutto un rosario. Però ha tenuto botta e al fischio finale, mentre i compagni s’abbracciavano cantando «chi non salta interista è», ha fatto salire di molto il suo voto in pagella. «Dammi i pantaloncini » gli urlavano per sfotterlo. Lui, dopo averci pensato un poco su, se li è sfilati per passarli, sopra la grata protettiva, nelle mani stupite e forse un poco imbarazzate di chi fin lì l’aveva infamato. Chapeau. «Mi hanno veramente maltrattato, dicendomene di tutti i colori, ma a darmi davvero fastidio è stata la frase “Rizza anche tu nel laghetto”. Però alla fine c’era un’aria al confine con lo scherzo, e allora... ». Allora lui l’ha valicato, con arguzia e saggezza. «Per stemperare la tensione». Giù le braghe, in alto i cuori. La tecnica juventina, di cui il giovine Giovinco è il minuscolo-maiuscolo emblema, almeno a questi livelli fa ancora le scarpe all’esuberanza fisica degli interisti, penalizzati anche da 9 anni d’età media in meno. Ad e dg chiamato con grande classe a far le veci di Moratti, Ernesto Paolillo pratica il fair play che predica: «La Juve ha strameritato, onore alla Juve. Noi abbiamo puntato sulla linea verde per durare negli anni: ma loro sono superiori non solo anagraficamente. Nessun amaro in bocca, sono contento per come abbiamo combattuto: speriamo di rifarci in campionato. E speriamo che le tifoserie, divise ma unite dal buon senso, mantengano una rivalità leale, senza ostilità, anche quando ci ritroveremo in serie A». Dove peraltro, mentre la babyJuve s’annaffia di champagne, i tifosi fanno capire di sentirsi già. Di nuovo. Da sempre. Per sempre. «Non vincete mai» e «i campioni dell’Italia siamo noi». Giusto per ricordare, rimuovendo Calciopoli.
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