Friday, April 06, 2007

CON NOI NON VINCETE MAI

ANDREA PAVAN
Da Tuttosport di giovedì 5 Aprile 2007

Alla fine, a quelli dell­’inter, non è rimasto altro che urlare «serie B, serie B», invi­tando gli juventini a salutare la capolista: di un altro torneo però, oltre che di un altro mon­do e su altri palcoscenici. Perché su quelli calcati insieme, in que­sta stagione come del resto per troppi anni prima, è per l’inter che non ce n’è. Mai. E non è col­pa della Juve (o meglio: non di questa Juve) se le opportunità di confronto diretto - ancorché unidirezionale - sono state solo nei trofei Tim e Moretti e nelle disfide di Primavera. Cinque pappine nella Supercoppa d’au­tunno, superiorità conclamata anche nella duplice finale di Coppitalia: due a zero senza troppe discussioni mercoledì scorso a Vinovo; uno a uno sen­za penando zero ieri, sul campo del centro intitolato alla memo­ria di Facchetti ma alla salute delle centinaia di cadetti bian­coneri convenuti a interello, di­minutivo mai come stavolta ap­propriato. E, quale bonus, alla faccia di Mancini, spettatore a bordo campo con la sua sciarpi­na rosa: appena ha preso a pio­vere, ha fatto che smammare, forse perché ormai si è abituato a commentare soltanto vittorie. «Evidentemente, l’inter ci por­ta bene» rileva con goduto di­stacco Alessio Secco, il diesse di Cobolli che è venuto a rappre­sentare. «Una società di serie B che batte un club di serie A è si­curamente una gran bella cosa», rimarca con consapevole perfi­dia Vincenzo Chiarenza, il ma­nico urlatore (non sta zitto un secondo, in panca, al confronto Cosmi e Novellino sono dei di­lettanti) cui piace prendersi qualche rivincita dialettica an­che nei confronti del suo supe­riore Deschamps. Figuratevi allora il popolo: un agglomerato ultrà giunto non solo dall’hin­terland milanese, considerata l’invasione in tribuna dei ragaz­zi di Storgato e Maggiora, Al­lievi e Giovanissimi al completo per alimentare la grancassa bianconera e insieme rinvigorire il ricordo di Riccardo e Alessio, Neri e Ferramosca, morti per un pallone sbagliato da recupe­rare ma giammai affogati nell’o­blio: quello sì sarebbe un delitto. «Lanza’, fame di gol» recitava uno striscione vergato da pen­narello fraterno sulle gradinate nel settore ospiti, separato dal­l’avanguardia di Curva Nord in­terista (diffidati compresi, a ri­vendicare l’antica libertà) da un cordone di poliziotti e steward degno d’una finale di Cham­pions. E Lanzafame, appena l’ha schiaffata dentro di volée sul cross di Maniero, proprio là sotto è corso, togliendosi la ma­glietta come fanno i grandi e chissenefrega dell’ammonizione. C’era la dedica per Ric e Alex da mostrare, «rimarrete sempre nei nostri cuori». Peccato per la de­riva tifosa che - malgrado qual­che fase di tensione mai sia de­ragliata in scontri - non ha im­pedito a sberleffi e insulti di tra­cimare nell’inconcepibile offesa alla morte, dunque alla vita. Censurare è sempre sbagliato. Anche un coretto come «gobbo maledetto sei caduto nel laghet­to ». Meglio denunciare, e reagi­re, ma con intelligenza. Come ha fatto Giuseppe Rizza, terzino si­nistro molestato per l’intera ri­presa a bordo rete, dove gio­coforza s’avvicinava con fre­quenza. Si è preso pure delle spruzzate d’acqua via bottigliet­ta, qualche monito per la serie «ci vediamo fuori», al quale ha replicato con alcune occhiatacce, a condire una prestazione che a livello di imprecazioni è stata tutto un rosario. Però ha tenuto botta e al fischio finale, mentre i compagni s’abbracciavano can­tando «chi non salta interista è», ha fatto salire di molto il suo vo­to in pagella. «Dammi i panta­loncini » gli urlavano per sfotter­lo. Lui, dopo averci pensato un poco su, se li è sfilati per passar­li, sopra la grata protettiva, nel­le mani stupite e forse un poco imbarazzate di chi fin lì l’aveva infamato. Chapeau. «Mi hanno veramente maltrattato, dicen­domene di tutti i colori, ma a darmi davvero fastidio è stata la frase “Rizza anche tu nel la­ghetto”. Però alla fine c’era un’a­ria al confine con lo scherzo, e al­lora... ». Allora lui l’ha valicato, con arguzia e saggezza. «Per stemperare la tensione». Giù le braghe, in alto i cuori. La tecnica juventina, di cui il giovine Giovinco è il minusco­lo-maiuscolo emblema, almeno a questi livelli fa ancora le scar­pe all’esuberanza fisica degli in­teristi, penalizzati anche da 9 anni d’età media in meno. Ad e dg chiamato con grande classe a far le veci di Moratti, Ernesto Paolillo pratica il fair play che predica: «La Juve ha strameri­tato, onore alla Juve. Noi abbia­mo puntato sulla linea verde per durare negli anni: ma loro sono superiori non solo anagrafica­mente. Nessun amaro in bocca, sono contento per come abbiamo combattuto: speriamo di rifarci in campionato. E speriamo che le tifoserie, divise ma unite dal buon senso, mantengano una ri­valità leale, senza ostilità, anche quando ci ritroveremo in serie A». Dove peraltro, mentre la babyJuve s’annaffia di champa­gne, i tifosi fanno capire di sen­tirsi già. Di nuovo. Da sempre. Per sempre. «Non vincete mai» e «i campioni dell’Italia siamo noi». Giusto per ricordare, ri­muovendo Calciopoli.

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