Tuesday, April 17, 2007

CORAGGIO DIDIER C’E’ UNA SOLUZIONE

EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di martedì 17 Aprile 2007

In questi giorni Didier Deschamps non sem­bra tranquillo. Eppure avrebbe molte ra­gioni per esserlo. In fin dei conti a prendere la Juve per sollevarla dalla serie B (e da una non proprio leggera penalizzazione), dopo che la sventura aveva scoperchiato il tetto e minato le fondamenta del club, c’era più da perdere che da guadagnare. Sia perché la Juve è sempre la Juve e, se non va al massimo, le turbolenze so­no all’ordine del giorno; sia perché si trattava di un’avventura al buio. Non c’era solo da sco­prire l’effetto di una retrocessione traumatiz­zante, si trattava anche di incrementare, da una parte lo spirito di reazione, dall’altra la sopportazione di un ambiente perplesso, ri­sentito, angosciato. Fabio Capello, tanto per dire l’ultimo che sulla panchina bianconera stava seduto, si era subito dato da fare prima verso Moratti (non fosse esploso lo scandalo sarebbe finito in nerazzurro), poi con quei di­rigenti così sicuri di portare a termine la sca­lata al Real Madrid. Deschamps, illuso da Moggi e Giraudo giusto due anni prima e poi bruciato sul traguardo proprio da Capello, al­tro non sembrava che l’uomo del pronto in­tervento, lucido e paziente nei giorni torridi in cui tutto sembrava compromesso (la richiesta di retrocessione in serie C1, la prima condan­na alla serie B con 30 punti sotto zero), inerte di fronte alla fuga dei campioni veri e presun­ti, muto e solitario al cospetto di uno scenario di devastazione.
Con Deschamps non sono mai stato tenero. An­zi, come a volte mi capita, fin troppo esigente e, in qualche occasione, spietato. Tuttavia non si trattava né di un fatto personale (sarebbe stupido prima che ingiusto), né di prevenzione o nostalgia, meno che mai di antipatia o di al­tre motivazioni legate alla sfera dell’umora­lità: è che proprio la sua Juve poche volte ha giocato da squadra e quasi mai da grande squadra. Se, però, come ho ammesso, guidar­la era un’impresa tanto per lui quanto per il nuovo management (Cobolli Gigli, Blanc, Sec­co), è giusto ora almeno riconoscergli ciò che la classifica annuncia come un dominio.
Spiace, dunque, scoprire Didier accigliato quando invece potrebbe godere le prime gioie di una stagione colma di spine. Tuttavia se il di­sagio dovesse provenire – come crediamo di avere capito – dall’incombere di Marcello Lip­pi, vorrei per quanto mi è possibile rassicura­re l’allenatore francese. Infatti è mia convin­zione che Lippi non stia pensando alla Juve, ma piuttosto che qualcuno alla Juve (dentro o intorno) pensi a lui ben sapendo di non dispia­cergli. Allo stesso modo sono persuaso che Lip­pi – come mi confidò nella primavera del 2004 – guardi al suo futuro senza immaginarsi per forza in panchina. Casomai – me lo disse allo­ra – nel ruolo di direttore tecnico con un colle­ga di campo – bravo, giovane, serio, scrupolo­so e ambizioso – come primo interlocutore. Non si tratta di ridurre Deschamps a fargli, nei fat­ti, da secondo. Casomai di sposare il modello inglese. Lì il responsabile tecnico è anche ge­neral manager, la figura che, secondo me, più è mancata quest’anno alla Juve. Tanto per da­re una dimensione a quel tipo di organizzazio­ne, Alex Ferguson è il manager del Manche­ster United. Ma a dirigere gli allenamenti non è esattamente un carneade, bensì Carlos Quei­roz, ex c.t. del Portogallo e per una stagione (tre anni fa) tecnico in prima del Real Madrid. Pensaci, allora, Didier. E su con la Juve.

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