LUCIANO MOGGI
Da Libero di domenica 29 Aprile 2007
Se qualcuno disgraziatamente si fosse scordato il cosiddetto "scandalo del calcio" ci ha pensato la Gazzetta - alla sua maniera - a rilanciare il sasso a un anno - questo il pretesto dalla sua "esplosione". Richiamo in prima pagina, due pagine all'interno, l'editoriale dell'esperto di Palazzo (lo stesso che diede per certa l'assegnazione degli europei 2012 all'Italia...) il tutto in perfetto Rosea-Style: quando vogliono distruggere qualcuno ce la mettono tutta per raggiungere l'obiettivo. Conosco il gioco e non mi meraviglio, ma penso anche che a tutto dovrebbe esserci un limite. Invito i lettori a leggersi il suddetto editoriale con animo sereno per notare l'acredine, il malanimo, quasi il livore con cui vengono espressi certi concetti. La tecnica è la solita: si cerca di anticipare il processo in chiave mediatica (anzi non il processo, ma addirittura le condanne!), in spregio di un caposaldo fondamentale della civiltà giuridica di ogni Paese, quello della "presunzione d'innocenza", sovrastata nel caso da una affermata (?) "presunzione di colpevolezza". Qualcuno di questi signori vorrebbe tornare ai tempi della gogna in piazza e per il momento si accontentano di crearne i presupposti. La chiave di lettura di questa escalation-bis della Gazzetta mi è arrivata dalla lettura di qualche titolo... per così dire tronfio. Non molto tempo fa il direttore Verdelli provò a spiegare il perché dell'utilizzo del termine "Moggiopoli"; a me, e anche ai più, sembrò un modo per scusarsi a denti stretti, più che per chiarire. Ma dopo la chiusura dell'inchiesta di Napoli il quotidiano milanese ha ritenuto di aver trovato nei capi d'accusa la conferma della validità di quell'appellativo. Nessun pensiero al fatto che poi ci dovrà essere comunque un dibattimento, un processo, e che gli imputati avranno diritto e possibilità di difendersi. La cosa però non interessa a quelli della Gazzetta e soprattutto a quelli che non avevano approvato (ma questo non lo dirà nessuno) la sopracitata chiarificazione del direttore. E così è partita la fase due del processo mediatico. Notate il titolo dell'editoriale: "Moggiopoli: ma non era una bufala?". La questione è tutta lì. Ed infatti l'articolista a conclusione di vari arzigogoli conclude che «sì, "Moggiopoli" è il nome giusto». Tutto questo chiasso per rivendicare così poco. E figuriamoci se qualcuno si preoccupa del danno procurato alla mia persona prima ancora dell'inizio del processo: chi ritiene di poter giudicare tutto e tutti, chi decide le condanne prima che le stesse vengano emesse, non ha dubbi ma solo certezze. La tecnica distruttiva ha anche un'altra faccia, quella della rimozione e cancellazione di tutto ciò che, anche solo in teoria, può entrare in conflitto con il teorema accusatorio (come lo chiama sempre lui - l'esperto del Palazzo). Un esempio? Giovedì Sky News 24 ha mandato in onda un'intervista ad un tecnico esperto di telefonini che dimostrava come si possa chiamare un numero facendo risultare che la chiamata è stata effettuata dal telefono di una terza persona. Un fatto che sia pure solo per completezza di informazione avrebbe dovuto trovare spazio nelle colonne del giornale che a quella vicenda dedica tanto spazio. Invece neppure un rigo, niente di niente.
Sono innocente e riuscirò a dimostrarlo
Voglio dirlo chiaramente: ho piena fiducia nella giustizia. Rispetto i magistrati di Napoli, il loro lavoro, l'impegno che hanno profuso. Allo stesso modo sono certo di poter dimostrare la mia innocenza... Se la Gazzetta mi darà il tempo e l'opportunità di farlo. Le campagne mediatiche - e questa è certamente una di quelle - annientano la resistenza psicofisica di chi vi è coinvolto, costringono gli imputati all'angolo, i princìpi più elementari di civiltà giuridica vengono calpestati e difendersi diventa complicato. Ma credete che tutto questo interessi a quelli della Gazzetta? Figuriamoci. Di più: sembra che questo sia proprio l'obiettivo che vogliono raggiungere. Pazzesco.
Da Libero di domenica 29 Aprile 2007
Se qualcuno disgraziatamente si fosse scordato il cosiddetto "scandalo del calcio" ci ha pensato la Gazzetta - alla sua maniera - a rilanciare il sasso a un anno - questo il pretesto dalla sua "esplosione". Richiamo in prima pagina, due pagine all'interno, l'editoriale dell'esperto di Palazzo (lo stesso che diede per certa l'assegnazione degli europei 2012 all'Italia...) il tutto in perfetto Rosea-Style: quando vogliono distruggere qualcuno ce la mettono tutta per raggiungere l'obiettivo. Conosco il gioco e non mi meraviglio, ma penso anche che a tutto dovrebbe esserci un limite. Invito i lettori a leggersi il suddetto editoriale con animo sereno per notare l'acredine, il malanimo, quasi il livore con cui vengono espressi certi concetti. La tecnica è la solita: si cerca di anticipare il processo in chiave mediatica (anzi non il processo, ma addirittura le condanne!), in spregio di un caposaldo fondamentale della civiltà giuridica di ogni Paese, quello della "presunzione d'innocenza", sovrastata nel caso da una affermata (?) "presunzione di colpevolezza". Qualcuno di questi signori vorrebbe tornare ai tempi della gogna in piazza e per il momento si accontentano di crearne i presupposti. La chiave di lettura di questa escalation-bis della Gazzetta mi è arrivata dalla lettura di qualche titolo... per così dire tronfio. Non molto tempo fa il direttore Verdelli provò a spiegare il perché dell'utilizzo del termine "Moggiopoli"; a me, e anche ai più, sembrò un modo per scusarsi a denti stretti, più che per chiarire. Ma dopo la chiusura dell'inchiesta di Napoli il quotidiano milanese ha ritenuto di aver trovato nei capi d'accusa la conferma della validità di quell'appellativo. Nessun pensiero al fatto che poi ci dovrà essere comunque un dibattimento, un processo, e che gli imputati avranno diritto e possibilità di difendersi. La cosa però non interessa a quelli della Gazzetta e soprattutto a quelli che non avevano approvato (ma questo non lo dirà nessuno) la sopracitata chiarificazione del direttore. E così è partita la fase due del processo mediatico. Notate il titolo dell'editoriale: "Moggiopoli: ma non era una bufala?". La questione è tutta lì. Ed infatti l'articolista a conclusione di vari arzigogoli conclude che «sì, "Moggiopoli" è il nome giusto». Tutto questo chiasso per rivendicare così poco. E figuriamoci se qualcuno si preoccupa del danno procurato alla mia persona prima ancora dell'inizio del processo: chi ritiene di poter giudicare tutto e tutti, chi decide le condanne prima che le stesse vengano emesse, non ha dubbi ma solo certezze. La tecnica distruttiva ha anche un'altra faccia, quella della rimozione e cancellazione di tutto ciò che, anche solo in teoria, può entrare in conflitto con il teorema accusatorio (come lo chiama sempre lui - l'esperto del Palazzo). Un esempio? Giovedì Sky News 24 ha mandato in onda un'intervista ad un tecnico esperto di telefonini che dimostrava come si possa chiamare un numero facendo risultare che la chiamata è stata effettuata dal telefono di una terza persona. Un fatto che sia pure solo per completezza di informazione avrebbe dovuto trovare spazio nelle colonne del giornale che a quella vicenda dedica tanto spazio. Invece neppure un rigo, niente di niente.
Sono innocente e riuscirò a dimostrarlo
Voglio dirlo chiaramente: ho piena fiducia nella giustizia. Rispetto i magistrati di Napoli, il loro lavoro, l'impegno che hanno profuso. Allo stesso modo sono certo di poter dimostrare la mia innocenza... Se la Gazzetta mi darà il tempo e l'opportunità di farlo. Le campagne mediatiche - e questa è certamente una di quelle - annientano la resistenza psicofisica di chi vi è coinvolto, costringono gli imputati all'angolo, i princìpi più elementari di civiltà giuridica vengono calpestati e difendersi diventa complicato. Ma credete che tutto questo interessi a quelli della Gazzetta? Figuriamoci. Di più: sembra che questo sia proprio l'obiettivo che vogliono raggiungere. Pazzesco.