L'INTERVISTA
ELVIRA ERBI'
Da Tuttosport di lunedì 8 Gennaio 2007
Jean Claude Blanc, è amministratore delegato della Juventus dal 29 giugno 2006: sono stati mesi intensi e di intenso lavoro. E il 2007 non sarà da meno...
«Gennaio è un mese importante, sicuro. Ma non è che gli altri saranno di relax, anzi. Nell’ultimo periodo stiamo stringendo i tempi perché sono parecchie le decisioni da prendere. Ogni volta bisogna trovare la soluzione ideale per grandi problemi. E come essere al Tour: una montagna dietro l’altra. E gennaio è il Tourmalet». Un colle definito hors catégorie...
«Già. Sono tante le cose da fare, e una legata all’altra. All’orizzonte si apre una grande opportunità: gli Europei del 2012 e, da calendario Uefa e Figc, il dossier deve essere presentato entro il 15 febbraio. Di conseguenza, 7 città e la Juventus devono ufficializzare la posizione definitiva perché occorre firmare il contratto con la federazione continentale; noi in quanto proprietari del Delle Alpi, unici in Italia. Lo stadio è una priorità, quindi, perché a seconda degli investimenti puoi aumentare visibilità e ricavi. C’è una posizione comune sugli obiettivi della società che sono inseriti nel piano industriale. Ah, devo dire che quello della Juve gode di pubblicità enorme... Non lo discuteremo con la stampa ma con la proprietà. Si tratta di un documento strategico che dovremo appunto condividere con gli azionisti e il Cda. Non è un documento politico, comunque. E non divulgheremo troppo le cifre perché non vogliamo informare la concorrenza, per esempio su quanto sarà disponibile per il mercato ecc...».
La Juve avrà finalmente una sua casa confortevole?
«Stiamo discutendo anche con la città di Torino e con la Federcalcio. E’ l’investimento più importante per un club che adesso è in B con ricavi dimezzati e senza gli introiti della Champions League e che però ha di fronte una chance enorme: decidere che tipo di società vuole essere nel futuro. E noi vogliamo essere leader» .
Una bella dichiarazione d’intenti.
«Vuol dire primeggiare nell’accoglienza e sul campo. Per ottenere tutto ciò serve una squadra competitiva» .
Sono parole che i tifosi attendono ad alta voce, perché regna l’incertezza.
«Dobbiamo valutare e soppesare ogni mossa, con intelligenza e creatività, cercando magari strade alternative. La sfida è cruciale e pensiamo ai tifosi, ovvio. Saranno il pilastro del futuro, la scelta è giusta» .
Ma pare che i campioni siano intenzionati a fuggire. Come fermarli?
«Il nostro mercato è cominciato la scorsa estate e abbiamo dimostrato con determinazione l’impegno; era più facile vendere tutti e invece alla fine abbiamo impostato le strategie per l’avvenire. Tornando al gergo ciclistico, quello è stato il prologo, un buon prologo per la parte sportiva ed economica. Ora la posizione è più facile: dobbiamo tenere i big, non selezionare quali lasciare andare via. Lo spirito nel gruppo è condizionante: in squadra si è creata l’alchimia perfetta tra fuoriclasse e giovani e i risultati lo dimostrano. Il merito, naturalmente, va a Didier Deschamps e allo staff tecnico. Non è semplice motivare partita dopo partita. Con l’apporto del direttore sportivo Alessio Secco e del presidente Giovanni Cobolli Gigli siamo giunti sin qui, giocando bene e con la voglia di vincere, sempre. Sono convinto che Gigi Buffon e Alessandro Del Piero saranno animati dalla volontà di difendere ancora questa maglietta» .
Siete attrezzati per la controffensiva? «Il mercato sarà una partita a scacchi, iniziata per l’appunto l’estate scorsa, quando ancora non sapevamo se avremmo giocato in A o in B, quindi allestendo una rosa valida anche in prospettiva» .
I giocatori non sono tutti uguali.
«Buffon è la persona chiave alla Juve, come e più degli altri giocatori. E’ il migliore al mondo, tutti lo vorrebbero. Per decidere se restare qui o partire vuole sapere cosa vogliamo fare, così potrà fare le sue valutazioni, nelle prossime settimane. Lui e i compagni capiranno bene la realtà e avranno in mano tutto il necessario per decidere, gli argomenti che definiranno cosa significa oggi essere alla Juve, fattori che risulteranno fondamentali nella scelta di ognuno».
Anche Del Piero vuole essere convinto.
«Con Alex e con tutti il discorso è aperto, trasparente. Non vorrei mai che fra sei mesi qualcuno possa dire: Blanc non ha detto la verità. Darò loro gli elementi in mio possesso. Sono professionisti e hanno bisogno di informazioni. Ma non è la settimana prossima a stabilire la storia bianconera: ci sono 109 anni di gloria. La maglia si porta appresso una sua ricchezza, conta qualcosa. E noi vogliamo il meglio» .
Il campionato che verrà diventa snodo cruciale per le vostre ambizioni.
«Sì. La prossima stagione sarà un palcoscenico incredibile per l’intero calcio italiano: godrà di visibilità massima, con Juve, Milan, inter, Palermo, Fiorentina, Roma, tutte sullo stesso piano, senza penalizzazioni. Saranno sfide da alto gradimento. Me ne rendo conto anche sentendo gli addetti ai lavori, gli appassionati. Quando parlo con Michel Platini mi dice: la Juve di qui, la Juve di là, la Juve al centro dei discorsi quest’anno e figurarsi il prossimo, un’opportunità fantastica, con grandi giocatori. E’ come una piramide: prima siamo a un livello, poi si va più su. E la cima è ristretta a pochi».
Quale sarà lo sponsor della Juventus?
«Con Tamoil abbiamo deciso di chiudere il contratto anche perché Tamoil è in vendita e la Oilinvest che ne cura la collocazione non poteva mantenere un impegno gravoso, altrimenti sarebbe stato complicato per loro trovare acquirenti, visto l’accordo decennale con noi. Un comportamento responsabile, lo rispettiamo. Tra i nostri partner, nessuno è andato via in estate. E loro, adesso che stiamo per avere la visibilità di cui si è detto, lasciano... Bene: questa è un’opportunità per la Juve e per un’azienda internazionale. L’anno difficile è quello della B, che pure da noi ha avuto un boom di ascolti e di interesse. Ma il prossimo sarà più importante di qualunque campionato passato in A. Stiamo contrattando con alcune società: internazionali che guardano non solo alla visibilità ma anche ai valori dello sport, al lavoro sui giovani, alla visione globale del calcio che verrà. Alla fine Juve e partner dovranno diventare un connubio. L’annuncio arriverà prima del termine di questa stagione».
Proviamo a tracciare un identikit?
«Aziende italiane con bacino di utenza internazionale, o internazionali che puntano forte anche sul mercato italiano».
Un evento nel suo genere?
«Beh, con la Coppa del Mondo in archivio, le Olimpiadi di Pechino già chiuse come partecipazione economica, gli altri grandi club europei già affiancati, ecco che rimane la Juve come veicolo unico a livello mondiale per far viaggiare il proprio nome» .
Si pensa a un ciclo mediamente lungo?
«Cinque anni, poco più del quadriennio olimpico».
Non è che sulla maglia comparirà il marchio Fiat? Sarebbe una svolta, e anche un segnale preciso della Famiglia.
«Fiat è e resta un importante gruppo internazionale, con visione sul futuro. E siccome nel mondo sportivo restano poche opportunità... ».
Nella sua mente c’è un modello di riferimento? Che so, Arsenal, Manchester, Real Madrid, Barcellona...
«Il modello è la Juventus. Quando si analizza un club trovi chi agisce meglio in un certo settore, ma se guardi alla Juve, nel complesso, è il meglio, è il vero modello. Con umiltà possiamo imparare e ogni giorno, con estrema professionalità, vediamo come e dove crescere. Sì, lavoriamo per essere un modello anche per gli altri».
In Europa si è scatenata la caccia al baby prodigio, di qualsiasi provenienza. Voi come vi comporterete?
«Abbiamo ricostruito il settore scouting con Pasquale Sensibile. Se guardo la Juve dentro, noto uno staff di giovani preparati che offrono il massimo. Quasi quasi io sono tra i più vecchi, con i miei 43 anni... Qui c’è stato un salto di generazione. Abbiamo introdotto un modo di lavorare diverso, come in Fiat dove gli uomini di Sergio Marchionne hanno costruito la svolta».
E’ qui da oltre sei mesi: quali sono stati gli apici dell’emotività?
«Il giorno più bello da quando sono a Torino è stato il primo novembre: la festa per i 109 anni del club, i campioni felici e orgogliosi di appartenere alla storia bianconera, il pubblico che ci è sempre stato vicino, l’amore e l’attaccamento per la squadra. Il giorno più brutto non lo scorderò mai: il 15 dicembre. Un giorno terribile, un lutto inconsolabile, la scomparsa di Alessio e Riccardo ».
Pensa di restare bianconero a vita?
«Io sono qua e devo portare risultati. Con i risultati si rinsalda la fiducia. Se non produci risultati ti cacciano ovunque. Ho rapporti frequenti con John Elkann e Carlo Sant’Albano, l’amministratore delegato dell’Ifil, così come con il presidente Gianluigi Gabetti. C’è particolare vicinanza tra l’Ifil e la società. Con John vengono prese le scelte ritenute giuste per il futuro. E la responsabilità è enorme».
Antonio Giraudo e Luciano Moggi hanno caratterizzato gli ultimi dodici anni. Nel suo modo di lavorare, nel modo di intendere il calcio del nuovo gruppo c’è una presa di distanza rispetto ai precedenti manager?
«Del passato è rimasta la voglia di vincere. Quella non si cambia...».
Come si trova un francese sotto la Mole?
«Sono un vero torinese, adesso. E la mia famiglia vive bene. Ho vissuto in Savoia, a Chambéry e adesso vivo le montagne dell’altra parte. Incredibile prospettiva ».
Sta collezionando imprese di vario genere.
«Devo dire che la mia vita professionale mi ha concesso incredibili opportunità, incontri che arricchiscono. Ho trascorso 13 anni a stretto contatto con Jean Claude Killy, tra l’avventura di Albertville e il Tour de France. Senza tralasciare la Parigi Dakar (allora si chiamava così, oggi il raid motoristico non parte più dalla capitale francese, ndr), il Roland Garros».
Poi, un giorno, si è imbattuto nel giovane John Elkann, nipote di Giovanni Agnelli, erede dichiarato della grande dinastia sabauda.
«Un incontro non organizzato, è nato tutto per caso, a una cena con amici comuni, su terreno neutro, né in Francia, né in Italia. Mi sono trovato al suo fianco, abbiamo cominciato a parlare di sport, della sua visione dello sport, dell’evoluzione inesorabile, di come le esperienze e le peculiarità di eventi come le Olimpiadi si potessero applicare, prima o poi, anche al mondo del calcio. Certo, non tutto è condivisibile fra i vari sport, ma il pallone è un settore che può ricevere molte innovazioni. Ci siamo accorti che avevamo una linea comune, io e John. Abbiamo stabilito un rapporto e dopo alcuni mesi mi ha chiesto se ero disposto a trasferire le mie esperienze alla Juve: così nel 2005 sono entrato nel Cda. Lui ha visto come funzionano gli Open di Parigi, come si fa accoglienza negli impianti del Roland Garros, il feeling con il pubblico, i record battuti, la quantità abbinata alla qualità, il lavoro svolto con le famiglie degli appassionati e con la famiglia del tennis. Un ragazzino di 10 anni può partire dal sud per andare a Parigi a vedere i campioni e poi tornare al suo circolo. Così pure la Federugby porta i giovani al torneo delle Sei Nazioni. Si sensibilizza la base, la si mette in contatto con gli alti livelli, con i valori del campione, che deve essere esempio anche sotto il profilo umano e comportamentale. Ebbene, la Juve nel suo campo deve dare un buon esempio: se un bimbo incontra Alessandro Del Piero incontra il capitano, il simbolo, un atleta che esprime fattori positivi. E sul campo i nostri giocatori devono tenere un comportamento irreprensibile, perché i più piccoli si rifaranno a loro. Insomma, dopo la famiglia, la scuola, anche noi abbiamo un piccolo ruolo educativo, sociale. Alex e Gigi Buffon se agiscono con classe e intelligenza impartiscono una lezione di professionalità ai ragazzi: sì, Gigi che abbraccia un rivale, Ale che non reagisce a un colpo... La Juve vuole dare un messaggio importante: possiamo vincere o perdere (spero mai, o quasi mai, perché è utile non uscire sconfitti), ma sempre dimostrandosi esempio positivo».
Pavel Nedved a Genova era una furia, però.
«Lui ha riconosciuto di non aver dato il meglio di sé, ma per i giocatori è difficile essere perfetti, perché sono sottoposti all’enorme pressione di doversi affermare e la volontà è notevole, come lo spirito agonistico».
Qual è il profilo del gruppo dirigenziale attuale?
«Magari non sarà una tattica vincente, ma non vogliamo essere aggressivi, alzare la voce; vogliamo che le istituzioni riconoscano i nostri meriti, non per avere favori in cambio, ma per essere trattati in modo giusto, equo. Anche i giocatori sono rimasti sorpresi, all’inizio, perché il calcio non è abituato a certi modi di agire, mentre in altri sport è la norma. E il calcio deve cambiare, certo sotto la spinta delle società, ma anche, anzi soprattutto delle istituzioni. Se in sei mesi l’atteggiamento della Juve non sarà vincente, se avrà ragione chi fa sempre casino, la lezione sarà chiara... La nostra squadra gode di enorme visibilità e dopo pochi mesi la situazione è ancora troppo calda, però notiamo che altre società dicono: bravi, così si fa. Sia chiaro: noi non siamo troppo ingenui, siamo professionisti. Sappiamo che si tratta di qualcosa di estremamente innovativo nel football, ma ci siamo accorti che alcuni club, magari di serie B o club minori di A, adottano questa linea, senza risalto. Ma noi siamo visibili, eccome».
Dal Palazzo sono giunti riscontri?
«Ho avuto modo di parlare con il commissario Luca Pancalli; riconosce che è la strada giusta. Anche il signor Antonio Matarrese è d’accordo. La palla è sul tavolo, sul campo istituzionale. E noi siamo dotati di umiltà, sappiamo che non tutti sono con la Juve, ma molti sì».
Con un rischio. Non date l’impressione, anche alla squadra, di essere arrendevoli a priori?
«Quando ho avuto il faccia a faccia con Nedved e i compagni ho ribadito che faremo tutto, sempre, per difendere il loro lavoro sul terreno di gioco, ma interpellando le istituzioni, non urlando in tv. E i nostri giocatori stanno portando avanti un ottimo lavoro. Stiano tranquilli perché saremo in prima fila a proteggerli ».
Lei è un tifoso della...
«Juventus. Da ragazzo, lo ero del Saint Etienne, che è stata la prima squadra francese a giocare bene, che è andata in finale in una coppa europea. Ricordo che partivo in pullman da Chambéry, in un paio di ore ero allo stadio, applaudivo i miei giocatori, mi gustavo la partita e poi si tornava a casa. Ricordo le gare con il Psv Eindhoven, con il Bayern Monaco. Lì un club del mio paese si è aperto al calcio continentale. Adesso c’è il Lione di Jean Michel Aulas che conferma quanto conti la stabilità. Loro vendono un big all’anno e lo sostituiscono con un giovane bravo ma la concorrenza è minore rispetto all’Italia. Ora costruiranno un nuovo stadio e diventeranno ancora più forti».
Un messaggio per la Juve, quindi.
«Sì, lo stadio può fare la differenza. E’ come per un giornale essere in bianconero o a colori».
Per quale giocatore commetterebbe una follia?
«Non faremo follie per nessuno». Parola di manager che amministra i soldi altrui. Allora le follie saranno riservate a John e Lapo Elkann. Liberi di investire sulla loro squadra del cuore.