Tuesday, November 28, 2006

UNA DOMANDA A COBOLLI

EDITORIALE
CHRISTIAN ROCCA
Da Tuttosport di martedì 28 Novembre 2006

Mi piacerebbe che Tuttosport ponesse una domanda semplice semplice al presidente Cobolli, assicurandosi che al momento della risposta sia presente anche il dottor Gigli. La domanda è questa: “Signor presidente, quanti scudetti ha vinto la Juventus?”. Le risposte possibili sono soltanto due: 29 o 27. Non c'è modo di sviare. E finché non ci sarà una risposta a questa domanda, qualsiasi proclama della nuova dirigenza juventina per me avrà valore pari al numero di scudetti vinti da Massimo Moratti. Sì, è vero, c'è una terza via tra il 29 e il 27, quella di chi dice che è stato ingiusto averci tolto il ventinovesimo, perché non è stato sfiorato da alcuna indagine, mentre è legittimo aver subito lo scippo del ventottesimo, quello delle intercettazioni telefoniche. Da ciò che leggo sembra che il nuovo corso juventino possa rispondere “28” alla mia domanda, come ha lasciato intendere il grande Lapo domenica su Tuttosport. Peccato che non abbia alcun senso. E, peraltro, non mi pare che la Juventus di Cobolli stia facendo alcunché, né legalmente né mediaticamente, per riprendersi il maltolto. Intanto chiunque abbia seguito quel campionato 2004 - con le eccezioni di Mancini, Liguori e Verdelli - sa perfettamente che lo scudetto delle intercettazioni è stato vinto regolarmente a San Siro grazie a una rovesciata di Alex e a un colpo di testa di Trezeguet e malgrado avessero fatto fuori, a tavolino, il formidabile Ibrahimovic. In modo tecnico-tattico - perché lo capissero anche Mancini, Liguori e Verdelli - l'ha spiegato definitivamente il campione del mondo Mauro German Camoranesi: “Gli avversari quando giocavano con noi se la facevano sotto”. Ma l'insensatezza è un'altra. Provo a spiegarmi. Se si considera giusta, corretta e condivisibile la decisione di punire la Juventus per gli intrallazzi del 2004-2005 - malgrado le sentenze abbiano dimostrato che non c'è stato alcun tentativo di truccare nemmeno mezza partita - si riconosce esplicitamente che Moggi e Giraudo guidavano per conto della Juve la cupola calcistica del campionato italiano da dodici anni, come si urla da sempre in curva sud e da qualche tempo su quel giornale rosa che si trova sui banconi dei gelati all'interno dei bar dello sport. Se si crede davvero che Moggi e Giraudo fossero capaci di pilotare gli arbitri e di fare la macumba ai calciatori fino a impedire, tramite la Gea, al più scarso difensore centrale degli anni Novanta, cioè a Salvatore Fresi, di non essere diventato Franz Beckenbauer, allora è giustissimo aver tolto anche il ventinovesimo scudetto. Anzi, per completare l'operazione simpatia, si dovrebbero restituire anche i cinque titoli precedenti e distribuirli un po' a chi falsificava passaporti e ricettava patenti per schierare calciatori che non avrebbero potuto giocare e il resto a chi si faceva cambiare i regolamenti sugli extracomunitari la settimana precedente la partita decisiva contro la Juve e poi non pagava le tasse al fine di comprarsi il bomber. Dunque: 29 o 27? Se la risposta è 29, Cobolli Gigli dovrebbe occuparsi solo di questo, recuperare ciò che ci spetta e ricordare ogni cinque minuti che la nuova Juve risanata e pulita è a un passo non solo dalla Serie A, ma anche dalla terza stella. Solo così Cobolli può conquistare i tifosi juventini (non me, ché non gli perdonerò mai di aver venduto Ibrahimovic e Viera agli indossatori di scudetti altrui). Se, invece, la risposta è 27, per quanto mi riguarda la nuova Juve non potrà mai essere credibile, neanche facendosi scudo delle meraviglie degli splendidi campioncini di Deschamps. I quali, come è noto, li dobbiamo a Moggi e Giraudo.

Friday, November 24, 2006

MANCIO, CANDIDO E LA GEA: IL PASSATO NON SI CANCELLA

EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di giovedì 23 Novembre 2006

Dall’interrogatorio di Chiara Geronzi nell’ambito dell’inchiesta romana sulla Gea.
«Soci fondatori siamo stati io, Francesca Tanzi, Andrea Cragnotti e Giuseppe De Mita. (…) Le quote societarie erano queste: il 20 per cento lo detenevo io, il 20 per cento la Tanzi, il 20 per cento Cragnotti e poi c’era un 40 per cento in mano alla società Roma Fides, fiduciaria composta da Giuseppe De Mita e Roberto Mancini». La notizia è stata pubblicata da La Repubblica
(autori Marino Bisso e Corrado Zunino) che a pagina 60 di ieri commenta: «Sopra il nome della "Roma Fides" c'è stato a lungo un alone di mistero. L'interrogatorio della Geronzi offre un nuovo scenario e chiama in causa Mancini, che in passato ha smentito più volte una sua presenza nella contestata società».
Dall'intervista a Sergio Cragnotti, ex patron della Lazio, concessa a Claudio Sabelli Fioretti (il collega che fece ammettere a Massimo Moratti di avere spiato l’ex arbitro De Santis) per il Corriere della Sera-Magazine, in edicola oggi.
Domanda: Lei un giorno ha parlato dei “moralisti alla Mancini…” Risposta: «Anche lui spingeva la cacciata di Cragnotti dalla Lazio. Quando me ne sono andato, la gestione della Banca di Roma gli ha aumentato lo stipendio da 2 a 7 miliardi netti. E lui alla fine se ne è andato all’inter portandosi via i migliori».
Restiamo in (sfiduciata) attesa di leggere su qualche quotidiano amico della squadra e della società nerazzurra (ce ne sono tanti e di importantissimi) le ragioni per cui Mancini ha sempre smentito la sua appartenenza alla Gea. Smentirà anche Chiara Geronzi, sua amica o ex amica? E se lo farà quali argomenti potrà usare? Dubito fortemente che Mancini torni sulla spinosissima questione, visto il rapporto che ha con la stampa, con la lingua italiana e – non in ultima analisi – con la verità. Come dubito che vorrà rispondere a Cragnotti perché i moralisti di facciata sono sempre opportunisti della prima ora. Infatti Mancini era il centro della Lazio di Cragnotti. E si è servito dell’una e dell’altro finché gli ha fatto comodo per la sua inspiegabile carriera di allenatore protetto da Federazione, Settore Tecnico e ambienti ad essi contigui. Ricordate la deroga, letteralmente inventata, per farlo tesserare dalla Fiorentina nonostante avesse iniziato la stagione con la Lazio come allenatore in seconda? Io sì. Peccato che tutti gli altri – Mancini incluso – fingano di dimenticarlo.

La Gazzetta dello Sport di ieri, mercoledì 22 novembre, pezzo a firma di Candido Cannavò. La rubrica dell’ex direttore ha un titolo esortativo «Fatemi capire». È un invito che raccolgo volentieri. Perché nel prendere per l’ennesima volta le distanze dalla Gea, Cannavò – al pari di Mancini – incorre in qualche fondamentale amnesia. «La Gea World – scrive Cannavò – era una sintesi discutibile e intoccabile di un potere calcistico che attraversava la grande economia, le istituzioni, un popolo di complici e finiva nel grande laboratorio di Moggi, padre e figlio, che avevano le spalle ben coperte». Poi, però, Cannavò sprofonda nell’oblio: «Spocchia, spregiudicatezza, molta abilità e persino una grande “fiera del calcio” organizzata in grande pompa ogni anno a Milano, con una copertura televisiva che era più che altro uno spot pubblicitario, fondato sul culto della personalità della dinastia Moggi».
Purtroppo, Candido omette di dire che quella «fiera» si chiamava Expogoal ed aveva tra i partner principali proprio Rcs e la Gazzetta dello Sport, quotidiano che a quella «fiera» ha dedicato spazio e lustro grazie alle sue migliori firme, ai suoi migliori cronisti, ai suoi migliori editorialisti, ai direttori ed ex direttori. Cannavò era tra essi.
Dati e date, non illazioni.
Dalla Gazzetta dello Sport del 12 ottobre 2003. «Expogoal è caratterizzata anche dai convegni (…). Domani alle 14,30 “Campionato Aic della Solidarietà”, progetto sociale dell’Assocalciatori a favore degli anziani. Moderatore Candido Cannavò». Tutto scritto (e da ricordare).

Saturday, November 18, 2006

CALCIOPOLI? UN ABORTO GIURIDICO

CARO LUCIANO
Da Libero di venerdì 17 Novembre 2006

Salve direttore, questa mia per porre alla sua attenzione alcune dichiarazioni rilasciate da Corrado De Biase, il giudice che si occupò della vicenda calcioscommesse nel 1980. Le cose che dice non fanno che aumentare rabbia e amarezza.
Comunque eccole: De Biase - in collegamento con un'emittente fiorentina, "Rete 37" - risponde ad un tifoso della Juventus a proposito dell'operato di Zaccone, legale dei bianconeri:
«Non posso sapere perché la proprietà della Juventus si sia mossa in un certo modo, ma mi sento di dire che la vicenda sia stata abilmente pilotata a cominciare dalla richiesta dell'avvocato Zaccone, che ha lasciato tutti di stucco. Zaccone non è un incompetente, come molti credono, ma è stato solo un attore di questa vicenda. Bisogna avere, innanzitutto, il coraggio di affermare una realtà: il procedimento di questa estate ha partorito un autentico aborto giuridico. Quando parlo di "aborto giuridico" mi prendo la piena responsabilità di ciò che dico. Quando si vuole espletare in due settimane un procedimento che richiederebbe almeno sei mesi solo per un corretto iter investigativo, non può che venir fuori un aborto giuridico. Quando si cassa, per motivi di tempo, un grado di giudizio, quando si impedisce agli imputati di portare testimoni, dossier e filmati in loro discolpa, ma gli si concede solo 15 minuti per una arringa difensiva, non si può che parlare di aborto giuridico. Quando non si concedono agli avvocati difensori degli imputati i testi integrali delle intercettazioni, adducendo che non sono pertinenti, si può solo parlare di aborto giuridico. Quando, infine, si disassegna un titolo ad una squadra, la Juventus, per assegnarlo ad un'altra, l'internazionale, prima che sia pronunciato il verdetto del primo iter istruttorio, allora siamo ben oltre l'aborto giuridico. Non è un problema di giustizia ordinaria o sportiva: in ogni Paese che si definisca civile eventuali pene e sanzioni devono essere comminate dopo che sia stato verbalizzato un verdetto di colpevolezza, mai prima. E non venitemi a parlare di normative Uefa o di liste da dare alla stessa per le coppe europee: i diritti degli imputati, tra cui quello di potersi difendere con i mezzi che l'ordinamento mette loro a disposizione, vengono prima di una partita di calcio. Il punto che mi fa pensare che Zaccone abbia agito su input della proprietà è un altro, e cioè il modo in cui si sono mossi i vertici dirigenziali della Juventus, con quel finto ricorso al Tar. Come - mi chiedo - tu allontani i dirigenti, praticamente dichiarandoti colpevole, poi assisti inerte ed impassibile ad uno scempio mediatico e giudiziario ai danni della tua squadra e poi minacci di ricorrere al TAR? È il concetto di chiudere la stalla quando i buoi sono fuggiti, se ci pensate bene. Prima ti fai massacrare senza muovere un dito, ti fai togliere il titolo, fai stilare i calendari per i campionati e le coppe europee e poi minacci di andare al Tar, strombazzando il tutto sui giornali? Sa tanto di mossa politica per placare l'ira dei tifosi, mi pare. Se Zaccone, che è uomo di valore ed esperienza, avesse avuto il mandato di evitare il disastro si sarebbe mosso in maniera diversa, nel senso che avrebbe fatto notare queste "anomalie" nel tempo intercorso tra la fine del dibattimento e l'annuncio dei verdetti. Quello, infatti, era il momento buono per minacciare di ricorrere al Tar, quando le sentenze non erano ancora state scritte, ma andava fatto in camera caritatis, chiedendo un incontro con Ruperto, Sandulli e Palazzi, e non di fronte ai giornalisti della Gazzetta. Vi prego di notare che non sto discettando di alta strategia dell'arte forense, ma dei princìpi basici, dell'abc della professione, di cose che si insegnano ai ragazzi che vengono in studio a fare praticantato: se tu, avvocato difensore, ritieni di avere delle armi da giocare, chiedi un incontro con il giudice e il Pm, nel periodo che intercorre tra il processo ed il verdetto, e gli fai notare che, se il responso sarà giudicato troppo severo, le userai. E qua di armi ce ne erano in quantità industriale. Poi, di fronte al fatto compiuto, chi si prende la responsabilità di fermare una macchina che macina miliardi di euro, tanto da essere la sesta industria del Paese? Io, per conto mio, posso solo ribadire il concetto già espresso: una penalizzazione di 8/10 punti, una multa e la squalifica di Moggi e Giraudo per 10/12 mesi, questa era la pena congrua, a mio parere. Ogni parallelo con la vicenda del 1980 è improponibile: qua non ci sono tracce di illecito, né denaro o assegni. L'illecito ambientale non è un reato contemplato da nessun codice, a meno che non si parli di inquinamento atmosferico...»
Io mi chiedo: ma se queste dichiarazioni, anzichè essere trasmesse su tv locali, fossero sbattute nelle prime pagine dei quotidiani e delle tv nazionali? Secondo me gran parte dell'opinione pubblica che ha ritenuto giusto affondare la Juventus in B cambierebbe parere, i tifosi proCobolli si ricrederebbero; la stessa attuale dirigenza sarebbe in totale imbarazzo e magari anche la figura di Luciano Moggi ne uscirebbe più pulita dopo tutto il fango che le è stato gettato addosso. RICCARDO

CANNAVORO

EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di venerdì 17 Novembre 2006

Confermato. Fabio Cannavaro ha vinto il Pallone d’Oro battendo Gianluigi Buffon che, lo ripetiamo, noi avremmo preferito in base a valutazioni tecniche (è nettamente il miglior portiere del mondo e lo è stato del Mondiale), storiche (solo una volta, 43 anni fa, si era imposto un portiere, il russo Lev Yashin), logiche (se l’Italia ha vinto la Coppa del Mondo subendo appena due reti, una su autogol di Zaccardo e l’altra da calcio di rigore di Zidane, il portiere conta più di qualsiasi altro difensore).
Di Buffon, e del suo netto vantaggio iniziale nel conteggio dei voti, abbiamo scritto mercoledì 8 novembre, scatenando le unanimi e convergenti reazioni da ogni conti­nente. Tuttavia, sei giorni dopo, siamo stati anche i primi a capire e a riportare ( martedì 14 novembre) che a Parigi, nella sede di France Football, il vento – o qualcosa d’altro – era cambiato e che Cannavaro aveva, come minimo, affiancato il portiere nella corsa al titolo di miglior calciatore europeo. Tre giorni fa – martedì per l’appunto – annunciando che uno tra Cannavaro o Buffon avrebbe certamente vinto il Pallone d’Oro –, sulla prima pagina di Tuttosport abbiamo sottolineato come in ogni caso ci saremmo trovati di fronte al successo non solo dell’Italia, ma anche della Juventus. Sia perché il riconoscimento, riferito all’anno solare 2006, è strettamente connesso alla stagione sportiva 2005-2006, chiusasi appunto con il Mondiale. Sia perché, oltre ad aver alzato la Coppa con altri ventuno azzurri, conta anche aver vinto con il proprio club (campionato e/o coppe europee). Cannavaro e Buffon hanno conquistato con la Juve lo scudetto 2005- 2006, scippato invece, a beneficio dell’inter, da una decisione ingiusta, cervellotica e spudorata. « Comunque sia – aveva ammesso Cannavaro su Tuttosport di mercoledì, quando anche il resto della stampa italiana aveva rilanciato la nostra anticipazione sul testa a testa bianconero – è un Pallone d’Oro anche bianconero: l’anno scorso eravamo fortissimi». So per certo che le posizioni dotate del pregio della chiarezza e dell’anticonformismo provocano struggimenti e rodimenti alle più diverse latitudini, tuttavia il dato è talmente oggettivo da non temere confutazioni.
Confermato. La Juve tornerà in serie A e, secondo il presidente Giovanni Cobolli Gigli, dovrà da subito essere competitiva su tutti i fronti. Anzi, per usare le parole del numero 1 del club bianconero, lo scudetto 2008 è un « imperativo categorico » . Siamo contenti che Cobolli sia così esplicito e determinato nel perseguire gli obiettivi futuri per restituire alla Juve, nel più breve tempo possibile, una grandezza lacerata solo in parte. Ci corre però l’obbligo di ricordargli che per concorrere a livello interno e internazionale servono, da subito, atti concreti. Per esempio risolvere il nodo della permanenza, affrontando anche le questioni contrattuali, per i giocatori più validi, i campioni, i talenti e i fuoriclasse. Da Trezeguet a Camoranesi, da Del Piero a Bojinov fino al rimpinguamento qualitativo della rosa – mi riferisco soprattutto alla difesa – occorre lavorare alacremente sul mercato, senza lesinare sugli investimenti. Purtroppo, alcuni errori sono stati fatti e raggiungere l’inter attuale, che la nuova dirigenza juventina ha contribuito a rafforzare cedendo Vieira e Ibrahimovic, sarà inevitabilmente più difficile. Una ragione in più per programmare con efficacia, oculatezza, preveggenza. E per non tradire promesse e parole.

Thursday, November 16, 2006

ORA I CARTELLINI PREVENTIVI SONO TUTTI NERAZZURRI

L'ARTICOLO
MARTINO CERVO

da Libero di mercoledì 15 Novembre 2006

Domenica 10 settembre 2006, anticipi a parte, sarà ricordata a lungo come la prima giornata del primo campionato di serie A senza Juventus. Si gioca, tra le altre partite, Sampdoria-Empoli. Per la cronaca, finisce 2-1 per i toscani. Partita nervosa, piena di falli. Sul taccuino dell'arbitro Gava finiscono in otto. Il fischietto si vede costretto a sventolare il rosso in faccia a due blucerchiati, Delvecchio (doppio giallo) e Falcone. I due saltano la partita successiva: Sampdoria-inter. Pur menomati, i liguri strappano il pari a San Siro. Neanche un mese dopo, e siamo alla quinta giornata del campionato più onesto del mondo, il Catania crolla a Firenze: 3-0 sotto i colpi di Toni, Jorgensen e Dainelli. A complicare le cose ai siciliani ci si mette la foga che costa loro cartellini a volontà. Corona e compagni commettono venti falli e si beccano cinque gialli (di cui due allo stesso giocatore) e un rosso diretto. Biso e Stovini, come da regolamento, saltano la sfida successiva. Che li vede opposti all'inter. Finirà due a uno per la squadra di Moratti. Passano quindici giorni, perché c'è la Nazionale. Si ricomincia con Parma-Udinese: Galeone e i suoi tornano dall'Emilia con tre gol e tre punti in tasca, ma con un Muntari in meno. Sul 3-0, a poco più di 10 minuti dalla fine, il ghanese si lascia andare a un gesto inconsulto che gli costa il rosso. Salterà la sfida successiva, che vede i friulani impegnati nel big-match contro l'inter. Il 29 ottobre va di scena la nona giornata. Si gioca, per quanto non sia esattamente una partita di cartello, Ascoli-Siena. Match nervosetto, la spuntano gli ospiti allo scadere con Codrea. Tra i padroni di casa, sei gialli. L'arbitro Palanca ne mostra due in due minuti a Pesce, appena entrato al posto di Job. Opportunità che ovviamente non gli può ricapitare nella sfida successiva, che gli uomini di Tesser disputano dopo sette giorni a San Siro. Sponda nerazzurra. Mentre l'inter attende di battere 2-0 l'Ascoli, l'anticipo della decima giornata della Serie A Tim prevede anche Siena-Parma. Partita vivace, quasi vinta dagli emiliani che nel finale vengono raggiunti da una doppietta di Bogdani. L'arbitro Squillace non deve faticare molto: 24 falli in tutto e cinque gialli, di cui tre al Parma. Uno di questi è per Dessena, diffidato. Non giocherà una settimana dopo, quando al Tardini arriva l'inter. Che poi è storia d'oggi, coi nerazzurri che vincono all'ultimo respiro. Poche ore prima del posticipo si gioca Siena-Reggina. Decide un rigore di Bianchi per gli emiliani. Rizzoli tira fuori il giallo nove volte: tra i cattivi finiscono i calabresi Tedesco e Lucarelli. Diffidati, non saranno in campo domenica a San Siro. Contro l'inter. Come si sono presi la briga di notare alacri blogger (tra cui l'"avvelenato" Christian Rocca del Foglio), sono nove giocatori in dodici giornate "tolti" ai rivali dell'Inter. Ci fosse Moggi, ci sarebbe da parlare di cartellini preventivi.

Wednesday, November 15, 2006

CARA JUVE, QUESTA SQUADRA E' FIGLIA MIA

L'INTERVENTO
LUCIANO MOGGI
Da Libero di martedì 14 Novembre 2006

Spiccioli di questioni extra-calcio. Non penso che la mia squalifica (dovuta peraltro ad un processo sportivo-farsa) possa commutarsi in una proscrizione; risalgono a 2000 anni fa le liste di Silla. Mi sia concesso: non capisco, non capisco e non capisco. Quando mi spiegheranno chiaramente come stanno le cose - senza nessun se e nessun ma - toglierò il disturbo; quando porteranno le prove che dimostrano come ho comprato una partita, o pagato un calciatore o un arbitro per vincere la suddetta allora toglierò il disturbo. Ma finché andranno avanti a raccontare favole continuerò a pensare che si tratta di una bufala... per dirla alla Berlusconi. A questo proposito mi sembrano quantomeno poco eleganti le parole di Borrelli nei miei confronti. Da uno del suo prestigio e della sua statura morale mi aspettavo maggiore cautela nell'espressione di determinati concetti: mostra chiaramente di essere prevenuto nei miei confronti, una presunzione assoluta che è pari solo alla verità assoluta di cui dà l'impressione di essere depositario. Non voglio ricordare la sentenza su Calciopoli che ha accertato la mancanza di illeciti sportivi: il presidente della Corte Federale, prof. Sandulli disse: «Non ci sono illeciti, quel campionato non è stato falsato. L'unico dubbio riguarda Lecce-Parma». E poi, il 23 ottobre 2006, intervistato a Telelombardia: «Pur non essendoci prove di avvenimenti che comportavano la sussistenza di un Articolo 6 abbiamo una serie di avvenimenti che non ci lasciano tranquilli». In pratica, per dormire più sereno, condannò la Juve alla serie B, le tolse due scudetti e la Champions League. Che dire poi dell'atteggiamento del giudice della Corte Federale, prof. Mario Serio, che a suo tempo presentò le dimissioni (date per le anomalie di quel processo e per la sentenza già scritta) salvo poi ritirarle. Disse: «Abbiamo cercato di interpretare un sentimento collettivo. Abbiamo ascoltato la gente comune e provato a metterci sulla medesima lunghezza d'onda». Della Gazzetta... Molto, molto molto Serio, per dirla alla Cristian Rocca. E poi, mi vien da chiedere al dottor Borrelli: perché mai non dovrei parlare o esprimere liberamente la mia opinione in Tv o altrove? Caro dottor Borrelli io non "sdottoreggio" affatto, rivendico solo un diritto che nessuno mi può togliere. Per fortuna i tempi dell'inquisizione e di Torquemada sono finiti. Altra domanda: non le basta aver rovinato la famiglia di mio figlio Alessandro con la pubblicazione di intercettazioni che nulla avevano a che vedere con la materia processuale, fatte a bella posta per incuriosire l'opinione pubblica e per mettere in crisi una famiglia composta da due genitori, un bambino di quattro anni e una bimba di due? Le sembra giustizia questa?

Due parole in risposta a John Elkann, che ha parlato di me in un'intervista a "Repubblica". Caro dottor Elkann credo di aver dato tutto quello che ho potuto per amore di questa squadra e di questi colori. Sono stati dodici anni intensi e faticosi, costellati di vittorie e trofei. Non ho mai creduto di essere il Sole, ma per i conoscitori del mondo del pallone la mia provenienza naturale è Marte. Quei due signori (Umberto e Gianni Agnelli) che mi ingaggiarono tanti anni fa e per i quali provo un profondo rispetto non mi pare fossero così sprovveduti... L'intervista rilasciata sabato a "Repubblica" mi ha rattristato: per quanti sforzi io abbia fatto non riesco a trovare risposta alla seguente domanda: perché la Juve ha voluto da subito lanciare strali contro i suoi ex dirigenti ancor prima di capire cosa era successo in realtà? Le altre società si sono difese e hanno protetto i loro dirigenti (ne avevano ben donde), e noi meritavamo almeno un po' (soltanto un po') di rispetto in più per ciò che abbiamo fatto di buono per la Juventus (e di cose ce ne sono assai). Dal canto suo ha riconosciuto che solo noi bianconeri abbiamo pagato, veri capri espiatori di tutta la situazione; questo le fa onore e mi fa piacere. Spero infine che voglia scusarmi se ho fatto gli opportuni scongiuri per quanto detto nell'intervista: «Io pontifico, durerò poco e sono già sul punto di usura» terque, quaterque! Due parole sulla squadra che vi abbiamo lasciato in eredità (potrebbe fare tranquillamente un campionato da primi posti in A): sono felice per lei, per Lapo e per tutti i tifosi della Juventus. Dopo la partita col Napoli sono stati esaltati i giovani e il progetto della dirigenza che su di loro vuole fondare la squadra del futuro. Nessuno ha posto in evidenza che se tanti ragazzi stanno sbocciando così bene il merito va all'efficacia della nostra programmazione. A quelli che hanno scoperto solo ora i Marchisio, i Paro, i De Ceglie, i Cassani, i Mirante, i Gastaldello, i Palladino, i Criscito per citarne solo alcuni, debbo ricordare che Capello ne aveva già tenuto d'occhio più di uno (soprattutto Criscito e Marchisio), già convocati in prima squadra e pronti a esordire in serie A. Che poi il salto potesse essere più sollecito in serie B è un fatto talmente scontato che non è nemmeno il caso di rimarcarlo. Tutti gli appassionati juventini sanno quanto il settore giovanile sia stato il fiore all'occhiello della struttura tecnica da noi organizzata. Mi viene in mente il capo del settore osservatori, Franco Ceravolo, quello del settore giovanile, Nello De Nicola, oltre a tutti i tecnici a cominciare da Vincenzo Chiarenza: a loro va il nostro incondizionato ringraziamento. Per capirci: nella stagione 2005-06 la Juve si è laureata campione d'Italia Primavera, Allievi e Berretti. Sempre la Primavera è riuscita per ben tre volte a vincere il torneo giovanile più importante del mondo: quello di Viareggio. Poco? Sempre forza Juve. luciano.moggi@libero-news.it

L'EUROPA RESTITUISCE IL TRICOLORE SCIPPATO

EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di martedì 14 Novembre 2006

In diretta da Parigi e dal resto d’Europa, ora le gole profonde manifestano imbarazzo e sconcerto. Le stesse fonti che ci avevano assicurato come e perché il Pallone d’Oro sarebbe andato a Buffon si sono fatte improvvisamente caute, titubanti, sfuggenti. L’iniziale e immediata accelerazione (voti e consensi da mezzo mondo) che ha regalato al portiere della Juve e della Nazionale un consistente vantaggio sugli antagonisti più accreditati, non sarebbe bastata. Dalla fuga solitaria saremmo passati al testa a testa, fino ad un possibile, anche se stupefacente, ribaltamento della situazione. E il Pallone d’Oro avrebbe cambiato nome, non nazione; cambiato ruolo, non reparto: Fabio Cannavaro, centrale difensivo, capitano dell’Italia campione del mondo 2006. Di ufficiale, e certo, in queste faccende non c’è nulla, meno che mai la smentita ad una notizia unanimemente prevista e da alcuni addirittura sbandierata. Tuttavia onestà impone di registrarla come una possibilità concreta, visto che sull’argomento Tuttosport aveva anticipato qualsiasi altro media, sicuramente irritando i vertici di France Football per come l’indiscrezione era stata ripresa e rilanciata in tutto il mondo.
Non siamo così maliziosi dal pensare di trovarci di fronte ad una manipolazione per riparare la violazione di un segreto. Però, troppe cose non tornano e ci piacerebbe davvero aver potuto assistere allo spoglio delle schede e al conteggio dei voti dei cinquantadue giornalisti, espressione di altrettante federazioni affiliate all’Uefa. Se i francesi si considerano «italiani di cattivo umore», peraltro assai più sciovinisti, perché mai dovrebbero porsi al di sopra di ogni sospetto? I premi, poi, da quelli letterari a quelli giornalistici, sono quanto di più mercantile possa esistere.
Avesse davvero vinto Cannavaro, non potremmo che complimentarci con lui, riconoscendone la continuità e la qualità di rendimento, oltre al fair play, esibiti al Mondiale. Sinceramente, però restiamo della nostra idea e dell’idea della maggioranza di tecnici, ex giocatori, commentatori di ogni parte del globo: nessuno, per l’Italia di Lippi, è stato decisivo quanto Buffon. Anzi, sono addirittura convinto che la saldezza palesata dall’intero reparto difensivo in Germania, ivi comprese le prestazioni di Cannavaro, vada ascritta al portiere degli azzurri, battuto solo dall’autorete di un compagno (Zaccardo) e dal rigore di Zidane. E, come ho scritto nell’editoriale di Tuttosport di mercoledì 8 novembre, se Buffon dovesse cedere il premio a Cannavaro, suo compagno e capitano, saremmo di fronte «ad una palese ingiustizia tecnica e ad una clamorosa ammissione di incompetenza».
In ogni caso, si tratti del portiere o del difensore, va rilevata che questa è una vittoria del calcio italiano e una vittoria della Juve. Se è vero, infatti, che il Pallone d’Oro andrà, in ossequio alla consuetudine e alla tradizione, ad un calciatore della Nazionale campione del mondo, è altrettanto vero che sia Buffon, sia Cannavaro se lo stanno contendendo anche grazie all’ultimo scudetto conquistato in maglia bianconera. Non valesse questa considerazione, ci sarebbe da chiedersi perché, allora, il riconoscimento non venga assegnato ad Henry, secondo con l’Arsenal in Champions League, secondo con la Nazionale francese in un Mondiale nel quale comunque è stato protagonista, capocannoniere in Premier League con 27 gol. La ragione è semplicissima: perché l’Arsenal quella Premier non l’ha vinta, come Kakà non ha vinto lo scudetto in Italia. Quello – nonostante l’imbarazzante provvedimento dei tre saggi nominati dal professor Guido Rossi e le roboanti affermazioni di Moratti – sul campo è stato vinto dalla Juventus. Lo certifica la classifica e – lo ripeteremo all’infinito – l’inesistenza di inchieste penali e/o sportive, riconducibili all’annata 2005-2006. As­surdo e abusivo, piuttosto, è che lo scudetto sia stato appiccicato su qualche altra maglia e che non lo si voglia scucire nemmeno di fronte a patteggiamenti penali per ricettazione e falsificazioni di passaporto, a pedinamenti e spionaggi, vietati dalla legge dello Stato oltre che dall’ordinamento sportivo.
Per fortuna, anche se indirettamente, all’estero qualcuno sa distinguere il merito dall’impostura, arrivando a capire quando a vincere sono i calciatori, piuttosto che gli avvocati o i giudici faziosi.

Friday, November 10, 2006

FORZA, ANDIAMO AL TAS A FARCI RESTITUIRE LO SCUDETTO

L'INTERVENTO
PAOLO BERTINETTI
Da Tuttosport di venerdì 10 Novembre 2006

I tifosi juventini pensano, con ragione, che la Juve abbia vinto 29 scudetti. Cosa pensi il Commissario straordinario Pancalli non è chiarissimo: si è limitato a dire che «lo scudetto poteva non essere assegnato, ma la Figc non può revocarlo». E’ invece chiarissimo cosa pensava il suo predecessore, l’interista Guido Rossi, il quale, avendo capito che l’inter non era in grado di vincere lo scudetto sul campo, quasi sistemata la questione per quanto riguarda il campionato 2006-07, gli ha regalato lui quello vinto dalla Juve nel 2005-06.
Rossi sapeva benissimo che lo scudetto ingiustamente revocato al Torino nel 1927 non fu assegnato a nessun’altra squadra; e che anche in Francia, nel 1993, si comportarono allo stesso modo, togliendo lo scudetto al Marsiglia ma non assegnandolo al Monaco, secondo classificato. E allora prima si inventò che la Uefa voleva assolutamente che si indicasse la squadra campione d’Italia; poi nominò tre persone di sua fiducia, tra cui l’ex direttore generale dell’Uefa Gerhard Aigner, per formare una Commissione di Saggi che assegnasse lo scudetto all’inter. Il loro parere è un capolavoro di acrobazie giuridiche, che si concludono con un richiamo a criteri « di ragionevolezza e di etica sportiva».
Quale ragionevolezza? Le inchieste riguardano il campionato 2004-05 e lo scudetto sottratto alla Juve è quello del 2005-06, che non era stato oggetto di indagine: solo a un buontempone, forse anche alticcio, può quindi sembrare ragionevole togliere lo scudetto a chi lo ha vinto.
Quale etica sportiva? Non contenti del furto perpetrato, i Saggi di Rossi hanno assegnato lo scudetto all’inter, il cui dirigente Oriali, a fine aprile 2006 (quindi nel pieno delle lamentazioni dei moralisti per “calciopoli”) patteggiava la pena, cioè ammetteva la colpa commessa, per il passaporto falso di Recoba ( i reati sono ricettazione, falso e contraffazione); per non parlare del suo Presidente Moratti, il quale pensa che spiare illegalmente arbitri e giocatori sia una quisquilia.
E’ difficile immaginare che la decisione dei tre Saggi possa essere confermata da un Tribunale di giustizia sportiva. E poiché esiste il TAS, il Tribunale sportivo di Losanna (organismo giuridico a cui tutti, da Blatter in giù, hanno dichiarato che è perfettamente legittimo rivolgersi), credo che sia doveroso da parte della Juventus farvi ricorso per ottenere giustizia. La società lo deve a se stessa; ma lo deve soprattutto a milioni di tifosi che finora hanno dovuto accettare umiliazioni e penaliz­zazioni basate non su colpe commesse ma sulla forza di persuasione del linciaggio mediatico.
Questa volta la Juventus non avrà contro le autorità sportive italiane tifose delle squadre rivali; né avrà di fronte giudici italiani condizionati dai media italiani. Per avere possibilità di riuscita, tuttavia, la Juventus farà bene a farsi rappresentare da un avvocato svizzero che già abbia avuto successo presso il TAS. Massima stima per gli avvocati italiani, naturalmente; ma se si vuole vincere, sospetto che si debba proprio fare così.

* Presidente dell’Associazione Na zionale Amici della Juventus

Wednesday, November 08, 2006

IL MONDIALE L'HA VINTO LUI

EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di mercoledì 8 Novembre 2006

Gianluigi Buffon sarà Pallone d’Oro. Non dovesse diventarlo ci troveremmo di fronte ad una palese ingiustizia tecnica, ad una violazione della consuetudine, ad una clamorosa ammissione di incompetenza, forse perfino ad un’inaccettabile manipolazione. L’anticipazione pubblicata ieri da Tuttosport e ripresa da tutto il mondo – lo scrive l’Ansa che riferisce di come l’indiscrezione sia stata rilanciata tanto dal sito spagnolo di As quanto da quello brasiliano di Placar, scatenando un autentico consesso “planetario” – non è solo realistica, ma fondata. Fondata perché si basa su preferenze già espresse in numero omogeneo e significativo. Non siamo, dunque, alle intenzioni di voto, ma almeno un passo oltre.
Buffon quale vincitore della cinquantunesima edizione del premio di France Football rappresenta un esito scontato per la cronaca, anche se manifestamente incalzato dalla storia. Solo una volta – nel 1963 – un portiere riuscì a conquistare il consenso dei giurati, si trattava di Lev Yashin, forse addirittura una fuga in avanti per quei tempi e quelle logiche. Nell’anno solare che racchiude invece l’assegnazione della Coppa del Mondo, gratificare un calciatore della Nazionale trionfatrice è quasi automatico. Non un obbligo, un riflesso condizionato. Nel caso di Buffon, poi, all’eccellenza tecnica va addizionata l’incidenza sul risultato finale. E in una squadra che ha vinto subendo appena due gol, di cui uno su autorete e l’altro da calcio di rigore, l’importanza del portiere e del reparto difensivo (oltre che della fase che governa i movimenti del collettivo quando la palla è all’avversario) sono primari.
Buffon non è stato necessariamente splendido, ma assoluto padrone di ogni situazione. Non comandava dentro l’area, sovrintendeva un’intera sezione della squadra. Ha parato, e molto, sempre con estrema sicurezza che, per un portiere, significa ridurre il gesto ad un’estrema economia, spendersi con parsimonia perché in qualsiasi momento potrebbe essere richiesto un supplemento di forza e lucidità. Non ha importanza adesso stabilire in quali e quante partite del Mondiale sia stato decisivo. E’ fondamentale che lo sia stato più di Cannavaro o Materazzi (peraltro autore di due gol indispensabili), più di Pirlo o Gattuso, più di Toni, Gilardino, Totti, Del Piero. Se solo uno di questi avesse chiuso da capocannoniere della manifestazione, per Buffon sarebbe stato più difficile, forse impossibile, imporsi. Ma di fronte ad una Nazionale che ha fatto della compattezza la propria peculiarità e della conservazione del risultato la leva verso il successo, Buffon è stato respiro e battito. Non bastasse tutto questo, sarebbe sufficiente la tautologia: Pallone d’Oro al miglior portiere del mondo della squadra campione del mondo.

Tuesday, November 07, 2006

E ADESSO FUORI GLI SPOMPATI

EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di martedì 7 Novembre 2006

Sinceramente ci aspettavamo di più. Invece Napoli-Juve si è accesa come un sole a metà ripresa, quando Alessandro Del Piero ha segnato su punizione, una lama di luce in un San Paolo fino a quel momento dominato dal buio e dal grigio. Meritavano di più, e da subito, non solo gli spettatori collegati da mezzo mondo, ma anche quelli che avevano riempito lo stadio come ai tempi di Maradona. Invece si è dovuto attendere più di un’ora per vedere una partita vera, il pareggio di Bogliacino e un finale senza economie.
La Juve, priva di sei titolari, avrebbe fatto meglio, cioè vincere la partita, se avesse potuto disporre fin dall’inizio di un Camoranesi almeno presentabile. Invece, l’italo-argentino sembra ridotto ormai a caricatura di se stesso, partecipa di contraggenio, disattento, superficiale, quasi che la sua presenza fosse una concessione al nostro piccolo mondo. Ammesso che non ci siano già stati, urgono provvedimenti. Non punitivi, ma preventivi: richiamare l’interessato alla conclamata professionalità è un dovere dei vertici del club. Dopo Camoranesi, il peggiore in campo è stato l’arbitro Rizzoli di Bologna. Il rigore negato alla Juve, per un doppio placcaggio in area, ha del clamoroso. L’accanimento sistematico nei confronti di Del Piero avrebbe meritato provvedimenti più netti dei pilateschi cartellini gialli. Tuttavia è stato bello sentire Didier Deschamps evitare di lamentarsi come altri, al contrario, hanno fatto domenica in serie A. Parlo di Carlo Ancelotti a Bergamo. Certo, ci vuole coraggio a prendersela con Pieri che, per rimediare ad un precedente errore (netto fallo dell’atalantino Tissone su Bonera), aveva letteralmente inventato un rigore a favore dei rossoneri. Casomai Ancelotti avrebbe dovuto prendersela con l’assistente Griselli. Il quale, però, ha visto e segnalato benissimo. Proprio vero che, come le stagioni, non esistono più neanche i guardalinee di una volta.
Abbandoniamo volentieri queste miserie. Per dire che, nonostante due punti lasciati, la Juve a Napoli ha colto la straordinaria occasione di misurare le qualità temperamentali, oltre che tecniche, dei giovani della sua rosa. Di Paro avevamo certezza fin dal precampionato e, per quanto mi riguarda, già da un paio d’anni. Stavolta a ripetersi su livelli eccellenti è stato Marchisio ( centrocampista di interdizione e manovra), mentre si è fatto vedere De Ceglie, subentrato a Legrottaglie, e dirottato sulla sinistra per l’ennesima rivoluzione del reparto difensivo ( Balzaretti a destra, Birindelli e Chiellini centrali). Questi giovani per la Juve rappresentano già il presente. A maggior ragione oggi che, dimezzata la penalizzazione, anche la classifica è tornata a sorridere. Non c’è rischio né di bruciarli, né di indebolirsi. Servono subito e servono con questa testa e queste gambe. Al contrario di spompati e spocchiosi.

Friday, November 03, 2006

ZOFF: "FORZA GIGI E' LA VOLTA BUONA"

L'INTERVENTO
DINO ZOFF
Da Tuttosport di venerdì 3 Novembre 2006

Forse, questa potrebbe essere la volta buona. Certo che ne è passato di tempo dal giorno in cui un portiere, l’unico nella storia del calcio, ebbe il privilegio di vincere il Pallone d’Oro. Si chiamava Jashin e rappresentava sul serio, a livello internazionale, il prototipo dell’atleta e del fuoriclasse assoluto. Naturalmente di lui e delle sue imprese il mio ricordo, più che altro sostenuto dal sentito dire, è assai sfumato. Eppure mi fa sempre un immenso piacere poter leggere il suo nome in quel particolare libro d’oro del calcio, non fosse altro che per orgoglio di categoria. Il fatto che, dopo di lui, mai più un “numero uno” al mondo abbia raggiunto un simile traguardo significa una certa distrazione da parte della giuria del premio, evidentemente sempre troppo incantata da personaggi più attraenti solamente perché impegnati in ruoli spettacolari per definizione. Un errore, comunque, perché il confine della bravura tra chi è capace di far gol e chi è in grado di evitarlo è davvero molto sottile.
Trentaquattro anni fa, per la verità, fui io a rischiare di rimediare a questa piccola ingiustizia. Il mio nome compariva, infatti, nella lista dei probabili vincitori e soltanto alla fine fui battuto da Cruyff. Non me la presi troppo a male e neppure ci feci una malattia, vista anche la valenza tecnica e di immagine del campione che mi aveva sorpassato sul filo di lana. Comunque continuai a chiedermi perché mai non dovesse toccare ad un portiere ricevere l’Oscar del pallone. Ora, forse, ci siamo per davvero. Dico e sottolineo il “forse” perché posso immaginare che la tendenza a premiare chi fa gol, anziché quelli che li evitano, sia ancora troppo radicata nella testa di chi ha il compito di scegliere. Questo pensiero non mi vieta, in ogni caso, di appoggiare senza alcun tipo di riserva la causa a favore di Buffon. Per Gigi ho sempre avuto una stima eccezionale. Fin da quando, lui era ragazzino e giocava a Parma, andavo spesso a vederlo e pensavo che sarebbe stato destinato ad una stupenda carriera. Non mi sbagliavo. Su di me dissero che ero il più grande portiere del mondo. Ora la medesima cosa va ripetuta per lui. E se io sfiorai il Pallone d’Oro, lui meriterebbe di stringerlo tra le mani. Salvo che la giuria non veda in Henry o in Kaká ciò che altri vollero leggere, ai miei tempi, in Cruyff.

Wednesday, November 01, 2006

GLI SBAGLI DI MANCINI E L'ARTE DEL COMANDO

EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di martedì 31 Ottobre 2006

Roberto Mancini va così d’accordo con il mondo, ed è così ben visto nello spogliatoio interista, che sabato sera, subito dopo il successo dell’inter sul Milan, è stato l’involontario protagonista di una furibonda lite con mezza squadra: la propria. La notizia – confermata ieri dallo stesso Mancini – è stata anticipata da Il Giorno e si deve alla bravura della collega Laura Alari. Questo spiega almeno due cose. Uno, perché Mancini fosse così poco sereno davanti a domande e giornalisti (certe domande e certi giornalisti). Due, perché debba riflettere lungamente e compiutamente sul mestiere di allenatore che crede di esercitare meglio di qualsiasi altro, non capendo che di altro, rispetto al calciatore, si tratta.
Mi limito al più evidente degli errori commessi, sabato sera, durante il derby vinto con il Milan. Minuto 23’ della ripresa, espulsione di Materazzi dopo il gol del 4-1. Un allenatore normale avrebbe disposto la più logica delle sostituzioni: fuori una delle due punte (Ibrahimovic, già malconcio, comunque in riserva) e dentro un difensore: Samuel. Con quel vantaggio e contro un Milan disarticolato ma pesante in attacco, l’inter aveva come unica necessità quella di ricostituire la linea difensiva attraverso un centrale di ruolo. Ma se Samuel viene inserito solo al 39’ al posto di Ibrahimovic e Cruz fa avanti e indietro a scaldarsi, la giacca della tuta messa e tolta come ad un manichino, cosa volete che pensino diciotto uomini sudati e tesi di chi li guida? Che, come minimo, non conosca l’arte del comando e conosca poco la gestione delle risorse, delle persone, del gruppo. Secondo me, Mancini sa poco anche di tattica, o non sa trasmettere concetti tattici precisi, però questa è un’illazione malevola e antipatica, direbbe Moratti. Di sicuro per comunicare, e comunicare in maniera convincente, bisogna conoscere bene la lingua, il lessico, la struttura delle frasi e avere argomenti, tanti argomenti da saper reggere alle obiezioni, alle contestazioni o alle incalzanti domande dei calciatori-interlocutori. Tutto questo Mancini non lo può fare perché non possiede né il carisma di chi parla anche attraverso i silenzi, né la forza rivoluzionaria della parola.
Si dice sia stato un grande calciatore. Può essere, anche se in Nazionale non lo ha mai dimostrato e in una vera grande squadra nemmeno. Ma cosa avrà pensato Patrick Vieira di tutte le straordinarie esperienze da calciatore del suo attuale tecnico, se costui non è in grado di capire quante e quali conseguenze possa produrre giocare con una caviglia che non regge? E a Mancini serve davvero essere stato un calciatore professionista d’altissimo livello se manca su aspetti basilari?
Della burrascosa serata post-derby Mancini ha smentito solo di aver pensato alle dimissioni. Buona strategia, pensarci troppo non è da bravi comandanti. Tuttavia il favore del consenso è una necessità. E non si può disfare di notte e negli spogliatoi quanto è stato tessuto di giorno e sul campo.