EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di martedì 14 Novembre 2006
In diretta da Parigi e dal resto d’Europa, ora le gole profonde manifestano imbarazzo e sconcerto. Le stesse fonti che ci avevano assicurato come e perché il Pallone d’Oro sarebbe andato a Buffon si sono fatte improvvisamente caute, titubanti, sfuggenti. L’iniziale e immediata accelerazione (voti e consensi da mezzo mondo) che ha regalato al portiere della Juve e della Nazionale un consistente vantaggio sugli antagonisti più accreditati, non sarebbe bastata. Dalla fuga solitaria saremmo passati al testa a testa, fino ad un possibile, anche se stupefacente, ribaltamento della situazione. E il Pallone d’Oro avrebbe cambiato nome, non nazione; cambiato ruolo, non reparto: Fabio Cannavaro, centrale difensivo, capitano dell’Italia campione del mondo 2006. Di ufficiale, e certo, in queste faccende non c’è nulla, meno che mai la smentita ad una notizia unanimemente prevista e da alcuni addirittura sbandierata. Tuttavia onestà impone di registrarla come una possibilità concreta, visto che sull’argomento Tuttosport aveva anticipato qualsiasi altro media, sicuramente irritando i vertici di France Football per come l’indiscrezione era stata ripresa e rilanciata in tutto il mondo.
Non siamo così maliziosi dal pensare di trovarci di fronte ad una manipolazione per riparare la violazione di un segreto. Però, troppe cose non tornano e ci piacerebbe davvero aver potuto assistere allo spoglio delle schede e al conteggio dei voti dei cinquantadue giornalisti, espressione di altrettante federazioni affiliate all’Uefa. Se i francesi si considerano «italiani di cattivo umore», peraltro assai più sciovinisti, perché mai dovrebbero porsi al di sopra di ogni sospetto? I premi, poi, da quelli letterari a quelli giornalistici, sono quanto di più mercantile possa esistere.
Avesse davvero vinto Cannavaro, non potremmo che complimentarci con lui, riconoscendone la continuità e la qualità di rendimento, oltre al fair play, esibiti al Mondiale. Sinceramente, però restiamo della nostra idea e dell’idea della maggioranza di tecnici, ex giocatori, commentatori di ogni parte del globo: nessuno, per l’Italia di Lippi, è stato decisivo quanto Buffon. Anzi, sono addirittura convinto che la saldezza palesata dall’intero reparto difensivo in Germania, ivi comprese le prestazioni di Cannavaro, vada ascritta al portiere degli azzurri, battuto solo dall’autorete di un compagno (Zaccardo) e dal rigore di Zidane. E, come ho scritto nell’editoriale di Tuttosport di mercoledì 8 novembre, se Buffon dovesse cedere il premio a Cannavaro, suo compagno e capitano, saremmo di fronte «ad una palese ingiustizia tecnica e ad una clamorosa ammissione di incompetenza».
In ogni caso, si tratti del portiere o del difensore, va rilevata che questa è una vittoria del calcio italiano e una vittoria della Juve. Se è vero, infatti, che il Pallone d’Oro andrà, in ossequio alla consuetudine e alla tradizione, ad un calciatore della Nazionale campione del mondo, è altrettanto vero che sia Buffon, sia Cannavaro se lo stanno contendendo anche grazie all’ultimo scudetto conquistato in maglia bianconera. Non valesse questa considerazione, ci sarebbe da chiedersi perché, allora, il riconoscimento non venga assegnato ad Henry, secondo con l’Arsenal in Champions League, secondo con la Nazionale francese in un Mondiale nel quale comunque è stato protagonista, capocannoniere in Premier League con 27 gol. La ragione è semplicissima: perché l’Arsenal quella Premier non l’ha vinta, come Kakà non ha vinto lo scudetto in Italia. Quello – nonostante l’imbarazzante provvedimento dei tre saggi nominati dal professor Guido Rossi e le roboanti affermazioni di Moratti – sul campo è stato vinto dalla Juventus. Lo certifica la classifica e – lo ripeteremo all’infinito – l’inesistenza di inchieste penali e/o sportive, riconducibili all’annata 2005-2006. Assurdo e abusivo, piuttosto, è che lo scudetto sia stato appiccicato su qualche altra maglia e che non lo si voglia scucire nemmeno di fronte a patteggiamenti penali per ricettazione e falsificazioni di passaporto, a pedinamenti e spionaggi, vietati dalla legge dello Stato oltre che dall’ordinamento sportivo.
Per fortuna, anche se indirettamente, all’estero qualcuno sa distinguere il merito dall’impostura, arrivando a capire quando a vincere sono i calciatori, piuttosto che gli avvocati o i giudici faziosi.
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di martedì 14 Novembre 2006
In diretta da Parigi e dal resto d’Europa, ora le gole profonde manifestano imbarazzo e sconcerto. Le stesse fonti che ci avevano assicurato come e perché il Pallone d’Oro sarebbe andato a Buffon si sono fatte improvvisamente caute, titubanti, sfuggenti. L’iniziale e immediata accelerazione (voti e consensi da mezzo mondo) che ha regalato al portiere della Juve e della Nazionale un consistente vantaggio sugli antagonisti più accreditati, non sarebbe bastata. Dalla fuga solitaria saremmo passati al testa a testa, fino ad un possibile, anche se stupefacente, ribaltamento della situazione. E il Pallone d’Oro avrebbe cambiato nome, non nazione; cambiato ruolo, non reparto: Fabio Cannavaro, centrale difensivo, capitano dell’Italia campione del mondo 2006. Di ufficiale, e certo, in queste faccende non c’è nulla, meno che mai la smentita ad una notizia unanimemente prevista e da alcuni addirittura sbandierata. Tuttavia onestà impone di registrarla come una possibilità concreta, visto che sull’argomento Tuttosport aveva anticipato qualsiasi altro media, sicuramente irritando i vertici di France Football per come l’indiscrezione era stata ripresa e rilanciata in tutto il mondo.
Non siamo così maliziosi dal pensare di trovarci di fronte ad una manipolazione per riparare la violazione di un segreto. Però, troppe cose non tornano e ci piacerebbe davvero aver potuto assistere allo spoglio delle schede e al conteggio dei voti dei cinquantadue giornalisti, espressione di altrettante federazioni affiliate all’Uefa. Se i francesi si considerano «italiani di cattivo umore», peraltro assai più sciovinisti, perché mai dovrebbero porsi al di sopra di ogni sospetto? I premi, poi, da quelli letterari a quelli giornalistici, sono quanto di più mercantile possa esistere.
Avesse davvero vinto Cannavaro, non potremmo che complimentarci con lui, riconoscendone la continuità e la qualità di rendimento, oltre al fair play, esibiti al Mondiale. Sinceramente, però restiamo della nostra idea e dell’idea della maggioranza di tecnici, ex giocatori, commentatori di ogni parte del globo: nessuno, per l’Italia di Lippi, è stato decisivo quanto Buffon. Anzi, sono addirittura convinto che la saldezza palesata dall’intero reparto difensivo in Germania, ivi comprese le prestazioni di Cannavaro, vada ascritta al portiere degli azzurri, battuto solo dall’autorete di un compagno (Zaccardo) e dal rigore di Zidane. E, come ho scritto nell’editoriale di Tuttosport di mercoledì 8 novembre, se Buffon dovesse cedere il premio a Cannavaro, suo compagno e capitano, saremmo di fronte «ad una palese ingiustizia tecnica e ad una clamorosa ammissione di incompetenza».
In ogni caso, si tratti del portiere o del difensore, va rilevata che questa è una vittoria del calcio italiano e una vittoria della Juve. Se è vero, infatti, che il Pallone d’Oro andrà, in ossequio alla consuetudine e alla tradizione, ad un calciatore della Nazionale campione del mondo, è altrettanto vero che sia Buffon, sia Cannavaro se lo stanno contendendo anche grazie all’ultimo scudetto conquistato in maglia bianconera. Non valesse questa considerazione, ci sarebbe da chiedersi perché, allora, il riconoscimento non venga assegnato ad Henry, secondo con l’Arsenal in Champions League, secondo con la Nazionale francese in un Mondiale nel quale comunque è stato protagonista, capocannoniere in Premier League con 27 gol. La ragione è semplicissima: perché l’Arsenal quella Premier non l’ha vinta, come Kakà non ha vinto lo scudetto in Italia. Quello – nonostante l’imbarazzante provvedimento dei tre saggi nominati dal professor Guido Rossi e le roboanti affermazioni di Moratti – sul campo è stato vinto dalla Juventus. Lo certifica la classifica e – lo ripeteremo all’infinito – l’inesistenza di inchieste penali e/o sportive, riconducibili all’annata 2005-2006. Assurdo e abusivo, piuttosto, è che lo scudetto sia stato appiccicato su qualche altra maglia e che non lo si voglia scucire nemmeno di fronte a patteggiamenti penali per ricettazione e falsificazioni di passaporto, a pedinamenti e spionaggi, vietati dalla legge dello Stato oltre che dall’ordinamento sportivo.
Per fortuna, anche se indirettamente, all’estero qualcuno sa distinguere il merito dall’impostura, arrivando a capire quando a vincere sono i calciatori, piuttosto che gli avvocati o i giudici faziosi.
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