EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di martedì 31 Ottobre 2006
Roberto Mancini va così d’accordo con il mondo, ed è così ben visto nello spogliatoio interista, che sabato sera, subito dopo il successo dell’inter sul Milan, è stato l’involontario protagonista di una furibonda lite con mezza squadra: la propria. La notizia – confermata ieri dallo stesso Mancini – è stata anticipata da Il Giorno e si deve alla bravura della collega Laura Alari. Questo spiega almeno due cose. Uno, perché Mancini fosse così poco sereno davanti a domande e giornalisti (certe domande e certi giornalisti). Due, perché debba riflettere lungamente e compiutamente sul mestiere di allenatore che crede di esercitare meglio di qualsiasi altro, non capendo che di altro, rispetto al calciatore, si tratta.
Mi limito al più evidente degli errori commessi, sabato sera, durante il derby vinto con il Milan. Minuto 23’ della ripresa, espulsione di Materazzi dopo il gol del 4-1. Un allenatore normale avrebbe disposto la più logica delle sostituzioni: fuori una delle due punte (Ibrahimovic, già malconcio, comunque in riserva) e dentro un difensore: Samuel. Con quel vantaggio e contro un Milan disarticolato ma pesante in attacco, l’inter aveva come unica necessità quella di ricostituire la linea difensiva attraverso un centrale di ruolo. Ma se Samuel viene inserito solo al 39’ al posto di Ibrahimovic e Cruz fa avanti e indietro a scaldarsi, la giacca della tuta messa e tolta come ad un manichino, cosa volete che pensino diciotto uomini sudati e tesi di chi li guida? Che, come minimo, non conosca l’arte del comando e conosca poco la gestione delle risorse, delle persone, del gruppo. Secondo me, Mancini sa poco anche di tattica, o non sa trasmettere concetti tattici precisi, però questa è un’illazione malevola e antipatica, direbbe Moratti. Di sicuro per comunicare, e comunicare in maniera convincente, bisogna conoscere bene la lingua, il lessico, la struttura delle frasi e avere argomenti, tanti argomenti da saper reggere alle obiezioni, alle contestazioni o alle incalzanti domande dei calciatori-interlocutori. Tutto questo Mancini non lo può fare perché non possiede né il carisma di chi parla anche attraverso i silenzi, né la forza rivoluzionaria della parola.
Si dice sia stato un grande calciatore. Può essere, anche se in Nazionale non lo ha mai dimostrato e in una vera grande squadra nemmeno. Ma cosa avrà pensato Patrick Vieira di tutte le straordinarie esperienze da calciatore del suo attuale tecnico, se costui non è in grado di capire quante e quali conseguenze possa produrre giocare con una caviglia che non regge? E a Mancini serve davvero essere stato un calciatore professionista d’altissimo livello se manca su aspetti basilari?
Della burrascosa serata post-derby Mancini ha smentito solo di aver pensato alle dimissioni. Buona strategia, pensarci troppo non è da bravi comandanti. Tuttavia il favore del consenso è una necessità. E non si può disfare di notte e negli spogliatoi quanto è stato tessuto di giorno e sul campo.
GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di martedì 31 Ottobre 2006
Roberto Mancini va così d’accordo con il mondo, ed è così ben visto nello spogliatoio interista, che sabato sera, subito dopo il successo dell’inter sul Milan, è stato l’involontario protagonista di una furibonda lite con mezza squadra: la propria. La notizia – confermata ieri dallo stesso Mancini – è stata anticipata da Il Giorno e si deve alla bravura della collega Laura Alari. Questo spiega almeno due cose. Uno, perché Mancini fosse così poco sereno davanti a domande e giornalisti (certe domande e certi giornalisti). Due, perché debba riflettere lungamente e compiutamente sul mestiere di allenatore che crede di esercitare meglio di qualsiasi altro, non capendo che di altro, rispetto al calciatore, si tratta.
Mi limito al più evidente degli errori commessi, sabato sera, durante il derby vinto con il Milan. Minuto 23’ della ripresa, espulsione di Materazzi dopo il gol del 4-1. Un allenatore normale avrebbe disposto la più logica delle sostituzioni: fuori una delle due punte (Ibrahimovic, già malconcio, comunque in riserva) e dentro un difensore: Samuel. Con quel vantaggio e contro un Milan disarticolato ma pesante in attacco, l’inter aveva come unica necessità quella di ricostituire la linea difensiva attraverso un centrale di ruolo. Ma se Samuel viene inserito solo al 39’ al posto di Ibrahimovic e Cruz fa avanti e indietro a scaldarsi, la giacca della tuta messa e tolta come ad un manichino, cosa volete che pensino diciotto uomini sudati e tesi di chi li guida? Che, come minimo, non conosca l’arte del comando e conosca poco la gestione delle risorse, delle persone, del gruppo. Secondo me, Mancini sa poco anche di tattica, o non sa trasmettere concetti tattici precisi, però questa è un’illazione malevola e antipatica, direbbe Moratti. Di sicuro per comunicare, e comunicare in maniera convincente, bisogna conoscere bene la lingua, il lessico, la struttura delle frasi e avere argomenti, tanti argomenti da saper reggere alle obiezioni, alle contestazioni o alle incalzanti domande dei calciatori-interlocutori. Tutto questo Mancini non lo può fare perché non possiede né il carisma di chi parla anche attraverso i silenzi, né la forza rivoluzionaria della parola.
Si dice sia stato un grande calciatore. Può essere, anche se in Nazionale non lo ha mai dimostrato e in una vera grande squadra nemmeno. Ma cosa avrà pensato Patrick Vieira di tutte le straordinarie esperienze da calciatore del suo attuale tecnico, se costui non è in grado di capire quante e quali conseguenze possa produrre giocare con una caviglia che non regge? E a Mancini serve davvero essere stato un calciatore professionista d’altissimo livello se manca su aspetti basilari?
Della burrascosa serata post-derby Mancini ha smentito solo di aver pensato alle dimissioni. Buona strategia, pensarci troppo non è da bravi comandanti. Tuttavia il favore del consenso è una necessità. E non si può disfare di notte e negli spogliatoi quanto è stato tessuto di giorno e sul campo.
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