GIANCARLO PADOVAN
Da Tuttosport di giovedì 15 Febbraio 2007
Chi, a tutti i livelli, abbia accettato la Juve, non può sorprendersi che la Juve sia questo: condanna a vincere sempre (o il più spesso possibile); progetti di massima levatura e ambizione (al posto del vecchio Delle Alpi sorgerà uno stadio finalmente di proprietà del club); un’operazione-rinascita, dopo la distruzione di Calciopoli, più rapida di quanto indichino i tempi tecnici e fisiologici.
E’, dunque, del tutto logico, se non proprio accettabile, che alle perplessità della massa dei tifosi sulle qualità della squadra e/o di chi la guida, se ne sia aggiunta qualcun'altra da parte di Lapo Elkann. Ma il punto non è Deschamps, né Lippi. Come non lo sono, almeno per il momento, le volontà di chi comanda. C’è ancora troppa strada da percorrere da qui a giugno, ci sono troppi snodi vitali (e non solo calcistici) da imboccare, troppe variabili possibili e sconosciute per disegnare adesso e, senza indugio alcuno, il futuro. A meno che non lo si ipotizzi in maniera del tutto artificiale.
Il futuro innegabile è però reperibile nelle parole meditate di Alessandro Del Piero. Tra un colpo di fioretto all’inter e la rivendicazione di una carriera senza tramonto, Del Piero pone con leggerezza calviniana condizioni di indispensabile pesantezza: la costruzione di una squadra competitiva passa dalla volontà di investimento. E la volontà di investimento significa risorse da destinare all’acquisto di calciatori di primo livello.
Se, dunque, sul piano industriale la Juve si sta muovendo come una società non solo credibile, ma anche convincente e dotata di un proprio modello, dal punto di vista sportivo sta compiendo i primi passi. L’osservazione non riguarda i possibili acquisti per la prossima stagione o i calciatori, in regime di svincolo, già bloccati. Riguarda una progettualità che, al momento, pochi riescono a cogliere. Le parole di Del Piero, in aggiunta a quelle di Buffon, finalmente la indicano senza equivoco, inchiodando i vertici ad un’assunzione di responsabilità non più eludibile. Non sono solo i tifosi, in preda ad una rabbia mista a rancore; non sono solo 110 anni di storia di cui non è possibile perdere la dimensione; adesso, a imprimere un cambio di ritmo – che significa impegno solenne senza « se » e senza « ma » –, è il capitano. Amato, rispettato e cosciente.
Comunque la si pensi a proposito della sua traiettoria professionale, Del Piero rappresenta il centro di tutto. Possiede autorevolezza e carisma, equilibrio e passione. Ha avuto forza e pazienza, ha superato ogni fragilità e ogni miseria incardinando la propria figura in un sistema – valori, emozioni, sentimenti – riconosciuto e universalmente condiviso. Senza sbagliare e senza esagerare, si può sostenere che Del Piero oggi rappresenti la Juve assai più di quanto possano la dirigenza e l’allenatore. Del Piero parla così proprio perché sa, più di chiunque altro tra i giocatori, i manager e perfino la proprietà, che cosa la Juve sia. E che cosa, in fretta, debba tornare a essere.
E’, dunque, del tutto logico, se non proprio accettabile, che alle perplessità della massa dei tifosi sulle qualità della squadra e/o di chi la guida, se ne sia aggiunta qualcun'altra da parte di Lapo Elkann. Ma il punto non è Deschamps, né Lippi. Come non lo sono, almeno per il momento, le volontà di chi comanda. C’è ancora troppa strada da percorrere da qui a giugno, ci sono troppi snodi vitali (e non solo calcistici) da imboccare, troppe variabili possibili e sconosciute per disegnare adesso e, senza indugio alcuno, il futuro. A meno che non lo si ipotizzi in maniera del tutto artificiale.
Il futuro innegabile è però reperibile nelle parole meditate di Alessandro Del Piero. Tra un colpo di fioretto all’inter e la rivendicazione di una carriera senza tramonto, Del Piero pone con leggerezza calviniana condizioni di indispensabile pesantezza: la costruzione di una squadra competitiva passa dalla volontà di investimento. E la volontà di investimento significa risorse da destinare all’acquisto di calciatori di primo livello.
Se, dunque, sul piano industriale la Juve si sta muovendo come una società non solo credibile, ma anche convincente e dotata di un proprio modello, dal punto di vista sportivo sta compiendo i primi passi. L’osservazione non riguarda i possibili acquisti per la prossima stagione o i calciatori, in regime di svincolo, già bloccati. Riguarda una progettualità che, al momento, pochi riescono a cogliere. Le parole di Del Piero, in aggiunta a quelle di Buffon, finalmente la indicano senza equivoco, inchiodando i vertici ad un’assunzione di responsabilità non più eludibile. Non sono solo i tifosi, in preda ad una rabbia mista a rancore; non sono solo 110 anni di storia di cui non è possibile perdere la dimensione; adesso, a imprimere un cambio di ritmo – che significa impegno solenne senza « se » e senza « ma » –, è il capitano. Amato, rispettato e cosciente.
Comunque la si pensi a proposito della sua traiettoria professionale, Del Piero rappresenta il centro di tutto. Possiede autorevolezza e carisma, equilibrio e passione. Ha avuto forza e pazienza, ha superato ogni fragilità e ogni miseria incardinando la propria figura in un sistema – valori, emozioni, sentimenti – riconosciuto e universalmente condiviso. Senza sbagliare e senza esagerare, si può sostenere che Del Piero oggi rappresenti la Juve assai più di quanto possano la dirigenza e l’allenatore. Del Piero parla così proprio perché sa, più di chiunque altro tra i giocatori, i manager e perfino la proprietà, che cosa la Juve sia. E che cosa, in fretta, debba tornare a essere.
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