Saturday, October 28, 2006

LA PROSSIMA VOLTA DITE A ZACCONE DI STARSENE ZITTO

L'ARTICOLO
FAUSTO CARIOTI
Da Libero di sabato 28 Ottobre 2006

L'avvocato Cesare Zaccone avrà sempre dalla sua parte il beneficio del dubbio: nessuno saprà mai dove sarebbe adesso la Juventus se, invece che da lui, fosse stata difesa da un altro. Ma non ci sono dubbi sul fatto che, nelle due occasioni più importanti in cui è stato chiamato a parlare, qualunque altra scelta sarebbe stata migliore delle sue parole. Compreso il silenzio. Lo sventurato rispose una prima volta il 5 luglio, a domanda diretta del giudice Cesare Ruperto. «Una pena accettabile, per noi, sarebbe la serie B con punti di penalizzazione», balbettò Zaccone, colto di sorpresa come uno studente che all'esame di maturità viene interpellato su un argomento che nemmeno sapeva facesse parte del programma. Da quel giorno, il presidente juventino Giovanni Cobolli Gigli è costretto, tra mille imbarazzi, a rettificare quanto detto dal suo avvocato, e cioè che la Juventus, in realtà, avrebbe meritato «la serie A con una congrua penalizzazione». Sempre da quel giorno, ogni volta che al bar un tifoso juventino si lamenta per il trattamento ricevuto dalla giustizia sportiva, spunta fuori il milanista o il romanista di turno che gli sbatte in faccia quella maledetta frase: «La serie B l'avete chiesta voi, di cosa vi lamentate?». Il malcapitato, a questo punto, invia l'ennesimo pensiero di ringraziamento a Zaccone e rimpiange i bei tempi di Luciano Moggi, quando era primo in classifica e al bar litigava per il rigore dato alla Juventus all'89° minuto, e prima di salutare tirava fuori dal taschino la classifica della serie A per mostrarla agli invidiosi. Zaccone si è ripetuto giovedì. Davanti agli incavolati tifosi-azionisti, nostalgici della passata gestione, ha detto che la situazione della società bianconera, al processo, era in realtà «da serie C». Occhio ai tempi: in quelle stesse ore, la Juventus stava trattando col Coni per farsi azzerare, o almeno decurtare, i 17 punti di penalizzazione con i quali è stata condannata alla serie B, e di certo una simile ammissione non ha giovato alla credibilità del tentativo. Parafrasando l'Avvocato, quello con la maiuscola: «Serie B humanum, serie C diabolicum». Contro la Juventus, si è giustificato Zaccone, c'erano «settemila pagine di verbali». Ma se i processi dovessero essere decisi dal numero di pagine stampate dall'accusa, Giulio Andreotti avrebbe potuto presentarsi direttamente all'Ucciardone con la divisa a righe, invece che al tribunale di Palermo. Soprattutto perché, alla fine, da quelle settemila pagine è uscito materiale per una condanna in base alla violazione dell'articolo 1 del codice di giustizia sportiva (principio di lealtà), e non dell'articolo 6 (illecito sportivo), ben più importante. Moggi e Giraudo sono stati condannati per un solo episodio di illecito, che negli appelli potrà anche trasformarsi in qualcosa di più lieve. Insomma, c'erano mille ragioni per non alzare bandiera bianca. La verità, anche se dolorosa per i bianconeri, è che la Juventus avrebbe dovuto prendere esempio dall'inter. Negando con ostinazione ogni coinvolgimento diretto, la società di Massimo Moratti è uscita indenne dal processo sportivo per il falso passaporto comunitario di Alvaro Recoba, nonostante sia stata accertata la responsabilità del direttore tecnico nerazzurro Gabriele Oriali (il quale, assieme a Recoba, ha fatto anche un patteggiamento in sede penale), e malgrado dalle casse interiste, per chiudere l'operazione, fosse uscito un bonifico da 80mila dollari. Se a gennaio Cobolli Gigli riuscirà a farsi dare da Moratti i legali dell'inter, girandogli in cambio Zaccone, avrà realizzato la migliore operazione di calciomercato degli ultimi anni.

BLANC: «I CAMPIONI RESTANO»

L'ARTICOLO
VITTORIO OREGGIA
Da Tuttosport di venerdì 27 Ottobre 2006

Se la Juventus sarà capace di realizzare i medesimi progressi che l’amministratore delegato Jean Claude Blanc ha compiuto in pochi mesi nell’uso della lingua italiana, ancorchè supportato da una traduttrice suggeritrice, la società nata dalle ceneri del colosso umbertiano presto tornerà a essere competitiva ai massimi livelli. In en­trambi i casi, la determinazione non può che essere feroce. E il lavoro, oltre che matto, anche disperatissimo. Così, uno dei tanti francesi del club bianconero - se non il più popolare per lo meno il più determinante - è riuscito a spiegare nel corso delle sei ore di Assemblea degli azionisti e nei trenta minuti dedicati alla conferenza stampa, come intende riconsegnare alla nobiltà italiana ed europea una squadra precipitata in serie B per colpa dello scandalo di calciopoli. La strada maestra non è una discesa, per carità, ma non è neppure una salita dolomitica. E’ una strada, appunto, da percorrere con prudenza e rispettando la segnaletica: «Quest’estate abbiamo deciso di ri­sparmiare, con tagli persino drastici, tranne che sui regali di Natale per i bambini e sulla prima squadra. In modo da vincere subito. La nostra volontà è di avere grandi giocatori per il futuro, faremo tutto il possibile per trovare un’apertura e raggiungere un accordo con i fuoriclasse che già lottano per noi. Il progetto sportivo del 2007 sarà una sfida fantastica perché desideriamo riproporci immediatamente ai vertici della serie A». Non si muove nessuno, insomma. Anzi, arriverà qualcuno. Un messaggio importante a beneficio dei tifosi, per la verità piuttosto arrabbiati con la nuova dirigenza, e una comunicazione di servizio a beneficio di quei fuoriclasse che sono rimasti per un atto di riconoscenza ( Buffon) o per una forma di coercizione aziendale ( Camoranesi e Trezeguet). Tutti decisi a ridiscutere la loro posizione contrattuale intorno a di­cembre, massimo gennaio. La Juventus non intende smobilitare, al contrario esiste un progetto per riconsegnare immediatamente dignità al sodalizio bianconero travolto dallo tsunami dello scandalo di Piedi Puliti. Blanc ha specificato che l’idea è quella di realizzare in mix tra campioni affermati e baby di belle speranze. «Il settore giovanile sarà organizzato in maniera selettiva, fra tre anni garantirà un contributo sostanzioso alla squadra», e dunque verrà «potenziata l’area dello scouting». L’Ad ha scandito per sino i tempi tecnici della rifondazione: «Alla fine del 2006 presenteremo il piano industriale che prevede iniziative considerevoli per riportare la società all’apice della serie A. Saranno specificati l’importo degli investimenti relativi ai calciatori per i prossimi cinque anni, l’importo degli investimenti per lo sviluppo del club, l’importo per gli investimenti legati allo sviluppo dello stadio. Insieme all’azionista di riferimento, valuteremo quale sarà il fabbisogno per realizzarlo». L’Ifil, dunque, potrebbe mettere mano al portafoglio e finanziare la rinascita della Juventus, tenuto conto però che lo stesso amministratore delegato ha tracciato un quadro non proprio idilliaco della situazione: «Ci vorrà del tempo, una volta che saremo tornati in serie A, perché vengano riaggiunti i ricavi del recente passato». Uno sponsor, il più prestigioso e munifico, la Tamoil, è scappato, gli altri sono rimasti ma hanno abbassato del 30-35% il gettito di denaro: «Con Tamoil abbiamo avviato la rinegoziazione dell’intesa, mal­grado i libici stiano per vendere la compagnia e questo è un dettaglio che non aiuta. Però per la fine di novembre contiamo di aver chiuso. Tamoil e Nike attribuiscono molta importanza alla partecipazione alla Champions League. E la Juventus per due stagioni è fuori, con una perdita secca - tra l’altro - di 22 milioni di euro all’anno». Con Sky, invece, c’è intesa su tutta la linea e con Mediaset è stato siglato un contratto biennale. «Il marketing, specialmente a livello internazionale, dovrà garantirci introiti cospicui», ha poi aggiunto Blanc. La Cina e più in generale il mercato dell’Estremo Oriente sono i terreni di conquista per realizzare la colonizzazione bianconera.
Un passo alla volta, comunque. Nel ripercorrere il cammino compiuto dal 29 giugno a ieri, Blanc ha sviluppato una ricostruzione cronologica fedele e drammatica insieme: «A 120 giorni dall’elezione del nuovo Consiglio di amministrazione, abbiamo affrontato una delle situazioni più ardue della storia juventina. Abbiamo scelto l’allenatore e formato lo staff tecnico in due settimane, abbiamo confermato la fiducia nello staff medico, siamo intervenuti sul mercato cercando di creare un’architettura di squadra molto compatta. Le cessioni sono state effettuate tenendo conto dell’età, del valore e del desiderio di allestire una formazione competitiva. L’obiettivo finanziario era quello di realizzare plusvalenze straordinarie per compensare i disagi economici della retrocessione, l’obiettivo sportivo era quello di mantenere una struttura competitiva anche per i prossimi anni. Io ringrazio i calciatori che hanno rispettato gli impegni, al pari di coloro che hanno accettato di venire nonostante non ci fosse chiarezza tra serie A e serie B». Oggi, dopo quello che ha detto, magari resterebbero e verrebbero più volentieri. A chi lo ha preso in giro («quando ha visto la prima partita di calcio? Qui non è il tennis»), Blanc ha replicato con ironia tagliente. Molto francese: «Conosco lo sport e il calcio più di quanto qualcuno pensi. Se devo parlare con il presidente del Real Madrid, Calderon, o con quello del Barcellona, Laporta, non ho problemi ».

QUANTA SUPERFICIALITA' NELLA SENTENZA SANDULLI

L'ARTICOLO
LUCIANO MOGGI
Stralcio da Libero di venerdì 27 Ottobre 2006

Una divagazione - dovuta - in merito a quanto detto dal prof. Sandulli lunedì, in un'intervista rilasciata a Telelombardia. Il professore è tornato a discutere della sentenza emessa dalla Corte Ferderale. Dice, a proposito della vicenda Calciopoli: «Pur non essendoci le prove di vicende che comportavano la sussistenza di un Articolo 6, abbiamo una serie di avvenimenti che non ci lasciano tranquilli...». Non me ne vorranno i lettori, ma non posso far finta di niente: ognuno poi si farà la sua opinione. Ecco uno stralcio della sentenza emessa il 25 luglio 2006 dalla Corte Federale (secondo grado di giustizia sportiva), presieduta proprio da Piero Sandulli: «Va confermata la pena di cinque anni di inibizione e di preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della Figc e all'ammenda di 50.000 euro motivatamente inflitta a Moggi, alla luce sia dell'affermata responsabilità per gravi episodi di illecito sportivo, sia dalla protrazione nel tempo, sostanzialmente corrispondente allo svolgimento del campionato 2004-05, della sua condotta strutturalmente rivolta al conseguimento dello scopo di alterazione della competizione per effetto del condizionamento della classe arbitrale». E poi, titolo del "Corriere della Sera" del 28 luglio 2006: «Intervista del presidente della Corte Federale al "Romanista" Sandulli: "Il campionato era regolare, non ci sono illeciti, il torneo 2004-05 non è stato falsato. L'unico dubbio riguarda Lecce-Parma. Carraro? Non ha alterato i risultati». E infine, titolo della "Gazzetta dello Sport" del 18 ottobre 2006: «Sandulli: "Moggi dice il falso. Non ho mai definito regolare il campionato 200405"». Ora, anche un bambino può verificare che le dichiarazioni del Sandulli sono totalmente in contrasto, quindi è importante capire chi ha creato questo "equivoco" e perché l'ha fatto. Che sia stata la famosa cupola? Se Sandulli dichiara falso quello che io ho ripreso testualmente dal Corriere, perché il suddetto non si è sentito in dovere di chiedere una correzione al quotidiano milanese? E' possibile che il Sandulli, in tutto questo tempo non sia stato al corrente dell'articolo, ripreso da tutta la stampa nazionale e internazionale? Si respira lo stesso clima di confusione che ha offuscato il processo sportivo, e vien da sorridere a sentire la dichiarazione del Sandulli quando dice «La sentenza è chiarissima. Noi abbiamo solo preso atto di tutti i precedenti e abbiamo dovuto ammettere che non era possibile parlare di "illecito conclamato", ma si trattava di una serie di violazioni, di condizionamenti, che hanno portato a quelle decisioni. Non c'era la prova provata dell'illecito come viene inteso nella scrittura del codice di giustizia sportiva dell'ormai lontano 1988, ma da questo parlare di campionato regolare ne passa. Come avremmo potuto stabilire le penalizzazioni e la serie B della Juventus se non ci fossero state violazioni?». Frasi senza senso che mi scagionano

A mio parere la composizione delle frasi (della sentenza) e il relativo tentativo di correlazione e giustificazione tra esse è quanto di più ardito e confuso si possa immaginare. Chi ha bisogno di tante parole per spiegare qualcosa, probabilmente non ha niente da spiegare. Bisogna però rilevare una certa "coerenza nella confusione" in quello che con molta fantasia è stato definito "Processo Sportivo". Quando Sandulli dice «abbiamo dovuto ammettere...» fa capire chiaramente di essere dispiaciuto per non aver trovato colpe e colpevoli, come se fosse indispensabile in un processo trovare un capro espiatorio. Pazzesco. E poi, quando dice: «Si trattava di una serie di violazioni, di condizionamenti che hanno portato a quelle sentenze» mi vien da rispondere: violazioni di cosa? Condizionamenti di che tipo? Pur senza dare alcuna spiegazione in merito, queste "colpe astratte" servono a dare giustificazione giuridica a "sentenze reali". E ancora: «Non c'era la prova provata dell'illecito...». Mi sembra superfluo specificare che non esiste una "prova provata", si tratta di una ridondanza letterale, come dire "una vita viva", "una morte morta", un "amore amato": non essendoci un "illecito conclamato", si vuole provare a tutti i costi che ci sia un illecito semplice! Per non parlare del capolavoro: «...ma da questo a parlare di campionato regolare ne passa». Quest'ultima frase mi scagiona completamente. Se a mio carico non c'era alcuna "prova provata", ma il campionato "non è stato regolare", allora significa che forse era il caso di indagare altri soggetti; ricordo che la Juve è stata condannata secondo l'Articolo 6, ma gli sono stati imputati solo Articoli 1, mentre gli altri club interessati sono stati condannati per l'Articolo 1 invece che per l'apposito Articolo 6. Fate voi. E sul presunto «condizionamento della classe arbitrale» mi viene in mente il famoso "sequestro Paparesta", episodio smentito dagli stessi dirigenti della Reggina e dal fischietto interessato, che si è accorto di essere stato "sequestrato" soltanto dopo aver letto i giornali. Diciamolo ad alta voce: gli arbitri sbagliano da soli, quest'anno più che mai anche senza Moggi (vedi gol "regalato" a Mexes in Roma-Ascoli 2-2). Chiusura col botto. Sandulli dice: «Come avremmo potuto stabilire le penalizzazioni e la serie B della Juventus se non ci fossero state violazioni?». Questo è il paradosso totale! Una affermazione che dimostra chiaramente tutta la tragicità di quello che è stato definito "processo sportivo". In una continua confusione lessicale, satura di contrasti concettuali, di metodo, regole e quant'altro, continua ad esistere una sola linea comune tra coloro che giudicano la Juventus: bisogna condannarla! Abbiamo inflitto una pena, quindi sono colpevoli! La prova della colpevolezza della Juventus è tutta nella pena che è stata inflitta. Fatta la pena, trovata la colpa. Sandulli fa molto bene a concludere il capitolo con questa domanda, perché è una delle tante alle quali nessuno ha dato risposta. Certo, se voleva essere chiaro poteva rispondere, ma essendo questa una dichiarazione spontanea, chiarificatrice, è evidente che la risposta a questa domanda non la conosce nemmeno lui.

luciano.moggi@libero-news.it

Thursday, October 26, 2006

LA SAPETE L'ULTIMA DI DE SANTIS?

L'ARTICOLO
ANDREA SARONNI
Da Libero di mercoledì 25 Ottobre 2006

A questo punto, vogliamo sapere a che squadra tiene Cipriani, lo 007 più gettonato in Via Durini. Appurato come dapprima ha messo a disposizione e quindi fornito i suoi servigi, ci sono concrete speranze che sia tifoso dell'inter e quindi non rovini questo quadretto sempre più caratterizzato da innamorati del Biscione. Ma quello che non ti aspetti di trovarti in questa lotta fratricida non è certo Massimo Moratti, o Bobone Vieri, o tantomeno Guido Rossi. Ora salta fuori che pure sotto la giacchetta nera di Massimo De Santis, batte un cuore nerazzurro, evidentemente ferito dalla guerra scatenatagli contro proprio dalla Beneamata. L'ha rivelato lui stesso, in un'intervista al quotidiano online "Affari Italiani": «Da piccolo tenevo per l'inter. Ma era un'Inter di un certo tipo, che vinceva. Le squadre forti hanno sempre vinto sul campo». Beh, insomma, vinceva. De Santis è un '62, quindi la corazzata herreriana se l'è vista nelle immagini di repertorio. Dagli anni '70 in poi, avrà avuto pure lui qualche dispiacere vedendo annaspare l'armata nerazzurra. Curioso immaginarlo ancora giovanetto, alla radio, a soffrire per Boninsegna o Facchetti: la vita è strana, vero? Quando poi si è trovato faccia a faccia col suo ex idolo, considerato che era un arbitro "top class" e che gli piacciono le squadre "di un certo tipo", aveva nel frattempo cambiato idea e simpatie. Certamente non è facile figurarsi l'interista o ex-interista De Santis con una seppur lieve fitta al cuore il fatidico 5 maggio 2002, visto che due settimane prima, al "Bentegodi", fece segno con la manina a Ronaldo, abbattuto in piena area, di alzarsi e di non fare sceneggiate: un piccolo e significativo contributo al successivo sfacelo nerazzurro. Però gli amori veri non si dimenticano mai ed è lo stesso De Santis ad affermare che ora, dopo essere stato buttato fuori dalla porta del carrozzone calcio, sta «riscoprendo dei valori della vita che prima aveva perso di vista». Non è che sotto sotto, tra questi, c'è anche la passione per l'inter? Pensate che scena, il prossimo maggio, vedere De Santis seminascosto in tribuna a San Siro gioire per uno scudetto conquistato sul campo, come piace a lui. E magari, risalendo le scalette, una stretta di mano con Moratti, Tronchetti Provera, Guido Rossi. E poi tutti via, a festeggiare. Altro che Calciopoli.

Tuesday, October 24, 2006

COME REAL E BARCELLONA

L'INTERVENTO
PAOLO BERTINETTI *
da Tuttosport di martedì 24 Ottobre

Oggi nasce ufficialmente l’Associazione Nazionale Amici del­la Juventus, Juve 2006, che, come già annunciato su Tut­tosport, si propone di promuovere l’immagine positiva e la sto­ria vittoriosa della squadra juventina. Che è quanto, con deci­sione e senza complessi di colpa, noi del “manifesto biancone­ro” già abbiamo fatto in questi tre mesi. Altre associazioni e al­tri club si propongono grosso modo le stesse finalità, ciascuno con le proprie strategie, magari in parte diverse, ma tutti con que­sto stesso obbiettivo. Forse è opportuno riassumere non solo le ragioni, ma addirittu­ra la necessità di questo nostro impegno.
1) L’inchiesta di “calciopoli” è partita non per fare pulizia nel mon­do del calcio ma per punire una sola squadra, la Juventus.
2) Quando si è visto che i dati emersi contro la Juve erano poca cosa e che la fase dei giudizi sarebbe iniziata troppo tardi (a lu­glio, se non ad agosto) e quindi a campionato già definito, si è de­ciso di creare subito lo scandalo rendendo pubbliche alcune in­tercettazioni (cosa peraltro illegale, ma tant’è!).
3) A rendere lo scandalo operativo ha poi immediatamente prov­veduto il linciaggio mediatico (Tv e giornali), che ha deciso le sen­tenze prima ancora che incominciassero i cosiddetti processi. Di più: che ha creato un’opinione diffusa di colpevolezza totale del­la Juventus, ingannando persino parecchi dei suoi sostenitori. Questa, a mio avviso, è la storia di calciopoli. La Juventus, devo­no saperlo i suoi tifosi, in particolare quelli che si cospargevano il capo di cenere, non è colpevole, ma è vittima della più ipocrita campagna moralistica che si sia vista nel mondo del calcio ita­liano. Infatti, come sappiamo, sin da subito la proprietà decise di sostituire completamente la dirigenza della squadra: una scelta che risponde al nobile principio per cui è sufficiente il sospetto nei confronti delle proprie attività per sospendere o allontanare le persone che sono all’origine del sospetto. Un principio quasi del tutto estraneo alla mentalità italiana, tant’è vero che non è sta­to tenuto in nessun conto; mentre è stato premiante l’atteggiamento opposto (Berlusconi “ordinò” a Galliani di rimanere al suo po­sto). In realtà nessuno voleva pulizia e giustizia (tanto meno i fal­sificatori di passaporti: quelli milanesi, certo, e quelli romani di cui neppure si parla più). Si voleva soltanto affossare la Juve. L’ex procuratore federale De Biase (che ovviamente della mate­ria se ne intende) ha spiegato che, in base a ciò che è emerso, la pena corrispondente poteva essere di due punti di penalizzazione più una grossa multa. In altre parole: la Juventus è stata vittima di un’ingiustizia colossale. Molti, adesso, lo riconoscono. Lo di­cono ora, a cose fatte e concluse; ma si sono ben guardati dal dir­lo quando a qualcosa poteva servire. E si riferiscono alla pena­lizzazione in B, non al fatto che è la retrocessione ad essere una clamorosa ingiustizia. La pena al massimo avrebbe dovuto esse­re la stessa data al Milan, che come notava Baldassarre, già pre­sidente della Corte Costituzionale, risulta avere avuto colpe non meno lievi della Juve: cioè la A con qualche punto in meno e la Champions in più (si noti che ancora domenica sera Berlusconi ha dichiarato che si aspetta l’annullamento di ogni penalità). In­vece la Juventus è stata condannata ferocemente: non per un qual­che illecito, ma perché colpevole di vincere troppo e di non esse­re né di Roma né di Milano. A mio avviso, chi non riconosce que­ste ovvie verità o non ha capito niente o fa finta di non capire. Ancora una cosa: l’azionariato popolare. A noi di Juve 2006 sembra un’ottima idea. Se tale sembrerà anche alla proprietà, la Ju­ventus potrà stabilire un nuovo primato. Sarà la prima in Italia ad essere come il Barcellona e il Real Madrid.

P.S. Il sito dell’Associazione, in fase di realizzazione, sarà www.ju­ve2006.it

* Preside della Facoltà di Lingue dell’Università di To­rino e promotore del Manifesto Bianconero

Saturday, October 21, 2006

AVREI DELLE DOMANDE DA FARE A MORATTI

EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
da Tuttosport di sabato 21 Ottobre


Nelle mie letture quotidiane devo essere proprio sfortunato. Non ho ancora trovato un collega che faccia qualche domanda originale al futuro presidente dell’inter, Massimo Moratti. Le farei io stesso se il patron-presidente me lo permettesse, ma nonostante la cura e l’attenzione che da giorni gli riservo, non mi riesce di ottenere un confronto diretto, anche telefonico naturalmente, data la distanza e le peripezie autostradali che separano Torino da Milano. Certo, non sono così presuntuoso da pretendere che un patron si scomodi per un modesto direttore di giornale, ma per il giornale che quel direttore rappresenta si, almeno una telefonata, al posto di Moratti io l’avrei fatta. Alla mia maniera che – lo si sa – non è la maniera, assai misurata, di Moratti. Tuttavia se io fossi lui non gradirei che quasi tutti i giorni un quotidiano sportivo mi ricordasse il fastidioso epilogo della sentenza-Recoba (parlo del penale, non della cosiddetta giustizia sportiva che già allora fu scandalosa), facendomi notare che lo scudetto che mi sono appiccicato sulla maglia tutto è fuorchè quello degli onesti. Magari proverei a spiegare e a giustificarmi, al limite scaricherei la colpa su qualcuno se davvero non c’entrassi o, al culmine di un supremo atto di probità, ammetterei: si, è vero, anche l’inter ha sbagliato, non per questo meritiamo la serie B o la lapidazione pubblica.
Purtroppo nessuno pone a Moratti domande sul passaporto comunitario di Recoba (pena patteggiata dal giocatore e dal collaboratore e tesserato Gabriele Oriali), nessuno gli chiede se con quello sia stato varcato o meno il confine dell’illecito e perchè una posizione così pesantemente irregolare sia stata sbrigativamente sanata dalla giustizia sportiva di allora (la stessa di adesso). Tutti tacciono e Moratti parla. Addirittura ieri, nella sua immancabile intervista alla Gazzetta dello Sport, a proposito delle sentenze dell’arbitrato, si è permesso di dolersi del “voltafaccia mediatico e non”. Voltafaccia mediatico? Ce l’ha con Tuttosport? Perché, ove mai ce l’avesse, mi piacerebbe spiegare al patron che raccontare di uomini, fatti, relazioni tra Telecom e inter è compito del giudice (sportivo e non), oltre che del giornalista. E poi queste frasi inutilmente allusive: “ho la sensazione che certe persone coinvolte abbiano interesse ad utilizzare l’inter di sponda per vedersi ridurre le penalizzazioni”. Chi sono queste persone? Forse Moggi? Moggi non è stato penalizzato, ma squalificato e poi cosa c’entra con la Juve attuale? Pensa a Cobolli Gigli? Strano, se poco più avanti nell’intervista definisce “ottimi” i rapporti con la nuova dirigenza bianconera.
Davvero mi piacerebbe parlare con Massimo Moratti perché avrei tanto da chiedergli. Non solo sui pedinamenti e le spiate a De Santis e a Vieri. Ma sul concetto del diritto individuale, sul rispetto della persona, sul ruolo dei controllori, sul valore delle istituzioni. Certo avrei da chiedergli più di quanto mi potrebbe raccontare. E allora capisco perché non chiami e non voglia essere chiamato.


Wednesday, October 18, 2006

UNA GIUSTIZIA FORMATO MORATTI

EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
da Tuttosport di mercoledì 18 Ottobre


Il vittimismo di Massimo Moratti sta diventando un problema serio, forse irrisolvibile. Non pago di avere ottenuto uno scudetto a tavolino, di avere scampato ogni tipo di punizione sportiva (ah, la giustizia!) per il passaporto falsificato di Recoba (coinvolti il giocatore e il tesserato Gabriele Oriali), di essere stato protetto dalla grande stampa milanese sulle connessioni calcistiche della vicenda Telecom, il petroliere si permette ancora battute da bar dissimulate dal suo gelido snobismo. L’ultima – fiacca anche come battuta – riguarda Ibrahimovic e la faccenda dello sputo verso Sottil. Alla Gazzetta dello Sport di ieri, Moratti ha affermato: «Mi dispiace che Ibrahimovic, da quando è all’inter, sia seguito dalle telecamere come non lo era mai stato in precedenza. Deve stare attento anche a come cammina ». Detto, non tanto per inciso, che l’abitudine di pedinare i giocatori è – per stessa ammissione di Moratti – una regola di casa-inter, il patron dimentica quanto successe a Ibrahimovic quando ancora giocava nella rinnegatissima Juventus. Correva la stagione 2004 2005, trentaduesima giornata, sei alla conclusione: durante Juventus-Inter (arbitro De Santis) lo svedese viene espulso. Ma la prova tv lo inchioda ad una sanzione più pesante perché effettua una specie di cravatta, assai poco elegante, su Cordoba. Episodio registrato da una telecamera supplementare in dotazione a Mediaset. Risultato: Ibrahimovic squalificato per tre turni (uno per il rosso, due da prova televisiva) in vista dello scontro diretto con il Milan, impegnato spalla a spalla a contendere lo scudetto alla Juve. Quella volta, a San Siro, risolse Trezeguet su assist di Del Piero (rovesciata). Arbitro Collina, una garanzia, così dicevano. Certo, a riesumare molti episodi (grazie al prezioso ausilio di Massimo Fiandrino), viene solo da sorridere, pensando che fu proprio quella del 2004-2005 la stagione dello scandalo. Possibile che il sistema-Moggi, così potente e così ramificato, non arrivasse a mitigare o a interdire un semplice provvedimento disciplinare? Fu dav­vero del tutto irregolare quel campionato se allora Ibrahimovic pagò in un momento tanto cruciale della stagione, mentre oggi che è all’inter nemmeno viene giudicato? E quale potere sovrintende adesso il calcio se nelle prime sei partite l’inter si è già trovata di fronte due squadre prive di altrettanti titolari, espulsi la domenica precedente e squalificati in settimana? E’ accaduto con Sampdoria (Falcone e Delvecchio nella gara con l’Empoli) e Catania (Biso e Stovini in quella con la Fiorentina). Riaccadrà domenica (settimo turno) quando l’Inter si scontrerà con l’Udinese per difendere il primato. Farlo senza Muntari, cacciato a Parma, sarà forse più facile. Eppure Moratti non si lamenta.

Tuesday, October 17, 2006

AVERE GIUSTIZIA E’ UN DIRITTO

EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
da Tuttosport di lunedì 17 Ottobre

La nevrosi anti-juventina sta dilagando. Più la squadra di Deschamps imprime al proprio cammino le frequenze della protagonista assoluta (sedici punti in sei partite, sarebbe già prima pur dovendo recuperare la gara con il Brescia), più si levano petulanti e interessate le lamentazioni di chi in classifica la precede solo in virtù della penalizzazione. La Juve, dunque, è condannata ad un perenne paradosso: da una parte è stato ritenuto inevitabile che la giustizia sportiva le dovesse sottrarre uno scudetto (l’ultimo), stravinto e strameritato sul campo; dall’altra, non si accetta l’idea che quella stessa giustizia completi il suo corso con l’ultimo passaggio possibile, perché sul campo (la serie B) la Juve è troppo forte. L’arbitrato, lo ripetiamo a beneficio di quanti lo ignorano o fingono di ignorarlo, non è stato inventato per aiutare la Juve, ma rappresenta un grado di giustizia e ad esso si può ricorrere. A maggior ragione se, come nel caso dei bianconeri, la decisione era conseguente alla rinuncia al Tar. Un diritto, non un artifizio. Un giudizio, non un patteggiamento. In quelli è maestra l’Inter di Moratti, Oriali e Recoba.
Purtroppo in Italia viviamo immersi nel melodramma, tantopiù se si parla di calcio. Nessuno, a parte Tuttosport, obietta che lo scandalo risieda nel fatto che a pagare, ma a pagare duramente, sia stata solo la Juve; che la sentenza fosse complessivamente squilibrata e iniqua; che il sistema-Moggi esistesse esclusivamente in quanto teorema, visto che Franco Carraro è uscito illeso e soltanto un arbitro è stato condannato. Si rimuove tutto, con puerile superficialità, come se una retrocessione in serie B, per di più con penalizzazione (prima meno 30, poi meno 17), due scudetti revocati, l’estromissione dalla Champions League e il conseguente smantellamento della squadra, concessione dei migliori elementi, non costituisse una sproporzione giuridica e logica, in rapporto alla violazione dell’articolo 1. Ovvio che, per salvaguardare l’impianto accusatorio allestito da Palazzi, la Juve dovesse subire una condanna. Ma la sanzione che l’ha accompagnata resta intollerabile.
Al contrario di molti commentatori, sono certo che la Juve otterrà una riduzione dell’handicap (dagli otto ai dieci punti) e che però questo non basterà a fare giustizia. Tantopiù se, come sembra, pure il Milan beneficerà dell’arbitrato. Un’altra sentenza politica – come sono state quelle di primo e di secondo grado – sarebbe ancor più vergognosa delle precedenti. Peggio, nel caso in cui, come temo, alla Juve venisse addebitata, in una sorta di aggravante indiretta, la sua straordinaria partenza nel campionato di serie B. Sostenere che i bianconeri riuscirebbero a conquistare la serie A comunque, cioé mantenendo per intero l’attuale handicap, è ipocrita e, soprattutto, irrilevante. O si prova a fare giustizia o la si cerca altrove. Stavolta senza più remore.

Saturday, October 14, 2006

VERO ABUSO DI CAMPIONE

EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
da Tuttosport di venerdì 13 Ottobre


Non so cosa Donadoni abbia detto a Del Piero il giorno in cui, dopo Berlino, l’ha richiamato in Nazionale. So di certo cosa gli avrei detto io, se fossi stato al posto di Del Piero, alla prima esclusione dalla lista dei convocati: mister, grazie lo stesso, ma chiudo qui. In fondo, la Coppa del Mondo l’ha vinta e certamente un’altra non ne giocherà. All’Europeo di Belgio-Olanda, nel 2000, si è già visto sfilare da sotto il naso un titolo quasi preso, dovendo poi sopportare accuse e recriminazioni. Per l’Europeo italiano del 2012 si sarà già ritirato o, al massimo, vi parteciperà come dirigente. Cos’altro avrebbe dovuto chiedere uno come Alex alla nazionale e al suo immediato futuro?
E proprio qui sta l’eccezione di Alex: quando gioca, non specula e se si dà non si centellina. E’un campione? Sta bene? Può essere utile? Allora aspetta la chiamata e quando arriva la chiamata, pensa di giocare. Non perché si tratta di Del Piero, ma al contrario perché ritiene di essere all’altezza di tutti i suoi compagni. Ora, se Donadoni non la pensa come Del Piero, ha il diritto di non convocarlo e, come accadde con Lippi sia al Mondiale che durante le qualificazioni, di preferirgli Totti o qualcun altro.
Mandarlo in tribuna, invece, è un affronto e un abuso. Un affronto perché essere ridotto al rango di spettatore è un’esperienza vissuta come un trauma da chiunque, figurarsi da Del Piero. Un abuso perché, da quanto so e ho capito dell’interessato e delle dinamiche di un gruppo, a pagare le conseguenze estreme sono sempre i più disponibili, i più educati e i più intelligenti. Del Piero – ne convengono sia compagni che avversari – è disponibile, educato, intelligente. Infatti, di lui, hanno approfittato Capello, Lippi (che gli ha preferito Totti nonostante le sue condizioni fisiche consigliassero altro), adesso perfino Donadoni. La contraddizione stride proprio con l’ultimo ct Da giocatore, infatti, Donadoni era proprio come Del Piero: mite e ubbidiente, sensibile e rispettoso, spesso silenzioso, a volte al limite dell’introversione.
In tutta sincerità, pur imputando a Donadoni qualche inadeguatezza tattica, non sono convinto che abbia voluto fare uno sgarbo a Del Piero relegandolo in tribuna. Tuttavia sono convinto che perfino nelle più rozze diplomazie da spogliatoio si sarebbe trovata una soluzione più idonea per tutelare, al tempo stesso, la libertà di scelta del tecnico e l’immagine del giocatore. Anzi, a questo proposito mi chiedo, come mai tra i tanti assistenti del ct, gli accompagnatori, i team manager, i segretari e i vice commissari della Federcalcio, a nessuno sia passato per la mente di gestire la faccenda con il tatto dovuto. Ma di che cosa mi sorprendo se Gigi Riva, ormai calatosi nel ruolo di precettore punitivo, ha bacchettato Camoranesi solo perché ha ipotizzato che Del Piero avesse un dolore al tendine? Mi sbaglierò, ma questa Nazionale un Del Piero non lo merita. Peggio: merita di rimpiangerlo presto.

Friday, October 13, 2006

L'ETICA FATTA IN CASA

EDITORIALE
GIANCARLO PADOVAN
da Tuttosport di giovedì 12 Ottobre

Christian Vieri, detto Bobo, totem idolatrato da ogni interista quantomeno per alimentarne il mito del buon selvaggio, ha deciso di rispondere a Massimo Moratti, il samaritano di tutti i miliardari bidonati, con un’azione legale della quale non lo ritenevamo capace: la revoca dello scudetto più abusivo che la storia del calcio ricordi.

Sinceramente - e Vieri ci perdonerà - pensavamo che, dopo averne incassati tanti, l’ex centravanti si concentrasse sui soldi, cioé puntasse al risarcimento-danni in sede civile per essere stato pedinato, o qualcosa di più, dalla sua ex società. Invece vuole soddisfazione in ambito sportivo: l’inter, sosterrà in un’istanza l’avvocato Danilo Buongiorno, non è degna di vedersi assegnato uno scudetto perché ha tenuto, per stessa ammissione del patron-presidente, un comportamento eticamente censurabile. I morattiani, che nelle redazioni dei quotidiani e delle tv abbondano, anche se qualche puntuto distinguo comincia a levarsi, si affrettano a smentire questa sinistra eventualità. Ma, evidentemente, non conoscono, o non sono interessati a conoscere, le cinque pagine del parere consultivo elaborato il 24 luglio scorso dai tre saggi - Gerhard Aigner, Massimo Coccia, Roberto Pardolesi - nominati dall’allora commissario straordinario Guido Rossi. Le conclusioni, che in quel caso portarono il titolo all’inter, non lasciano dubbi sull’epilogo di una vicenda di spionaggio autodenunciato - e stavolta non smentito - da parte del patron della stessa società interista. Il punto non è, come nei casi previsti dal processo sportivo, arrivare a sentenza o a sanzione. Qui, come si evince solo leggendo il capitolo 20 del parere consultivo, lo scudetto può essere revocato in base a «comportamenti poco limpidi», «alla luce di criteri di ragionevolezza e etica sportiva». E il potere di intervento è discrezionale, senza la necessità di «prove certe».

Qualcuno si domanda se l’iscrizione di Vieri al crescente movimento anti-interista, sia frutto della stizza per le incaute dichiarazioni di Moratti («Vieri non si senta troppo vittima») o di qualche rancore precedente. Per quel che posso capire, e dovrebbe capire anche Moratti, siamo in presenza della rivendicazione di una garanzia primaria di un cittadino. Si chiami Vieri - e sia calciatore/dipendente - si chiami con un altro nome. Casomai andrebbe affrontata una questione di metodo. Una società di calcio, come una qualsiasi altra azienda, non può agire al di fuori della legalità. Ma il concetto di legalità, esattamente come il concetto di etica, è apparentabile al coraggio: uno, se non lo possiede, non se lo può dare. L’inter, per esempio, non riesce a darselo più: dal passaporto truccato di Recoba (sentenza patteggiata il 27 aprile scorso nell’imbarazzante silenzio dei quotidiani amici) allo scoperchiamento di spiate e spioni, è stato tutto un franare goffo e velleitario. Una fine c’è, ma non è prossima.