Saturday, January 10, 2009

MOGGI CONDANNATO. PER MANCANZA DI REATI

RENATO FARINA
da Libero di Venerdì 9 Gennaio 2009

Moggi Padre: diciotto mesi di carcere. Moggi Figlio: quattordici mesi. Se ci fosse stato in giro anche un Moggi Spirito Santo un annetto glielo appioppavano pure a lui. Gli altri: assolti. La clamorosa inchiesta romana che doveva decretare l’esistenza del calcio come sistema mafioso dominato da Moggi è finita nella condannuccia per reati da bar sport: violenza privata e minacce. Infatti Moggi padre (e un po’ anche il figlio) avrebbero costretto un calciatore a giocare per meritarsi un aumento di stipendio, e avrebbero fatto sapere a un altro che l’allenatore non lo voleva e se non accettava il trasferimento sarebbe finito in tribuna. (Non è passata invece l’accusa orribile del calciatore Fabrizio Miccoli, il quale si era lamentato coi giudici perché una volta la squadra lo aveva dimenticato in pullman: per una condanna forse occorreva almeno lo abbandonassero a un autogrill).

Dimenticavo un’avvertenza: spogliarsi per un attimo delle sciarpe colorate della propria squadra di appartenenza calcistica. Ho fatto fatica anch’io: sono iscritto all’inter club. Resto dell’idea che la Juve abbia rubato due scudetti, come hanno fatto anche il Milan e la Roma, sin dai tempi di Mussolini; invece l’inter se li è meritati tutti, anche quando Italo Allodi aveva cura degli arbitri nell’evo di Herrera. Però basta così. Qui c’è di mezzo una tragedia.

Ho letto e riletto le intercettazioni, ho seguito il processo. Parlo di Luciano Moggi: non lo sopportavo anch’io, come ogni interista che si rispetti. Ma se il rigore non c’è, non c’è. E a lui è stato confezionato, prima di qualsiasi valutazione seria dei fatti, il pigiama a righe del delinquente. Va così. Di tanto in tanto serve il cinghiale espiatorio, per ricominciare peggio di prima. Ma la civiltà è dire che non si fa. Invece anche stavolta si è fatto. Si è sdraiata la bestia sul tavolaccio, ma poi proprio non si poteva tagliargli la gola a causa dell’insussistenza assoluta di prove e di indizi. Allora si è deciso per salvare la faccia alla giustizia, che ha speso montagne di denari, di ferire Moggi un tantinello alla guancia. Tanto chi vuoi che protesti? Trattasi di Moggi. È cattivo per definizione mitologica. Sacrifichiamo lui che ci si deve essere fatto il callo. Ovvio: per il Bene della Causa. Anzi: delle Cause. Quella della casta giudiziaria. E quella dei moralizzatori del calcio, specie i bravi giornalisti sportivi, i quali intravedevano un mondo tenuto alle redini dai loro articoli alla candeggina. I risultati saranno, andando avanti in questa maniera, la rovina proprio della magistratura e l’assassinio del calcio pur di far fuori Moggi.

Sei cross per chi ha buona testa
Tento qui di produrre alcune non dico idee, non esageriamo, ma qualche cross per chi abbia una buona testa.

1) Questo processo è stato basato su un’imponenza di intercettazioni mai vista, pubblicate e sceneggiate in tivù come antecedente fumogeno per preordinare la colpevolezza. Non importa cosa c’entrino: ci sono, creano l’alone del mostro. Più alcuni testimoni. Eccoli, arrivano. Il principale accusatore è stato un dirigente della Roma, poi finito al Real Madrid e infine alla nazionale inglese, Franco Baldini. È lui a denunciare il sistema Moggi-Gea. E a proporre la presunta pistola fumante: il caso di Giorgio Chiellini, oggi in nazionale. Secondo Baldini l’allora terzino sarebbe dovuto finire alla Roma, ma il presidente del Livorno gli disse… Mi accorgo che sto entrando nei particolari. Mi fermo. Il pettegolezzo e un evidente rancore personale basta a dimostrare che c’era una mafia, una ragnatela di schiavismo? Non era credibile. Ad accusare ci sono stati poi dei procuratori, ma si capiva che prevaleva l’invidia e forse il desiderio di far fuori la concorrenza per mano dei giudici. Ci sono stati poi calciatori, oltre il doloroso caso di Miccoli, che hanno denunciato queste tremende violenze: «Se non firmi, finirai per giocare nel giardino di casa tua». Mamma mia.

2) Persino il pubblico ministero ha implicitamente riconosciuto che la sentenza di assoluzione dall’accusa di associazione a delinquere era uscita a pezzettini. Ha dovuto ammettere: «I calciatori non hanno collaborato, fanno parte del sistema». Ma come? È stato proprio il sistema che per durare ha fatto fuori Moggi. Semmai il fatto che tanti calciatori, pur sospinti dalla Gazzetta dello Sport e dai dirigenti del nuovo tipo, si siano rifiutati di alimentare le accuse prova come questo processo sia stato una fiera delle vanità accusatorie. A loro conveniva adeguarsi al nuovo corso. Invece sono stati leali. Che senso ha attaccarli come omertosi per di più da uno stimato pm? Se ha le prove persegua. Se no taccia.

3) Come si fa a non capire che era “necessaria” almeno una piccola punizione? Si era mosso il mondo. Un’assoluzione generale avrebbe finito per palesare la ridicolaggine di una dissipazione di denaro e di energie della giustizia per esaminare delle pinzillacchere. Ed ecco la condannuccia. Non abbiamo alcun dubbio sulla buona fede e la competenza tecnica e morale del tribunale di Roma. Ma se si rivedono gli episodi alla moviola, il rigore fischiato contro Moggi non c’era e non meritava l’espulsione. Forse gli arbitri (del tribunale), di certo onesti e preparati, inevitabilmente soffrono – roba inconscia – di una sudditanza psicologica verso le potenze dominanti. Se avessero accettato come prova gli errori degli arbitri (di calcio), e le complicazioni contrattuali (dei calciatori) per documentare l’esistenza di una cupola, dovrebbero perseguire i nuovi capi mafia. Dato che errori e complicazioni perdurano. E allora? Ecco la minicondanna.

4) Le violenze. Esaminiamo i casi dei calciatori-vittime (presunte). Nicola Amoruso (attuale attaccante del Torino). Alla fine del campionato 2001-2002 Carlo Ancelotti fa sapere di non volerlo più alla Juventus. Moggi convoca Amoruso e gli dice: qui non hai spazio, ti conviene accettare il trasferimento al Perugia, se no finisci in tribuna e non giochi. Amoruso alla fine accetta, e si becca pure un aumentone di stipendio. È violenza, è minaccia? Mobbing contro un miliardario? Ma va’. Altro caso. Manuele Blasi (oggi centrocampista del Napoli). La Juve lo presta al Parma. Lì risulta positivo al doping: otto mesi di squalifica. Rientra alla Juve nell’estate del 2003, non proprio in pompa magna. E subito Stefano Antonelli, a nome di Blasi, incredibilmente telefona: vuole per il suo assistito aumento e proroga del contratto. Moggi dice: niente da fare, con te non parlo, prima il giovanotto deve dimostrare di meritarsi sul campo soldi e nuovo contratto. Il mediano gioca bene, ottiene l’una e l’altra cosa. Testimonierà a favore di Moggi. Il giudice prende invece sul serio la testimonianza di Antonelli.

Partorito un “moggiolino”
5) La sentenza dice che Moggi non è il Padrino. E finisce per sostenere che l’allora direttore sportivo della Juventus alla fine ha agito – secondo loro esagerando con le parole - solo negli interessi della Juve: obbedendo all’allenatore (Ancelotti lo ha testimoniato al processo) e consentendo risparmi sugli ingaggi. Persino insegnando ai calciatori come si sta al mondo. Sarebbe facile essere generosi con i soldi degli altri. A questo punto la Juventus dovrebbe proporlo per una medaglia, invece di scaricarlo. Ma anche la Lega Calcio e la Federcalcio dovrebbero difenderlo. Nella sentenza è insito un precedente pericoloso per ogni società di calcio: dire no a un calciatore, spiegargli che è bene – non per noccioline – cambiare squadra, può diventare causa di condanna al carcere. Vuol dire che i calciatori oltre ad essere padroni di conti in banca milionari potranno esercitare un ricatto formidabile verso le squadre. Avanti, ci aspettiamo un pacco di denunce.

6) Riflessione extra-Moggi. Era ovvio si sarebbe arrivati comunque a una condanna. È tale il legame oggettivo che lega i pubblici ministeri e i giudici di merito che lavorano nello stesso palazzo e appartengono al medesimo sindacato e rispondono allo stesso Csm, che inevitabilmente quando c’è molto rumore di stampa e molti denari spesi nell’inchiesta, si finisce per condannare almeno un pochino, oppure assolvere e in parte prescrivere (vedi Andreotti). In questo modo l’immane macchina almeno può dire di aver partorito un moggiolino.

È chiaro a tutti che occorre la separazione delle carriere dei magistrati, oppure bisogna aspettare l’altro processo al calcio, quello di Napoli?

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